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Dieci piccoli blogger

17 Luglio 2008

Dieci piccoli blogger

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Un thriller estivo a puntate per rinfrescare con una punta di brivido e ironia i mesi più caldi della blogosfera italiana. Mr. Mxyzptlk è un blogger incompreso, ma la sua nuova identità digitale sta per rivelarsi al mondo. Non sarà una sorpresa gradita, per le persone sulla sua lista

«È tutto a posto», pensa, mentre ripone la lama nella sua custodia.
La luce fredda del monitor si riflette per un attimo nei suoi occhi.
Domani è il grande giorno. Ha aspettato mesi, si è preparato. Questa volta non sbaglierà.

Si è iscritto a tutti i servizi social, per non sbagliare. Per attirare le sue prede nel modo più semplice.
Il suo nick è Samael, il suo avatar una simpatica faccina di manga, stile Akira Toriyama. Si confonde con la folla.
Ma ben presto la folla conoscerà la furia di Samael.

Si alza dalla sua postazione, dove tiene d’occhio l’andamento delle conversazioni. Il Pc emette brevi suoni soffocati, il monitor è in continuo refresh. Su quello schermo passa ogni cosa. Le frasi monche di Twitter, le prese in giro di Friendfeed, gli status messages di GTalk e di Facebook.
Ogni post, ogni bookmark condiviso, ogni video, ogni poke. Non deve sfuggire nulla.

Di tanto in tanto prova a scrivere qualcosa, per dar corpo alla sua nuova identità digitale. Un commento, una preferenza. Ma nessuno lo considera. Nessuno lo ha mai considerato. Come quando…

… come quando si chiamava ancora Mr. Mxyzptlk, come il villain venuto dalla quinta dimensione nell’universo DC. Non lo avevano capito. Forse era troppo difficile da pronunciare? Mix-yez-PIT-lek, Mix-yez-PIT-ul-ick, Mix-yez-pittle-ik. Non lo azzeccava mai nessuno.
Gli errori tipografici, poi si sprecavano. Non un reply su Twitter, non un commento sul suo blog. Anche su Second Life, dove pure i nomi degli avatar erano spesso più complicati del suo, restava spesso solo, unico visitatore di isole deserte e spoglie.

Controlla un’ultima volta la lista. È un foglio bianco.
A margine, sul lato destro, una serie di numeri cerchiati, da uno a dieci.
Sì, domani è il grande giorno. Domani compilerà la lista.

Ripone il foglio in una tasca segreta del mantello nero appeso alla porta della stanza. Teatrale, lo sa benissimo. Ma non resiste. «E aspettate di vedere la maschera senza lineamenti», pensa, rivolgendosi mentalmente a quei blogger maledetti, quelli che senza fatica, con un pugno di link, si sono conquistati un’identità, un personaggio… una maschera. Lui sarebbe stato la negazione della maschera, la negazione di ogni identità.
Il nulla, che avrebbe avuto la sua vendetta contro quel mondo pieno di voci.

Ripiega il mantello intorno a una maschera bianca, perfettamente liscia, con due fori scuri in corrispondenza degli occhi, una fessura e due forellini per respirare. Lo nasconde in un cassetto ricolmo di gadget tecnologici inutilizzati, quelli che ha acquistato negli anni solo per potersi sentire parte di una comunità – sia pure una comunità di geek – e che poi non ha mai usato.

Apre la finestra. È il 17 luglio, ma non fa ancora così caldo come dovrebbe. L’aria fresca non disperde il rancore accumulato nella stanza.

Si stende sul letto e chiude gli occhi. Sul suo volto si alternano i riflessi del monitor e quelli del Nabaztag, posizionato su una mensola appena sopra di lui. Lo ha disabilitato da tempo, ormai funziona solo come una luce di cortesia. Quando piega un orecchio del coniglio, nessun altro orecchio si muove. Il Nabaztag è solo come lui.

A poco a poco, scivola nel sonno e sogna…

… nel sogno è a un Barcamp, pieno di gente che guarda il suo badge, sorride e gli stringe la mano. Si siede ad ascoltare uno speech e improvvisamente un MacBook bianco compare sulle sue ginocchia. Sul MacBook c’è un video feed in streaming. È lei, che gli parla. Lei, che lo invita ad uscire dalla sala per un momento di interstizio. Gli dice daje, gli dice vieni, gli dice è qui nell’altra stanza che c’è la vera conversazione. Lui si alza, attraversa la sala del catering, arriva nel corridoio, la vede. Lei gli sorride, abbassa la webcam. Poi chiama i suoi amici di blogroll, che lo spingono a terra, lo prendono a calci, lo umiliano, gli sputano addosso. Non puoi venire ai Barcamp, gli dicono. Chi ti conosce, chi credi di essere, non sei nessuno, non hai nemmeno un iPhone, non vali un…

Si sveglia di colpo, con un respiro più forte. Torna verso il computer. La luce della luna piena illumina il suo corpo glabro, nudo. Si sofferma su una delle finestre aperte. Allunga una mano e sfiora con due dita l’avatar di una blogger sorridente, con una nuvola di capelli ricci. Poi legge il suo ennesimo twit, che «spamma un link a un contest pazzesco». La mano si chiude a pugno.

Non c’è speranza, devono morire tutti.

[continua]

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