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Come acquisire una mentalità di crescita

28 Agosto 2024

Come acquisire una mentalità di crescita

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La crescita non arriva da sola; ha bisogno di trovare una mentalità capace di accoglierla e trasformare tanto le persone quanto le organizzazioni.

Dalla mentalità e dalla cultura arriva la crescita

  1. Come organizzare una conversazione di feedback orientata alla crescita
  2. Che cosa vuol dire mentalità
  3. Come valorizzare diversità e inclusione nella cultura della crescita
  4. Che cosa sono il continuum mentale e la cultura mentale
  5. Come incoraggiare un comportamento etico e un’elevata integrità nella propria organizzazione

1. Come organizzare una conversazione di feedback orientata alla crescita

Organizzare una conversazione di feedback

Un buon feedback non deve essere necessariamente positivo, ma deve essere chiaro, specifico e attuabile, altrimenti i dipendenti non avranno modo di sfruttarlo. Il feedback deve inoltre essere sincero e non ripetuto meccanicamente: se vogliamo offrire un feedback saggio, per esempio, non usiamo la stessa frase introduttiva ogni volta, perché la nostra sincerità potrebbe diventare rapidamente sospetta. Allo stesso modo, facciamo attenzione al cosiddetto sandwich di feedback, quei commenti positivi che formano il panino attorno all’hamburger della critica. La maggior parte di noi è esperta in questa tattica, con il risultato che molti considerano le osservazioni positive iniziali semplicemente come un preambolo destinato a disarmarci prima del feedback reale, quello negativo.

Un metodo efficace per essere sinceri è fornire il feedback durante una conversazione (e non una presentazione), nella quale i manager possono chiedere ai dipendenti quali sono i loro obiettivi e le loro percezioni su come stanno progredendo, ponendo l’accento sulla comprensione degli elementi che hanno contribuito al successo o che hanno causato problemi, compresi eventuali ostacoli come strutture istituzionali o politiche che hanno svantaggiato in modo disparato alcuni dipendenti. In questo modo è possibile ottenere informazioni e contesti di cui il manager potrebbe non essere a conoscenza, in modo che possa capire appieno in che misura gli obiettivi del dipendente si allineano con gli obiettivi del ruolo o dell’organizzazione.

Il manager può inoltre intraprendere azioni per eliminare le barriere strutturali e proporre suggerimenti specifici su come il dipendente può proseguire nel percorso, stimolando al contempo le idee del dipendente su ciò che ritiene possa funzionare. Questo sistema stimola e coinvolge non solo i dipendenti che sono già orientati verso la crescita, ma anche quelli che altrimenti potrebbero comportarsi come adulti con lo zaino. Quando il feedback critico viene normalizzato e reso parte di una conversazione, piuttosto che di un provvedimento, è meno probabile che venga visto come un giudizio e più come uno strumento per lo sviluppo continuo.

Un feedback utile

Un feedback utile.

Richiedere un feedback orientato alla crescita

Nel corso della ricerca intrapresa dal mio team nel 2020, abbiamo registrato 60 docenti STEM che tenevano le loro lezioni nel corso del semestre. Utilizzando un’app che avevamo sviluppato, abbiamo intervistato periodicamente gli studenti durante il corso chiedendo loro cosa facessero i loro professori e quali pensavano fossero le loro convinzioni mentali. Abbiamo poi confrontato i risultati con le convinzioni effettive dei professori ottenute attraverso degli autoresoconti. Dallo studio è emerso che i docenti, per dimostrare una mentalità di crescita agli studenti, dovrebbero chiedere un feedback critico su se stessi. Per gli studenti, il modo in cui i docenti gestivano le opportunità di feedback, come le valutazioni dei corsi, era un chiaro indice della mentalità degli insegnanti. Gli insegnanti che incarnavano cronicamente la loro mentalità fissa consideravano i moduli di feedback come una faccenda burocratica obbligatoria ma in gran parte irrilevante. Coloro che gravitavano verso una mentalità di crescita li prendevano più seriamente e incoraggiavano gli studenti a completarli, spesso lasciando il tempo per farlo in aula. Per esempio, oltre alle valutazioni numeriche richieste, proponevano domande a risposta aperta come In quali ambiti hai faticato in classe e come avrei potuto sostenere il tuo apprendimento in modo più efficace?, Come pensi che possa migliorare come docente? e Quali strumenti di sostegno potrei utilizzare nel corso del prossimo anno?

