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Direttore irresponsabile, cosa dice la Cassazione

07 Ottobre 2010

Direttore irresponsabile, cosa dice la Cassazione

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Attenzione a dedurre eccessive libertà dalla sentenza divenuta celebre in questi giorni. Il caso nato da un commento su un giornale online nasce da circostanze molto specifiche e difficilmente avrà effetti al di fuori di contesti simili

Dunque la Cassazione dice che il direttore di un giornale web non risponde di omesso controllo. Vediamo di capire meglio i termini della questione. Nel nostro Paese l’argomento è delicato e controverso da circa un decennio, e cioè da quando la legge 62/2001 in materia di editoria ha stabilito quali siti web possono essere definiti «testate telematiche» e quali siano i presupposti per l’applicabilità della legge in materia di stampa ai contenuti e all’informazione online. La legge del 2001 è stata accolta sin dalla sua promulgazione da forti critiche per l’approssimazione delle definizioni e dei requisiti con cui il legislatore ha espresso gli obblighi di registrazione presso i tribunali per le testate telematiche, senza dirimere i contrasti giurisprudenziali che si erano nel frattempo formati. Quelle norme hanno sollevato dubbi – che ancora permangono – su che cosa si debba ritenere una testata telematica e che cosa no, e se anche i siti amatoriali siano soggetti agli obblighi imposti dalla legge stampa in presenza dei requisiti formali richiesti. A tutt’oggi il quadro che regola la materia della libertà di informazione su internet è complesso e ha provocato l’espressione di due fenomeni che spesso si accompagnano: timore ed incertezza.

Da un lato, infatti, possiamo riscontrare una prassi tipicamente italiana che consiste nell’apposizione di termini legali nei blog amatoriali per rendere evidente al lettore (e alle autorità) che il sito che leggono non può essere considerato prodotto editoriale nonostante abbia un titolo e presenti gli aggiornamenti in ordine cronologico («Questo blog non è una testata giornalistica e non può, pertanto, considerarsi prodotto editoriale…»). Per l’applicazione delle norme in materia di stampa ai siti internet, infatti, la legge del 2001 richiede la presenza di due requisiti colpevoli della confusione: una testata e un aggiornamento periodico. Due elementi, questi, che certamente possono essere presenti nei blog (data la struttura delle piattaforme), ma che altrettanto certamente non possono essere da sé sufficienti a qualificare una testata telematica. Fin qui il timore. L’incertezza invece è costituita dalla giurisprudenza che va formandosi in materia, con particolare riferimento alla questione di interpretazione che ha portato alla chiusura di un sito di storia e politica locale per il reato di stampa clandestina. La sentenza del tribunale di Modica, ben nota, ha rilevato infatti che qualsiasi sito dotato di testata identificativa che si occupi di attualità e che abbia periodicità regolare nelle pubblicazioni sia soggetto all’obbligo di registrazione della testata. Nel caso di specie la mancanza di registrazione ha qualificato il sito come stampa clandestina e individuato nel gestore il relativo colpevole.

Il caso in Cassazione

Nel caso diventato famoso in questi giorni – sentenza della Sezione V Penale della Corte di Cassazione, numero 35511/10, depositato il 1° ottobre – l’imputazione era  diversa, sebbene la premessa sia comunque l’applicabilità delle regole in materia di stampa ai siti che fanno informazione. In modo particolare la questione affrontata dalla Corte verteva sulla possibilità di estendere la disciplina in materia di responsabilità per omissione di controllo del direttore e vice direttore responsabile di testate giornalistiche a quello che in sentenza si definisce «giornale telematico». La sentenza non approfondisce la questione della registrazione della testata e tali dati non emergono dal sito in argomento. Tuttavia proprio questo, come stiamo per vedere, è uno dei dati interessanti.

Il caso, emblematico, riguardava una querela per diffamazione compiutasi attraverso l’invio di una “lettera” alla testata web contenente offese. Non si tratta di un contenuto pubblicato in un articolo, ma di uno spazio aperto ai commenti dei lettori. Ai giudici, quindi, è toccato accertare l’esistenza o meno della responsabilità del direttore della testata per avere omesso il controllo sul contenuto della lettera pubblicata. In primo e in secondo grado essi hanno ritenuto il direttore responsabile colpevole del reato proprio di omissione di controllo, da qui il ricorso in Cassazione.

