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Un argomento più che mai centralmente strategico
Malgrado siamo quotidianamente travolti dall’evidente carattere di novità legato alle notizie sui Big Data, i dati in azienda ci sono sempre stati. Ancor prima dell’arrivo delle tecnologie informatiche, le esigenze di rendicontazione contabile e di analisi dei fattori critici di successo hanno fatto in modo che i numeri costituissero la base del linguaggio economico.
Non c’è nulla di nuovo quindi nell’utilizzo dell’analisi dei dati per la gestione di un’azienda. La vera novità portata dai Big Data è essenzialmente legata a tre aspetti:
- Le caratteristiche dei dati utilizzati in azienda si sono evolute velocemente.
- Il modo di utilizzare i dati è profondamente cambiato.
- La centralità strategica dell’argomento dati è aumentata sensibilmente.
Come si vede nella tabella riportata qui sotto (che ho adattato e aggiornato dal contributo originale di Thomas Davenport su Big Data al lavoro), i dati hanno cambiato pelle molto velocemente, soprattutto per quanto riguarda il loro volume (accresciutosi in maniera esponenziale), la varietà del loro formato (non più semplici tabelle di numeri incolonnati) e la velocità con cui si aggiornano (sempre più in real time). Queste tre caratteristiche (volume, velocità e varietà) hanno dato vita all’abusato concetto delle 3 V che si è in qualche modo legato a filo doppio a ogni definizione dei Big Data proposta negli anni.
Aspetto |
Analitica Tradizionale |
Big Data Analytics |
Varietà dei dati |
Strutturati, organizzati in tabelle |
Non strutturati (includono linguaggio naturale, immagini, video eccetera) |
Volume dei dati |
Gestibili in maniera centralizzata/locale |
Richiedono necessariamente un’infrastruttura decentralizzata e remota |
Velocità dei dati |
Di natura perlopiù statica, variano nei giorni/settimane/mesi |
Di natura dinamica, variano real-time |
Metodi analitici |
Statistica tradizionale, aggregazioni |
Apprendimento automatico |
Utilizzo primario |
Miglioramento decisioni interne, tramite reporting |
Impatto diretto su prodotti, servizi e processi, tramite algoritmi |
I Big Data mettono in discussione la struttura di un’azienda
Queste nuove caratteristiche dei dati sbloccano nuove modalità di creazione di valore economico, attraverso l’utilizzo di nuove metodologie analitiche. Malgrado questi metodi siano sempre basati su concetti abbastanza tradizionali di inferenza statistica, informatica e matematica, i nuovi metodi della data science obbligano le aziende a mettere in discussione quell’intricata matrice di competenze professionali, ruoli e identità funzionali che negli anni si è consolidata nell’organizzazione aziendale.
Questa trasformazione non è stata aiutata dall’affermarsi di un altro mito, ovvero la falsa necessità di dotarsi di figure professionali altamente specializzate (il famoso data scientist) completamente nuove e alternative a quelle già presenti in azienda. Nei tanti articoli dedicati negli anni alla professione del data scientist sono accumulate doti e aspettative assolutamente irrealistiche per essere concentrate in una sola persona!
Il data scientist che non esiste (almeno, non da solo)
Il data scientist viene spesso descritto come un professionista tutto fare, capace di gestire i dati end-to-end, dalla loro integrazione, immagazzinamento, gestione e analisi, alla visualizzazione, trasformazione in decisioni e – dulcis in fundo – attivazione sul mercato.
Concentrando artificialmente tutte queste aspettative su un unico professionista si commettono due errori, non di poco conto. Il primo è investire inutilmente risorse nella ricerca di professionalità che semplicemente non esistono sul mercato del lavoro incarnate in un unico candidato. Il secondo – più impalpabile ma anche più deleterio per il business – è giustificare quei manager poco desiderosi di assumersi le loro responsabilità nella trasformazione data-centrica dell’azienda, scagionati dalla presenza di un unico individuo, altamente specializzato e dedicato a quello.
Come ho cercato di spiegare e illustrare attraverso esempi in Big Data Analytics, l’ampiezza di questi temi è necessariamente cross-funzionale e vede coinvolti tutti gli ambiti aziendali, dall’IT alle vendite, dal marketing alla produzione, dall’ufficio comunicazione a quello legale.
Una sfida troppo complessa per delegarla a un singolo
Il ruolo del data scientist – sia chiaro – è molto importante per permettere ai dati di esprimere il loro potenziale. Mai, però, il data scientist agisce in solitudine, da tecnico eletto a unico responsabile della data analytics in azienda. La sfida dei Big Data è complessa e ampia, destinata a coinvolgerci per molti anni, tocca tutti e non può essere relegata a tecnicismo informatico o a progetto una tantum.
I metodi proposti dai Big Data richiedono un nuovo lessico, che deve essere utilizzato da tanti, non da pochi. Per questo è necessario procedere con un graduale retooling di tutti i professionisti inquadrati in azienda, senza differenza di funzione di appartenenza o di seniority. Quando i computer sono entrati nelle nostre aziende hanno cambiato tutto e, malgrado nei primi tempi fossero visti come cosa di pochi, negli anni hanno affermato la loro universalità. Se all’inizio i computer erano riservati ai tecnici, oggi non è più così. La stessa cosa si prepara a avvenire per i Big Data.
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