Se vogliamo massimizzare i vantaggi del feedback critico, perché aspettare fino alla fine di un incarico per richiederlo? Quando facevo parte del Faculty Success Program, un istituto nazionale per i docenti di colore, ci venne consigliato di offrire una valutazione intermedia ponendo semplici domande come: quali sono alcune problematiche con cui stai lottando in questo corso e cosa potrei cambiare per esserti d’aiuto? Spesso, a quel punto del semestre, gli studenti rivelavano di sentirsi sopraffatti dallo studio: gli insegnanti avevano così l’opportunità di eliminare un compito o comunque alleviare parte della pressione sugli studenti. Pur non essendo nulla di speciale, il gesto aiutava gli studenti a sentirsi ascoltati e supportati e comunicava l’interesse del docente per l’opinione degli studenti. Possiamo farlo anche sul posto di lavoro, richiedendo un feedback ai nostri dipendenti o tenendo incontri in cui chiediamo pareri e valutazioni sul modo in cui ognuno di noi sta progredendo verso gli obiettivi e sul modo in cui potremmo aiutarci a vicenda (e qualora i dipendenti siano ben oltre dove pensavamo sarebbero stati, potremo sempre offrire elogi concreti su ciò che hanno fatto bene e proporre una sfida dietro le quinte come obiettivo di sviluppo).

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Un manager che viene portato nella sua mentalità fissa dai feedback critici potrebbe essere riluttante a fornire un riscontro. Quando riceviamo un feedback di poco valore, o quando il feedback sembra vago o insincero, possiamo aumentare le nostre possibilità di ottenere le informazioni necessarie richiedendole direttamente, utilizzando le stesse linee guida sopra riportate per la fornitura di un feedback utile. Possiamo richiedere informazioni specifiche sul nostro lavoro e sui nostri progressi, sollecitare strategie e approfondimenti per migliorare ulteriormente e così via. Non ho ancora studiato questa strategia, ma si potrebbe anche provare qualcosa di simile a un feedback saggio sul proprio capo: Voglio che le mie prestazioni siano elevate. Per me è importante continuare a migliorare e a crescere, e so che lei può fornirmi informazioni e indicazioni che mi aiuteranno a farlo. Sarebbe interessante sapere se funziona!

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Che cosa vuol dire mentalità

La nostra idea della mentalità è del tutto sbagliata. Beh, forse non proprio del tutto, ma è innegabile che sia stata semplificata drasticamente, causandoci un danno.

La mentalità sembra essere un concetto facile da comprendere: o crediamo che l’intelligenza e l’abilità siano in gran parte innate e non si possano cambiare più di tanto, o riteniamo che sia possibile accrescerle e svilupparle nel tempo. Eppure, quando riflettiamo sulle nostre esperienze personali, potremmo percepire qualcosa di più complesso di questa semplice dicotomia.

Pensiamo a un momento del passato in cui ci siete trovati di fronte a una sfida: come abbiamo risposto? Supponiamo che il nostro capo ci abbia chiesto di proporre alcune idee per una raccolta fondi indispensabile per affrontare un deficit previsto. Abbiamo giocato sul sicuro, suggerendo solo iniziative in linea con attività che l’organizzazione aveva già attuato in passato, o abbiamo visto in quella richiesta l’opportunità di provare qualcosa di nuovo, e ci siamo sforzati di proporre soluzioni uniche che andavano oltre i tradizionali eventi e le consuete attività di sensibilizzazione? È anche possibile che abbiamo iniziato elencando le solite idee, ma poi abbiamo deciso di spingerci oltre.