I motivi di impugnazione

I motivi di impugnazione sono stati due, il primo verteva sulla veridicità dell’accusa stessa poiché il direttore contestava il fatto che la pubblicazione fosse mai avvenuta. Il secondo, in base al quale è stata resa la decisione, ha considerato che i reati commessi a mezzo stampa sono stati previsti dal legislatore per quello specifico mezzo e applicarli all’informazione online avrebbe comportato una analogia in malam partem, vietata dal nostro ordinamento nei procedimenti penali. La Cassazione ha deciso di analizzare la responsabilità del direttore in base a questo motivo, ritenendolo prevalente e capace di decidere l’intera questione, e giungendo alla conclusione che:

Invero, né con la legge 7 marzo 2001 n. 62, né con il già menzionato D.Lsvo del 2003, è stata effettuata la estensione della operatività dell’art. 57 cp dalla carta stampata ai giornali telematici, essendosi limitato il testo del 2001 a introdurre la registrazione dei giornali on line (che dunque devono necessariamente avere al vertice un direttore) solo per ragioni amministrative e, in ultima analisi, perché possano essere richieste le provvidenze previste per l’editoria (come ha chiarito il successivo D. Lsvo).

Allo stato, dunque, «il sistema non prevede la punibilità ai sensi dell’art 57 cp (o di un analogo meccanismo incriminatorio) del direttore di un giornale on line». La Cassazione, infatti, sembra ritenere il requisito della registrazione un elemento meramente formale e, cioè, non decisivo per l’argomento ed esclude che i reati propri del direttore e del vice direttore responsabile si possano applicare non solo, come è pacifico, ai siti che testata telematica non sono, ma anche alle testate telematiche stesse. Ha dato un significato letterale alla disposizione della legge del 2001 che, nel menzionare le testate telematiche, richiama due soli articoli della legge stampa e non la legge stampa in toto.

La disposizione, che riportiamo, dice: «Al prodotto editoriale si applicano le disposizioni di cui all’ articolo 2 della legge 8 febbraio 1948, n. 47. Il prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata, costituente elemento identificativo del prodotto, è sottoposto, altresì, agli obblighi previsti dall’articolo 5 della medesima legge n. 47 del 1948». Si tratta di una vittoria o di uno scandalo?

Oltre il far west

Il ragionamento della Cassazione, nella sua linearità e sintesi, risolve un caso particolare, ma solleva dibattiti su un intero impianto legislativo. La questione dell’applicazione della legge in ambito telematico, infatti, divide l’opinione pubblica tra chi pensa che internet sia un far west che ha bisogno di legalità e chi invece pensa che la legalità garantibile sul web non sia diversa dalla legalità garantibile nel mondo analogico. Per questo motivo una sentenza di Cassazione – elemento raro e prezioso quando coinvolge il web, vista la velocità con cui si evolvono le tecnologie e la lentezza con cui si svolgono i processi – dovrebbe essere conosciuta e discussa dalla maggior parte degli utenti di internet: essa è indice di una opinione qualificata e specchio di come il nostro Paese affronta la rete.

Il caso della diffamazione è inoltre particolarmente rappresentativo, perché è un reato la cui condotta può perfezionarsi in modo simile sul giornale cartaceo così come su un sito web. Nonostante ciò la Cassazione ha assolto il direttore della testata web. Dove può essere, quindi, collocata fra i due opposti poli la portata della sentenza? Quello che appare essenziale è capire se sia possibile trattare il web in modo differente dalla stampa senza, per questo, stravolgere i principi del nostro ordinamento e favorire l’idea che sul web ci sia illegalità.

La responsabilità del direttore

Anche il legislatore del ’48 trattava la stampa in modo diverso a seconda delle specifiche caratteristiche del prodotto finale. Facciamone una rapida rassegna. In quali casi il direttore di una testata giornalistica può rispondere a causa di un contenuto scritto da un terzo? L’articolo 57 del codice penale ne menziona espressamente due: il caso del concorso e il caso del reato omissivo proprio. Il concorso, come sappiamo, si verifica nella particolare ipotesi in cui il direttore sia consapevole dell’offensività di un contenuto e dello scopo che si è prefitto l’autore del contenuto stesso e lo pubblichi comunque. Questo caso si può verificare indifferentemente dal mezzo usato per diffamare: il concorso, cioè, può esserci su carta stampata, su televisione, radio e web senza ricorrere ad analogie sfavorevoli al reo.

