Il nostro modo di interagire in Rete con applicazioni e con persone costituisce la nostra personalità digitale. Essere cittadini della rete richiede competenze e conoscenze che non sono legate solo ai virtuosismi tecnici. La scuola e l’università raramente si preoccupano di fornire ai propri studenti elementi per costruire la loro cittadinanza digitale. Le agenzie formative dovrebbero insegnare ad accettare e rispettare l’altro, a esercitare il pensiero critico, a imparare che collaborare non significa approfittare del lavoro dell’altro, che si può essere complementari, che è opportuno evitare alcuni comportamenti per non finire nei guai. Essere cittadini digitali significa possedere l’equivalente di queste abilità nel mondo digitale. Così come si può essere buoni cittadini anche senza saper guidare un’auto, disporre di competenze informatiche di base è necessario ma non esaustivo: si può essere laureati in informatica e non esercitare una piena competenza digitale e viceversa.
Su questo argomento abbiamo intervistato Antonio Calvani, docente di Tecnologie dell’Istruzione presso l’Università di Firenze, che con i suoi collaboratori Maria Ranieri e Antonio Fini sta dando vita al Digital Competence Assessment, una proposta concreta per nuove forme di certificazione della competenza digitale.
Professor Calvani, in Italia alla certificazione informatica si associa in genere la patente europea del computer. Patente ed europea sono due concetti forti, mentre voi avete preferito competenza digitale e assessment (che non avete tradotto). Qual è il significato di questa scelta?
Per una definizione di competenza digitale, esaminando la letteratura, ci siamo imbattuti in una varietà di termini, per esempio Computer/IT Literacy, Information Literacy, Media Literacy, Media Education. Ci siamo anche resi conto che negli ultimi anni il concetto di Digital Literacy (o Competence, come noi preferiamo) si è progressivamente spostato dagli aspetti più eminentemente tecnici, verso elementi di più alto valore cognitivo, che includono soprattutto abilità relative al trattamento e alla valutazione delle informazioni e, in definitiva, dell’essere negli ambienti di rete. Alla fine, abbiamo preferito sintetizzare con “competenza digitale”, certamente per il richiamo a questo termine nelle raccomandazioni europee, ma anche perché il termine competenza si sta sempre più affermando nel lessico educativo.
La nostra idea di competenza digitale è piuttosto articolata: ne riconosciamo prima di tutto una natura multidimensionale, la quale implica l’integrazione di abilità natura cognitiva, relazionale e sociale. Ci sembra una competenza complessa, non facilmente valutabile con singole prove. È interconnessa, non può prescindere da altre capacità di base come la lettura, il problem solving, le capacità deduttive, la meta cognizione. È infine sensibile al contesto socio-culturale: non crediamo si possa pensare a un modello unico di alfabetizzazione digitale ritenendolo valido sempre e ovunque, ma occorre declinarlo in relazione ai vari contesti d’uso (formazione di base, professionale, specialistica, lifelong learning).
Una definizione semplice, ma esaustiva potrebbe essere la seguente: la competenza digitale consiste nel saper esplorare e affrontare in modo flessibile situazioni tecnologiche nuove, nel saper analizzare selezionare e valutare criticamente dati e informazioni, nel sapersi avvalere del potenziale delle tecnologie per la rappresentazione e soluzione di problemi e per la costruzione condivisa e collaborativa della conoscenza, mantenendo la consapevolezza della responsabilità personali, del confine tra sé e gli altri e del rispetto dei diritti/doveri reciproci.
Nonostante la natura complessa di questa dimensione pensiamo che sia necessario trovare comunque tecniche concrete per implementarla in specifici strumenti di misura (assessment, appunto). In genere infatti le definizioni si limitano a fornire descrittori teorici non tradotti in strumenti concreti – tranne il lavoro del Oecd-Pisa, a cui parzialmente il nostro lavoro si richiama.
Da qui voi siete arrivati al Digital Competence Assessment. Come si ottiene questa certificazione?
Precisiamo che non si tratta, almeno per il momento, di una vera e propria certificazione, anche se è senz’altro possibile ottenere un attestato delle prove svolte con i risultati ottenuti dalla istituzione che promuove la ricerca. La Dca è soprattutto uno strumento didattico, pensato sia per i docenti che per gli studenti, in chiave di autovalutazione. Il complesso di strumenti di valutazione (alcuni già operanti, altri ancora in fase di messa a punto) sono a disposizione delle scuole o meglio, dei singoli insegnanti che volessero indagare questo aspetto della formazione dei propri alunni. Ci sembra importante rimarcare la necessità di valutazione ad ampio spettro della competenza digitale, nel senso indicato in precedenza. Il rischio è di appiattirsi sull’idea che i cosiddetti nativi digitali, termine oggi molto di moda, siano giovani e ragazzi in possesso di abilità quasi sovrumane nei riguardi delle tecnologie, o quanto meno impensabili per la generazione precedente, e che ne siano totalmente padroni. Ricerche ed evidenze empiriche quotidiane mostrano come questo quadro non sia veritiero. Riteniamo pertanto che la scuola debba ricoprire un ruolo primario anche per questa alfabetizzazione. Il progetto vuole quindi essere un aiuto, un primo passo per aumentare la consapevolezza di questa necessità tra i docenti e dare loro già un aiuto concreto.