La realtà è che nessuno ha una mentalità fissa o una mentalità di crescita, pur avendo magari una preferenza per una delle due (e non è raro che a un certo punto tale predilezione cambi). Va detto anche che il passaggio dalla mentalità fissa alla mentalità di crescita non è semplice come premere un interruttore (per analogia la definirei molto più simile alla regolazione di un dimmer).

La mentalità esiste in un continuum e il punto in cui, in qualsiasi momento, ci troviamo in quel continuum spesso ha a che fare con la situazione che dobbiamo affrontare e con le persone che ci circondano.

Tuttavia, il comune pensiero sulla mentalità non riflette questa complessità. Da quando Carol Dweck introdusse per la prima volta il concetto, spesso nelle aule e sui social media veniva esposta l’illustrazione che segue.

Mentalità di crescita vs. mentalità fissa

Mentalità di crescita vs. mentalità fissa.

Cosa c’è che non va in questa immagine? È vero, spesso le persone espongono mentalità differenti, ma questa immagine sembra suggerire che la mentalità sia annidata interamente nel nostro cervello e che ci siano solo due possibilità tra cui scegliere. L’illustrazione ci chiede di identificare che tipo di mentalità abbiamo, come se potessimo avere solamente l’una o l’altra. Si coglie l’ironia? Pensare di incarnare sempre la mentalità fissa o quella di crescita è un modo molto fisso di considerare la mentalità!

Questa immagine mostra anche una chiara preferenza per una mentalità rispetto all’altra: la mentalità di crescita è buona, quella fissa è negativa. Anche se, come vedremo, le persone e le culture con una mentalità di crescita possono avere molte qualità ammirevoli, questi malintesi hanno portato alla moralizzazione della mentalità, soprattutto nel sistema didattico americano e nelle corporazioni che hanno accettato questa idea. Se consideriamo la mentalità come un tratto fisso che risiede nella testa di un individuo, e se crediamo che una persona con una determinata mentalità sia migliore di un’altra con l’atteggiamento mentale opposto, finiremo facilmente per usare la mentalità per classificare ed etichettare le persone. L’onere del cambiamento viene posto interamente sull’individuo, senza considerare il contesto e la cultura che creano e fortificano una determinata mentalità.

La cultura mentale, che esiste al di fuori di noi stessi, è una forma di creazione attiva e collaborativa. Eppure, i leader aziendali spesso si concentrano sulla mentalità individuale, come se l’assunzione di dipendenti con una mentalità di crescita permettesse di creare automaticamente un’organizzazione orientata alla crescita. Molti sistemi scolastici hanno chiesto a me e ai miei colleghi se sono disponibili valutazioni per classificare gli insegnanti in base alla loro mentalità, fissa o di crescita; anche le imprese di investimento ci hanno chiesto di aiutarli a ideare valutazioni utili a identificare gli imprenditori in cui investire. Spesso, le organizzazioni provano a utilizzare tali valutazioni per la selezione e l’assunzione. I presupposti alla base di queste indagini sono i seguenti: (a) la mentalità è statica; (b) è completamente individuale; e (c) tali valutazioni riveleranno la verità sulla mentalità di una persona, svelando se ha una mentalità di crescita (o fissa) e quindi se sarà (o meno) un buon dipendente. Se noi in primis applichiamo queste credenze agli individui, questi non faranno altro che procedere nello stesso modo e affibbiarle ad altri.

