Il marasma provocato dalla generazione Arduino, che ha prodotto il pullulare di idee su cui è nata la tumultuosa fermentazione del mondo dei maker e dei creativi digitali, ha provocato una conseguenza non banale.
La necessità di imparare il pensiero logico, la programmazione o, per dirla in gergo, il coding.
Ecco perché siamo alle prese con ambienti di sviluppo, linguaggi, codici, funzioni, variabili e particelle booleane, cercando di ridurre il fossato sempre implicito nell’ormai obsoleta battuta:
il mondo si divide in 10, chi la capisce e chi no.
Ed è a questo punto che la scuola non ha più potuto ignorare il fenomeno. Arduino stesso è stato progettato con le migliori intenzioni educative, per dare strumenti di adeguata progettualità a creativi che si affacciano al mondo digitale, senza che di questo si debba per forza farne una professione.
Quindi, sotto con il coding: la necessità di imparare una qualche forma di linguaggio e di comunicazione coi computer, seppure ridotti a minima scheggia di silicio incapsulata in pochi millimetri quadrati. E sotto anche con i tentativi di semplificazione del coding che hanno, al meglio, assunto la forma di giochi simili ai famosi mattoncini delle costruzioni. Scratch, per intenderci, ne è l’esempio principe.
Iniziative imprenditoriali e associazioni tra le più disparate si sono buttate a capofitto. Insegnare ad assemblare pezzi colorati includenti oggetti come loop o in modo fantasioso come è accaduto con sempre è stato un gioco da ragazzi. Anzi, per i ragazzi. In alcuni casi ha prodotto, se non soldi, sicuramente affermazione mediatica e culturale.
Il coding a rovescio
In altri casi, se non troppa affermazione mediatica, sicuramente un po’ di soldi. Tutte esperienze stupende. Fino a che, una mattina di circa quattro anni fa, Joachim Horn si è svegliato con un’idea che ha cambiato il paradigma. Facciamo hardware trasparente.
Senza necessità di programmazione, ma programmabile. Senza fili, ma collegabile. Senza coding, ma potentemente in grado di educare chiunque alla mentalità del pensiero logico, alla visione di sistema, alla concatenazione di eventi, alla produzione di soluzioni. Cioè con la stessa finalità del coding, ma affrontandolo a rovescio.
Da pezzi materiali e maneggiabili, magicamente indipendenti eppure comunicanti, assemblabili come mattoncini senza nemmeno che sia necessario farli toccare tra loro e producenti risultati concreti. Esplicativi di un mondo realmente interconnesso tra oggetti secondo le logiche della comunicazione 4.0.
Intuitivo, universale
Sviluppato il progetto, finanziata la startup, Joachim e la sua SAM Labs li abbiamo incontrati personalmente. Entusiasti e contagiosi. In grado di vendere in tutto il mondo kit educativi comprendenti scatolette grossomodo la metà di un pacchetto di sigarette, sensori o attuatori che tra loro comunicano senza fili e comandati da un’app disponibile per tutti i dispositivi, per i diversi sistemi operativi attualmente diffusi.
La logica è quella che più intuitiva non si può. Se, ad esempio, voglio attivare un motore tramite un pulsante, sullo schermo del PC o del tablet traccio una linea tra la figura del pulsante e la figura del motore. Punto. Quando schiaccerò il pulsante reale, il motore fisico inizierà a girare.
Se voglio aggiungere un led, traccio una linea tra lo stesso pulsante e la figura del led. E quando schiaccio fisicamente il pulsante (quello reale) il motore e il led si accendono. Ovunque siano posizionati nella stanza. Detto così sembra troppo semplice, ma lo è veramente. E con una manciata di pezzi, e in meno di cinque minuti, chiunque può produrre sistemi complessi, logici, educativi, applicabili a qualunque materia scolastica, anche non scientifica.
Perché sono attivabili anche i collegamenti social. Se tra pulsante e motore aggancio l’icona di Twitter, per esempio, sulla base del numero di ricorrenze di un hashtag posso tradurre il sentimento di una popolazione in spostamento di leve, pulegge o chissà cos’altro.
Infine, se proprio voglio vedere il codice che c’è dietro, posso guardare quello già scritto perché ogni oggetto funzioni e, sì, anche scriverne di nuovo. Ma devo avere nostalgia, o necessità, di tornare per un momento a quanto fino a oggi sembrava essere l’unica forma di coding. Prima dell’era di Joachim.