Chi sono i destinatari ideali di questa iniziativa?
Almeno per questa prima versione delle prove, il target è costituito tipicamente da studenti di 15/16 anni, quindi frequentanti la prima o la seconda classe degli istituti superiori. Tuttavia stiamo già lavorando per adattarle anche a livelli più bassi (fine scuola elementare/media) e più elevati (ingresso all’università).
Le prove sono in qualche modo legate al tipo di hardware e software utilizzato?
Assolutamente no. Anzi, la nostra visione di competenza digitale è piuttosto scollegata dalle abilità pratiche, dallo “smanettamento” al computer. A noi interessa che lo studente sia in grado di valutare le sue abilità alte rispetto alla tecnologia. Gli hardware e i software hanno breve durata, si sa: accertare la mera abilità all’uso di essi non ci sembra molto significativo.
Quanto impegno è richiesto mediamente per prepararsi a questa prova?
Non è richiesta alcuna preparazione specifica. Non avendo fini certificativi di abilità secondo un syllabus precostituito e considerando soprattutto il fine auto-valutativo, ognuno si può sottoporre alle prove in qualsiasi momento. È però necessario avere una conoscenza del lessico e di alcuni termini specifici, che abbiamo raccolto in un glossario. La raccomandazione per i docenti è che si accertino che i loro studenti abbiano familiarità con questi termini, prima di effettuare le prove.
I questionari richiedono mediamente quarantacinque minuti per lo svolgimento che, ribadiamo, sieffettua in modo completamente automatico, via Internet, oltre che anonimo. Le prove situate, che pure richiedono il laboratorio informatico, sono invece un po’ più impegnative (pensiamo a circa un ora e mezza), ma per queste siamo ancora in fase di pre-testing presso alcuni istituti. Tra l’altro, proprio in queste settimane è in fase di costituzione una rete di scuole sperimentali interessate a coadiuvare il progetto. Chi volesse partecipare, anche con singole classi, può prendere contatto con il nostro gruppo di lavoro.
Sostenere questa prova può essere considerata un’azione integrativa o alternativa all’Ecdl?
Certamente non alternativa e per ora non si può neanche considerare integrativa, gli scopi sono abbastanza diversi. In ogni caso, non vogliamo assolutamente fare concorrenza ad Aica, che con Ecdl ha avuto un enorme merito, in Italia. Ha attirato l’attenzione sulle Tic da parte di una larghissima fascia di popolazione e, soprattutto di insegnanti e di scuole, in un momento nel quale il nostro Paese era molto indietro da questo punto di vista. Oggi però le cose sono cambiate: una volta fatto il primo passo, è il momento di considerare la competenza digitale come qualcosa di diverso, più ampio rispetto all’abilità nell’uso di questo o quel software. Va ricordato inoltre che l’obiettivo dell’Ecdl è sostanzialmente il lavoro d’ufficio supportato dalle Tic. Anche questa visione è oggi forse un po’ riduttiva. Le scuole hanno bisogno di strumenti diversi.
Chi ha già conseguito l’Ecdl è avvantaggiato?
In alcune parti delle prove (ad esempio quelle più specificamente tecnologiche), chi è già abituato a lavorare con il Pc è può essere un pochino avvantaggiato, anche se andrebbe verificata la correlazione. Per la sezione cognitiva ed etica questa correlazione dovrebbe essere nulla o quasi. Invece può incidere più significativamente un buon pattern di capacità cognitive e astrattive.
Come intendete procedere per far riconoscere il Digital Competence Assessment da enti pubblici e privati?
Per ora vogliamo prima acquisire una base di dati adeguata, e i nostri rapporti sono stati orientati soprattutto all’ambito internazionale. Per esempio abbiamo già realizzato la versione inglese dei questionari Instant DCA e delle prove situate. Abbiamo poi contatti in Europa, con alcune scuole inglesi e del Nord Europa che hanno iniziato a testare le prove. E in Cina: esiste una versione in Mandarino dei questionari e nei prossimi mesi porteremo a termine un progetto congiunto con alcune scuole cinesi. Infine abbiamo stabilito rapporti anche con organismi internazionali, a cominciare dall’Unesco. Appena possibile sarà presentata anche alle istituzioni nazionali preposte all’istruzione, che possono già manifestare interesse sul sito del nostro progetto.