Nell’istituto di formazione per insegnanti che io e i miei colleghi abbiamo fondato, incontriamo spesso docenti che appoggiano questa falsa visione dicotomica ed etichettano gli studenti che faticano in termini di motivazione o prestazioni affermando qualcosa di simile a: Mi dispiace, questo ragazzo ha una mentalità fissa e non c’è molto che io possa fare o Questa generazione di studenti ha davvero una mentalità fissa. Quando chiediamo agli insegnanti cosa stanno facendo per aiutare gli studenti a muoversi verso la loro mentalità di crescita, a volte rispondono: Ma questo non è il mio lavoro. Gli studenti hanno bisogno di una mentalità di crescita e sono i loro genitori a dover lavorare con loro per svilupparne una. Peccato che proprio l’etichettare i bambini come incapaci di cambiare sia la prova di una mentalità fissa dell’insegnante! Gli insegnanti che desiderano che l’apprendimento avvenga in modo facile e veloce (un altro atteggiamento tipico della mentalità fissa) potrebbero vanificare le fatiche degli studenti, e quindi il loro apprendimento, proponendo immediatamente le risposte corrette, o rassicurandoli che va bene così, non tutti possono avere una mente matematica.

Tutto questo fraintende il vero significato del termine mentalità e i fattori che determinano la nostra visione in un determinato momento. La mentalità viene trasformata in una sorta di scaricabarile che non aiuta nessuno.

Se chiedessi a qualcuno qual è la sua mentalità, l’unica risposta esatta sarebbe: Dipende. Anche tra coloro che studiano la mentalità, nessuno tende sempre alla crescita. A seconda della situazione, può attivarsi la nostra mentalità fissa o quella di crescita.

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3. Come valorizzare diversità e inclusione nella cultura della crescita

Le culture del genio dovrebbero avere i loro benefici, quanto meno per i geni, giusto? Come dimostra la mia ricerca, non è proprio così. Le persone che sono stereotipate positivamente e si adattano allo stampo del genio possono trarne beneficio per un po’, purché la loro proverbiale stella sia in ascesa. Il problema è che nascono sempre nuove stelle! Nelle culture del genio, la spinta a mantenere e a far avanzare la propria posizione nella gerarchia può causare il sabotaggio di individui e organizzazioni, e la caduta dallo stato di grazia può essere rapida. Con i loro modelli restrittivi di successo, le culture mentali fisse creano una sorta di camicia di forza mentale, legata alle emozioni e alle prestazioni, anche per le persone stereotipate positivamente.

Vedo spesso questi vincoli tra i leader che vogliono uscire dalla cultura del genio della loro azienda perché sanno di dover cambiare per mantenere la competitività, o perché vedono all’orizzonte un’opportunità che l’organizzazione non può perdersi. Il problema è che, in una cultura del genio, esistono solo pochi metodi per dimostrare la propria competenza, e solo una lacuna può indicare che avete perso il vostro vantaggio o, peggio, che forse non lo avete mai avuto davvero. Specialmente in tempi di incertezza e cambiamento, le culture del genio possono provocare un blocco anche nei migliori.

George Aye è un ex dipendente di IDEO, una delle più importanti aziende di design del mondo, incoronata da diversi media con la designazione di genio. Nel 2021, attraverso un saggio su Medium, Aye descrisse come, in quanto persona di colore, era stato vittima di bullismo e umiliato presso l’organizzazione, dove, disse, il perfezionismo, un perpetuo senso di urgenza, il paternalismo, l’accumulo di potere, la paura di un conflitto aperto e l’individualismo erano orgogliosamente in mostra. Aye scrive che la situazione fu chiara già il primo giorno, quando un collega gli disse: In questo posto puoi soltanto affondare o nuotare. Se non ci riesci, è perché non sei tagliato per essere qui. All’inizio, Aye pensò che non valesse per lui (dopotutto, era stato assunto!). Eppure, durante il suo mandato si trovò a lavorare da 60 a 80 ore la settimana, terrorizzato all’idea di scendere al di sotto della linea invisibile delle prestazioni attese.

