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Confermata la corresponsabilità di un datore di lavoro per il sito personale di un dipendente

17 Maggio 2006

Confermata la corresponsabilità di un datore di lavoro per il sito personale di un dipendente

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La Corte d´Appello di Aix en Provence ha confermato la sentenza del Tribunale di Marsiglia, che aveva condannato un'impresa e un suo dipendente che aveva realizzato, dal posto di lavoro, un sito personale a contenuto diffamatorio

Nel giugno 2003, il Tribunal de Grande Instance di Marsiglia ha condannato un datore di lavoro, unitamente ad un proprio dipendente, in quanto quest’ultimo aveva creato, dal posto di lavoro, un sito denominato Escroca nel quale criticava, anche attraverso numerose affermazioni diffamatorie, la politica praticata da Escota – filiale della Società delle autostrade del Sud della Francia e concessionaria di una rete autostradale di 459 km – soprattutto in riferimento alle tariffe dei pedaggi.

La società Escota aveva citato in giudizio, oltre all’autore del sito, anche il provider che lo ospitava (Multimania, poi divenuta Lycos), nonché la società Lucent Technologies, in qualità di datrice di lavoro dell´autore di Escroca, «per avergli fornito i mezzi materiali per commettere l’illecito». Escota aveva chiesto la condanna dei soggetti citati in giudizio, per contraffazione del marchio, per contraffazione delle pagine del proprio sito escota.com, nonché per le opinioni ingiuriose espresse dall’autore nei suoi confronti, e per gli insulti espressi nei confronti dei suoi impiegati e dirigenti. Dal canto suo, la difesa della Lucent Technologies aveva sostenuto che nel comportamento del proprio dipendente non era ravvisabile la contraffazione del marchio, bensì una parodia dello stesso.

Il Tribunale, però, non aveva accolto questa interpretazione perché «l’imitazione del marchio non era guidata dall’intenzione di divertire senza nuocere, ma era motivata da sentimenti astiosi e aveva lo scopo di denigrare la società e attentare alla sua immagine». Il Tribunale aveva ritenuto corresponsabile la società Lucent Technologies, sulla base del disposto dell’art. 1384, 5° comma, del Codice civile francese – equivalente all´art. 2049 del Codice civile italiano – che afferma che il datore di lavoro è responsabile del danno causato dai propri dipendenti, nello svolgimento delle mansioni per le quali sono stati assunti.

In particolare i giudici avevano fondato la propria decisione su una nota diffusa dal Direttore Risorse Umane dell’azienda, con la quale quest´ultimo aveva autorizzato i dipendenti ad utilizzare l’attrezzatura informatica messa a loro disposizione sul posto di lavoro e gli accessi a Internet esistenti, anche per consultare siti che non presentassero un interesse direttamente connesso alla loro attività lavorativa, durante l’orario di lavoro. Dal tenore della nota, il Tribunale aveva dedotto che la società doveva essere ritenuta corresponsabile degli illeciti compiuti dai suoi dipendenti, per non aver specificato chiaramente quali condotte non erano loro consentite, nell’utilizzo di Internet. La condanna di Lucent Technologies, comunque, non era stata molto onerosa, in quanto la società ha solamente dovuto farsi carico di una parte delle spese giudiziali.

La Società ha impugnato la sentenza del Tribunale di Marsiglia, ma la Corte d´Appello di Aix en Provence, con una recente sentenza, ha confermato la decisione emessa in primo grado, in quanto ha ritenuto che il dipendente, lavorando in un´azienda nella quale l´uso del computer e di Internet è quotidiano, ha sicuramente agito nell´ambito delle sue funzioni. Inoltre, secondo la Corte, l´autore del sito Escroca aveva l´autorizzazione della Società e non ha agito a scopi estranei alle sue funzioni, in quanto la nota del Direttore Risorse Umane aveva autorizzato i dipendenti ad utilizzare internet per visitare siti anche non direttamente correlati alla loro attività lavorativa.

I parametri utilizzati dai giudici in questa sentenza sembrano porsi in contrasto con il parere della Cnil (Commission Nationale de l´Informatique et des Libertés), la quale sostiene che «un´interdizione generale e assoluta dell´utilizzo di Internet a fini diversi da quelli professionali non sembra realistica, in una società dell´informazione e della comunicazione».

L'autore

  • Annarita Gili
    Annarita Gili è avvocato civilista. Dal 1995 si dedica allo studio e all’attività professionale relativamente a tutti i settori del Diritto Civile, tra cui il Diritto dell’Informatica, di Internet e delle Nuove tecnologie.

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