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Chi risponde degli illeciti commessi su Internet?

20 Aprile 1998

Chi risponde degli illeciti commessi su Internet?

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I reati e gli illeciti civili che possono essere commessi utilizzando la Rete sono numerosi e di diversa natura e gravità - Le singole fattispecie devono essere regolate secondo la normativa vigente - La struttura di Internet rende spesso difficile l'individuazione dei responsabili - In tutto il mondo si è diffusa la tendenza a citare in giudizio anche gli Internet provider -I datori di lavoro possono essere chiamati a risarcire il danno arrecato da illeciti commessi su Internet dai dipendenti, nell'esercizio delle loro funzioni.

Internet consente agli utenti di entrare in relazione tra loro con una facilità e con una frequenza inimmaginabili sino ad alcuni anni or sono. Un grande numero di contatti, però, crea anche molte occasioni di conflitto tra utenti, per lo più a causa di comportamenti che danno luogo a fatti illeciti. I reati e gli illeciti civili che possono essere commessi utilizzando le varie potenzialità di Internet sono numerosi e di diversa natura e gravità. Si va dalla diffamazione all’istigazione a delinquere; dalla violazione delle leggi sul diritto d’autore e sulla protezione dei marchi registrati al compimento di atti di concorrenza sleale.

Se è indubbio che le singole fattispecie devono essere regolate secondo la normativa vigente, la struttura della Rete rende, però, spesso complicata l’individuazione dei soggetti tenuti a rispondere degli illeciti commessi.

La responsabilità – penale e/o civile – dell’autore dell’illecito, naturalmente, è fuori discussione; nella pratica, però, si è rivelata spesso difficile la sua identificazione. Di qui la tendenza a citare in giudizio anche – o solo – l’Internet provider che ha fornito l’accesso all’autore della violazione, essendo facilmente identificabile e, nella maggior parte dei casi, più stabile economicamente e, quindi, maggiormente solvibile in caso di condanna al risarcimento del danno arrecato, rispetto all’utente. La corresponsabilità del service provider viene invocata richiamando per analogia, nei vari ordinamenti, le norme che regolano la responsabilità dell’editore o del direttore di giornale per gli illeciti commessi col mezzo della stampa.

In Italia, per esempio, l’art. 57 del codice penale stabilisce che il direttore o il vice direttore responsabile, qualora abbia omesso di esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessario per impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati, risponde del reato eventualmente commesso, insieme all’autore della pubblicazione. L’art. 57 bis estende questa responsabilità all’editore, nel caso di stampa non periodica, quando l’autore della pubblicazione è ignoto o non imputabile.

In realtà, sul piano strettamente giuridico, l’impossibilità di estendere queste norme all’Internet provider discende, innanzitutto, dal fatto che le leggi penali non sono suscettibili di applicazione analogica (art. 14 Disposizioni sulla legge in generale). È comunque evidente a chiunque abbia una qualche conoscenza della Rete quanto il parallelo tra il direttore di giornale o l’editore e il service provider sia azzardato, essendo praticamente impossibile, per quest’ultimo, esercitare un controllo sui contenuti di tutto ciò che viene immesso in rete dai suoi utenti. L’adempimento di un onere di controllo così gravoso, poi, farebbe inevitabilmente lievitare i costi dei servizi offerti, con ovvie conseguenze negative per la diffusione di Internet.

Una corresponsabilità del provider può, invece, venire individuata – oltre naturalmente al caso in cui abbia partecipato alla commissione dell’illecito, o l’abbia agevolata – quando sia stato informato della presenza di contenuti lesivi di diritti altrui tra il materiale ospitato sul suo server e non abbia provveduto a rimuoverli.

Negli Stati Uniti, su questo tema, si è formata una casistica giurisprudenziale tanto abbondante quanto contraddittoria; alcune pronunce, peraltro, sono diventate celebri.
Il provider CompuServe, convenuto in giudizio dalla Cubby Inc., la quale affermava di essere stata diffamata in un forum da lui ospitato, è stato ritenuto non responsabile, non potendo essere equiparato a un editore, quanto piuttosto a un libraio, cui non è richiesto il controllo del contenuto di ogni libro messo in vendita. Di tenore analogo la pronuncia emessa nella causa Auvil c. CBS ’60 minutes’, secondo cui una responsabilità del service provider non sarebbe ipotizzabile nemmeno nel caso questi fosse in grado di controllare il contenuto di tutto ciò che viene messo in linea.

Nel caso Stratton Oakmont Inc. c. Prodigy Services Co., invece, il provider è stato equiparato a un editore – e quindi ritenuto responsabile per la presenza, in una lista di discussione, di messaggi offensivi nei confronti dell’attrice – in quanto, con il pubblicizzare il fatto che Prodigy utilizzava un software in grado di eliminare parole oscene e offensive, aveva dimostrato di esercitare un potere di controllo sui contenuti immessi on line. La pronuncia è stata criticata dai commentatori americani, in quanto penalizzante proprio nei confronti dei provider che cercano di verificare la liceità del materiale presente nel servizio da loro gestito. Un certo scalpore ha suscitato anche la decisione del caso Playboy Enter. Inc. c. Frena: un operatore di una BBS è stato ritenuto – per il ruolo da lui ricoperto – responsabile per violazione della normativa sul copyright, in quanto alcuni abbonati avevano caricato immagini di Playboy sulla BBS da lui gestita; e questo nonostante l’operatore avesse offerto di provare che l’inserimento era avvenuto a sua insaputa e che le fotografie erano state rimosse non appena se ne era accorto.

Un principio ancora diverso è emerso dalla decisione della causa Religious Technology Center c. Netcom, con cui si è precisato che il provider non è corresponsabile per una violazione del diritto d’autore, quando il suo computer è stato usato solamente come mezzo; sarebbe invece ravvisabile un suo concorso nell’illecito in caso di colpevole ritardo nell’eliminare il materiale, nonostante la diffida da parte del soggetto leso.

Passando alla realtà italiana, desta preoccupazione – per i motivi visti prima – l’unica pronuncia su questo argomento al momento conosciuta, con la quale il Tribunale di Napoli (nella causa Mcp Spa c. Geredil Sas) ha recentemente affermato che, essendo Internet “un organo di stampa”, il service provider deve essere equiparato al direttore responsabile di un giornale; ha, quindi, un preciso obbligo di vigilare sui contenuti di quanto viene trasmesso sulla Rete, assumendosene la responsabilità. Ne consegue che, degli atti di concorrenza sleale compiuti tramite Internet, risponde non solo l’autore, ma anche il provider.

Nell’ambito della responsabilità civile, il rischio di dover rispondere per fatti commessi dagli utenti della Rete non è limitato ai provider. Sono infatti pienamente applicabili, anche nel mondo di Internet, le norme che stabiliscono la responsabilità dei genitori per i danni arrecati a terzi da fatti illeciti commessi dai figli minorenni che abitano con loro (art. 2048 codice civile) e del datore di lavoro per i danni arrecati da illeciti dei loro dipendenti, “nell’esercizio delle incombenze cui sono adibiti” (art. 2049 cod. civ.).

L'autore

  • Annarita Gili
    Annarita Gili è avvocato civilista. Dal 1995 si dedica allo studio e all’attività professionale relativamente a tutti i settori del Diritto Civile, tra cui il Diritto dell’Informatica, di Internet e delle Nuove tecnologie.

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