Aye riferisce che questa dinamica di colloquio perpetuo è particolarmente dura per le persone di colore dell’azienda. Un dipendente riferì ad Aye che in un’occasione, anche se il suo lavoro non era correlato al marketing e alla comunicazione, era stato chiamato a esaminare i materiali generati dal team in materia di diversità e inclusione; pur sentendosi a disagio, aveva accettato perché tale incarico gli avrebbe dato maggiore visibilità presso i vertici dell’azienda. Una donna di colore raccontò come fosse giunta in azienda con una grande fanfara per la sua esperienza e le sue credenziali, per poi essere messa da parte non appena chiese incarichi più impegnativi; resta a guardare, sii paziente. Ma non era facile restare a guardare mentre ai colleghi bianchi con prestazioni inferiori venivano assegnati gli incarichi che lei avrebbe voluto.

Le culture della crescita sanno che il mantenimento di politiche e pratiche DEI forti è una componente essenziale per diventare e rimanere leader nel proprio campo. Secondo Jayshree Seth, Chief Science Advocate di 3M, uno dei motivi per cui 3M è stata così efficace nel creare una forza lavoro diversificata e innovativa è la sua ampia visione, tipica delle culture della crescita, su chi può avere una carriera STEM di successo. Parte del ruolo di Seth nella promozione delle carriere scientifiche è quello di cambiare il nostro prototipo di successo nelle discipline STEM: dobbiamo cambiare il nostro pensiero quando immaginiamo scienziati e ingegneri di successo. L’azienda ha scoperto attraverso un sondaggio interno che, quando le persone pensano agli scienziati, evocano per lo più un genio maschile che lavora da solo in un laboratorio. Le persone non si vedono in quei camici da laboratorio a mescolare liquidi colorati, se questa è tutta l’immagine della scienza che hanno. Questo porta a ogni sorta di percezione errata anche tra i bambini più piccoli, spiega Seth. I bambini vedono l’immagine di uno scienziato geniale, malvagio, solitario o anticonformista, e se non è quello che vogliono essere, allora si allontanano dalla scienza. Si osservano gli stereotipi, i pregiudizi e le questioni di genere e si finisce per pensare ‘non è quello che sono’ o ‘non è quello che voglio essere’.

Seth aggiunge: Gli stereotipi sono un disservizio nei confronti della comunità scientifica e rappresentano barriere da abbattere. Nel suo ruolo, Seth lavora per aumentare l’interesse nella scienza non solo tra i bambini, ma anche tra gli adulti; 3M sta cercando non solo di attirare i ragazzi verso una carriera nella scienza, ma anche di aumentare l’alfabetizzazione scientifica generale in tutta la società. Questo è un metodo tipico della cultura della crescita per affrontare i problemi più impegnativi: raccogliere i dati, scoprire che la cultura STEM dominante è una cultura del genio, che lascia fuori in modo sproporzionato alcuni gruppi e ne trattiene altri, per poi sviluppare iniziative che affrontino questo problema culturale in modo ampio e innovativo, monitorando i progressi e cercando in modo proattivo di fare sempre di più.

Quando occorre trovare un grande talento, i candidati che non rientrano nel modello del genio hanno meno probabilità di volersi candidare nelle culture del genio; per di più, anche se fanno domanda, hanno meno probabilità di ottenere buoni risultati durante i test comuni.

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4. Che cosa sono il continuum mentale e la cultura mentale

L’essere umano, invece di avere semplicemente una mentalità fissa o di crescita, si muove lungo un continuum che, a seconda delle circostanze, tende maggiormente verso la mentalità fissa o verso quella di crescita. In questo continuum esiste anche un punto di riferimento predefinito: forse tendete a passare il tempo all’estremità della crescita del continuum, o forse la vostra risposta iniziale alla sfida è prevalentemente fissa (in ogni caso, non tenetevi troppo stretta questa idea, perché il nostro punto di riferimento può cambiare nel tempo e in base alle situazioni).

Il continuum mentale

Il continuum mentale.

La comprensione del nostro punto di riferimento mentale può essere un utile punto di partenza, come dimostra il lavoro di Carol Dweck, eppure nessuno di noi vive nel vuoto. Infatti, uno dei risultati più sorprendenti della nostra ricerca è che le persone si muovono lungo il continuum sulla base di elementi prevedibili e distinguibili che li circondano, motivo per cui le valutazioni volte a individuare la nostra unica vera mentalità spesso non centrano il bersaglio.

Cultura mentale

La cultura che ci circonda è uno dei più grandi influssi sulle nostre convinzioni, motivazioni e comportamenti. Questa cultura mentale esiste a livello di gruppo e a livello di organizzazione.

La cultura mentale è così potente che può effettivamente bloccare la mentalità di crescita di un individuo. Tuttavia, quando i leader si concentrano sullo sviluppo degli individui, quasi sempre trascurano l’impatto della cultura mentale da loro creata (in molti casi non ne sono nemmeno consapevoli!). A titolo di esempio Sadie Lincoln, CEO di Barre, era convinta di gestire un’attività di fitness incentrata su una mentalità di crescita, fino a quando un sondaggio anonimo a livello aziendale infranse quell’immagine a cui tanto aveva lavorato, ossia quella del leader perfetto che rende tutto agevole. Cercavo davvero di assumere quel ruolo, anche se non era sempre veritiero, afferma Lincoln. Ma non mi ero resa conto di avere creato una cultura della perfezione che ci portava a perdere la nostra autenticità, la fiducia e la capacità di innovare insieme.

La perfezione è uno degli aspetti caratteristici di una cultura mentale fissa. In un ambiente che richiede prestazioni apparentemente semplici e impeccabili (stabilite dall’alto), i dipendenti si sentono demotivati e demoralizzati, invece di rinvigorirsi e lasciarsi ispirare per affrontare le sfide. È proprio questo l’effetto della cultura mentale. Persino una leader attenta come Sadie Lincoln rimase scioccata nell’apprendere che, invece di una cultura della crescita, aveva involontariamente creato quella che io definisco cultura del genio, ossia un’organizzazione le cui politiche, pratiche e norme incarnano convinzioni mentali fisse.

Lincoln sapeva di dover riesaminare la cultura aziendale insieme alla sua squadra, assumendosi la propria responsabilità per la creazione di quell’atmosfera tossica, ma non fu facile e ci furono delle conseguenze. Persi alcuni membri del team durante quel periodo di tentativi, ha rivelato Lincoln.

Alcune persone che avevano aderito alla cultura mentale fissa, basata sulla perfezione agevole, rimasero infatti turbati dall’intervento di Lincoln, che riconobbe apertamente i suoi fallimenti e se ne assunse la responsabilità. Le persone che rimasero in azienda, invece, la aiutarono a costruire la loro nuova cultura mentale, fondata sulla crescita. Come rivelato a Guy Raz in un’intervista del 2020 per il podcast How I Built This, le lezioni che il team apprese in quel periodo aiutarono l’azienda a superare con successo la pandemia di COVID-19, periodo in cui innumerevoli altre società di fitness dovettero chiudere i battenti in modo definitivo. Entro pochi giorni dalla chiusura di tutte le sedi a livello nazionale, infatti, la società si reinventò come piattaforma di esercizi online.

I lockdown furono solo l’inizio delle problematiche che dovettero affrontare. In risposta alle proteste del movimento Black Lives Matter, Lincoln e il suo team invitarono alcuni esperti e iniziarono a formulare un piano per affrontare le questioni di razzismo strutturale, diversità, equità e inclusione identificate all’interno dell’azienda. Come Lincoln svelò a Raz: Quello fu uno dei momenti più duri, profondi e importanti della storia di Barre… Sono una donna bianca in una posizione dirigenziale con immensi privilegi e ho inconsciamente costruito una società di leader che mi somigliano molto (comprendendo tra questi i titolari dei franchising e gli istruttori). L’azienda collaborò con il partner DEI per istruire la leadership e i proprietari dei franchising e per ridefinire le proprie pratiche di sensibilizzazione e assunzione. I loro piani furono condivisi pubblicamente attraverso il blog della società; venne altresì creata una serie di metriche interne per misurare i progressi e sono tuttora in corso interventi per rimodellare i sistemi affinché le politiche incentrate sulla DEI diventino la norma in tutta l’organizzazione.

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5. Come incoraggiare un comportamento etico e un’elevata integrità nella propria organizzazione

Ecco alcune strategie che possiamo adottare per incoraggiare la nostra organizzazione a operare in modo etico e integro.

Utilizzare i sistemi di misurazione per identificare le opportunità di sviluppo e miglioramento

Assicuriamoci che le metriche per misurare le prestazioni dei dipendenti siano solide e trasparenti; accertiamoci che vengano utilizzate per identificare chi potrebbe aver bisogno di maggiori risorse e supporto e chi potrebbe essere un buon candidato a fornirli. Individuiamo i dipendenti e le squadre che seguono una traiettoria ascendente e quelli che invece sono rimasti bloccati o stanno tornando indietro (è un segno della necessità di utilizzare nuove strategie e aumentare il sostegno).

La cultura della crescita, di Mary C. Murphy

come creare ambienti in cui le persone vogliano stare, dove tutti possano prosperare e dove sia possibile esprimere il proprio potenziale, sia individualmente che in gruppo.

Le culture della crescita danno valore alla trasparenza: non solo aiuta i dipendenti a capire chiaramente a cosa stanno mirando e come saranno valutati, ma genera anche sicurezza psicologica, fiducia e impegno. Valutiamo come stiamo istruendo e sviluppando i nostri dipendenti e come stiate misurando le loro prestazioni: stiamo conducendo solo corsi di formazione basati sulle attività o stiamo aiutando i dipendenti a sviluppare competenze più ricche? In che modo le persone si impegnano negli obiettivi che l’azienda si è prefissata? Ci sono conseguenze indesiderate di una qualsiasi delle metriche? (Già che ci siamo, è una buona idea dare un’occhiata a quegli obiettivi e scoprire se sono realizzabili). Le persone stanno facendo il loro lavoro nel miglior modo possibile, o stanno lavorando solo per far sembrare che sia così?

Oltre a rendere trasparente la misurazione, dobbiamo renderla cospicua: ottimizziamo gli obiettivi prestazionali standard (per esempio quelli finanziari) con metriche che considerano i progressi di un dipendente, le sfide che ha superato, i rischi che ha assunto, le sue attività di collaborazione, ciò che ha raggiunto lavorando tra i vari reparti e così via. Inoltre, preferiamo obiettivi comportamentali e orientati ai valori.

Insieme, questi tipi di obiettivi ci avvicineranno ai risultati che vogliamo veramente raggiungere e aiuteranno i singoli individui e l’intera organizzazione a passare a una cultura della crescita.

Assumere persone integre

Durante il colloquio, cerchiamo i segnali d’allarme che potrebbero indicare problemi di etica. I candidati parlano di fare tutto il necessario per raggiungere gli obiettivi o battere la concorrenza? Scopriamo cosa intendono realmente e chiediamo loro di parlarci delle sfide etiche in cui si sono imbattuti in passato e di come le hanno affrontate.

Oltre a prestare attenzione alle persone che stiamo assumendo e a ciò che apprezzano, dovremo assicurarci che anche la dirigenza faccia seguire i fatti alle parole. Se i dipendenti guardano in alto e vedono problemi etici, saranno confusi e penseranno che vada bene (o anche che sia necessario) pugnalare alle spalle, accumulare informazioni o ingannare il sistema, proprio come stanno facendo i leader.

Integrare l’etica ovunque

Le organizzazioni con la massima integrità non si limitano a dare un’occhiata agli standard etici. Quando le linee guida federali imposero a un appaltatore governativo della zona di Washington, DC di istituire un programma etico, la risposta della società fu quella di creare una guida standard al comportamento etico da distribuire ai dipendenti (senza riconoscere le differenze culturali, anche se l’organizzazione impiegava più di 1.500 persone in diverse località in tutto il mondo). Acquistarono anche un programma di formazione generico sull’etica in cui la risposta a domande piuttosto ovvie faceva ottenere al dipendente un certificato di completamento. Infine, crearono una hotline etica monitorata da un vicepresidente, che era così sovraccarica che la relativa segreteria telefonica era sempre piena: quando il telefono smise di squillare, definirono il programma un successo.

I corsi di formazione sull’etica come questi, che richiedono di selezionare una casella e non forniscono informazioni utili e attuabili, sono fin troppo comuni. Marianne Jennings, professoressa di etica aziendale presso l’Arizona State University, scrive nel suo libro The Seven Signs of Ethical Collapse:

I dipendenti dovrebbero avere esempi specifici di cosa è giusto e sbagliato e modelli ben precisi all’interno del loro settore. Occorre spiegare le linee di condotta che i dipendenti non devono superare nel raggiungimento degli obiettivi e poi fornire loro esempi di atteggiamenti che non oltrepassano tali linee: solo così si fornisce ai dipendenti una linea di base su cui riflettere… I valori determinano cosa faremo e non faremo per arrivare ai risultati previsti.

Raddoppiare la collaborazione per ridurre i comportamenti competitivi non etici

L’istituzione di policy e pratiche che dimostrino che lavorare insieme, e non sabotare i colleghi, è il modo migliore per progredire all’interno dell’organizzazione è uno dei mezzi utili per dimostrare il nostro impegno nei confronti di un comportamento etico. Invece di ritirare la scala una volta a bordo o persino spingere un collega o due in mare, i dipendenti vedranno che la nostra organizzazione è maggiormente interessata al successo del gruppo. I dipendenti possono ancora distinguersi in questi ambienti, ma per il modo in cui hanno lavorato per sviluppare le loro competenze e per la loro disponibilità a collaborare con gli altri per la causa più grande.

Quando si parla di collaborazione, non basta guardare negli stessi vecchi luoghi per individuare i potenziali partner, ma occorre cercare a ogni livello dell’azienda e in tutto l’organigramma, persino al di fuori dell’azienda stessa. È facile pensare che abbiamo tutte le risposte, ma per essere organizzazioni discenti nelle culture della crescita è fondamentale essere capaci di ascoltare. Ponendo domande e ascoltando le risposte (per poi agire in base a ciò che si apprende) è possibile generare la fiducia, una componente fondamentale dell’integrità, e quindi diffondere l’apprendimento in tutta l’organizzazione. Se i leader dell’organizzazione, in particolare, sono concentrati sull’emissione di editti, è probabile che stiano perdendo opportunità rivoluzionarie di ascoltare e imparare.

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Questo articolo richiama contenuti da Mary C. Murphy..

Immagine di apertura originale di Suzanne D. Williams su Unsplash.

L'autore

  • Mary C. Murphy
    Mary C. Murphy ha conseguito un dottorato in psicologia sociale presso l'Università di Stanford nel 2007, sotto la guida di Claude Steele e Carol Dweck. Oggi, sempre a Stanford, dirige il Summer Institute on Diversity. Insegna Psicologia e Neuroscienze presso l'Università dell'Indiana ed è CEO di Equity Accelerator, un'organizzazione di ricerca e consulenza che collabora con scuole e aziende per creare ambienti di apprendimento e di lavoro più equi. Nel 2019 ha ricevuto il Presidential Early Career Award for Scientists and Engineers, il più alto riconoscimento che il governo degli Stati Uniti conferisce agli studiosi per i meriti raggiunti nelle prime fasi della loro carriera.

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