Anche sotto i profili specifici del reato di diffamazione il mezzo usato per diffamare giustifica differenze di discipline. L’articolo 595 del codice penale, infatti, stabilisce che l’uso del mezzo della stampa è una specifica aggravante. Ancora, l’uso di un qualsiasi altro mezzo di pubblicità – tra i quali rientra sicuramente internet – costituisce una ulteriore e diversa aggravante. Generica, perché internet è solo uno dei “mezzi di pubblicità”. L’uso del mezzo della stampa e del mezzo di pubblicità, quindi, sono due diverse aggravanti dello stesso reato. Pertanto, una diffamazione che avvenga su un sito web può certamente essere punibile e aggravata senza scomodare pericolose analogie con la disciplina in materia di stampa. Sotto questi aspetti per legge e Cassazione non c’è differenza tra web e carta.

L’articolo 57, ancora, configura un reato proprio, e cioè legato a una particolare qualifica giuridica, che è quella di essere un direttore o un vice direttore: se questo manca (nel senso che la sua figura giuridica non è imposta dalla legge), manca il soggetto a cui la legge ha attribuito l’obbligo giuridico di impedire la commissione del reato e, quindi il reo. La diffamazione per televisione, invece, ha una disciplina specifica nell’articolo 30 della legge Mammì e il direttore di un programma televisivo non è come il direttore di un giornale. La legge, comunque, fa differenza sotto il profilo dell’assoggettabilità all’obbligo di controllo tra i diversi tipi di stampa e sottopone a conseguenze diverse il direttore responsabile di un periodico e quello di stampa non periodica. In quest’ultimo caso, infatti, si ha il solo editore e la sua responsabilità è sussidiaria: si verifica, cioè, solo se l’autore della pubblicazione sia rimasto ignoto o non imputabile.

Il poster e l’hoster

Dunque il legislatore non fa differenze tra web e carta stampata per la disciplina del concorso, mentre fa differenze fra carta stampata periodica e non periodica e mezzo televisivo per la responsabilità per omissione di controllo. Ora dobbiamo chiederci se, al di fuori degli articoli 57 e seguenti in materia di stampa, sia possibile che il direttore o il gestore di un sito web possa rispondere per il contenuto postato da terzi. La sentenza della Cassazione ha rilevato un vuoto normativo in materia (un difetto di richiamo esplicito alle norme in materia di reati propri, per essere precisi) e ha richiamato ad abundantiam la direttiva in materia di e-commerce, la quale, sancendo gli obblighi dei provider, stabilisce che ad essi, espressamente, non è imputabile alcun obbligo di controllo. La ratio della previsione del legislatore europeo è da ricontrarsi nella impossibilità assoluta di controllare gli utenti e, di conseguenza, in un comportamento che sarebbe razionalmente inesigibile. La stessa direttiva, infatti, fa salvi i soli casi di concorso del provider con l’utente e del mancato adempimento tempestivo a un ordine di una autorità giudiziaria o amministrativa.

La sentenza della Cassazione si è pronunciata sugli specifici motivi di impugnazione correlati all’imputazione e, quindi, ha limitato il discorso ai soli reati commessi a mezzo stampa. Per completezza, però, vale la pena accennare all’esistenza di norme generali in materia di colpevolezza per fatto altrui. L’articolo 40 del codice penale prevede al secondo comma la fattispecie del reato omissivo improprio. Si tratta di un reato che occorre quando si verifica un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire. In questo caso, a differenza degli articoli 57 e seguenti, non serve una qualifica, basta che sussista un obbligo di impedire l’evento che, a seconda dei casi, si può qualificare come un obbligo di garanzia o un obbligo di controllo. L’obbligo può essere escluso nei casi in cui garanzia e controllo non siano esigibili poiché impossibili. Il sistema generale, quindi, è in linea col disposto della direttiva.

Obblighi giuridici

Quali possono essere le fonti di questo obbligo giuridico? Possono essere la legge (penale o extrapenale), il contratto, la propria precedente azione pericolosa. A queste categorie si sono aggiunte la negotiorum gestio (e, cioè, la gestione di affari altrui) e la consuetudine. Il comportamento che rileva in questo preciso momento storico è l’assunzione dell’obbligo tramite contratto. Poniamo il caso non di scuola in cui si scriva nei disclaimer di un blog, forum, rubrica dei commenti dei lettori o quant’altro che tutti i commenti sono soggetti a moderazione. In questo caso, senza scomodare analogie o vuoti normativi, si verifica un accordo esplicito tra il titolare del sito e i suoi utenti ed è, quindi, ben possibile che si risponda per omissione di controllo anche per uno spazio che si lascia aperto all’interazione con i lettori dei propri servizi.

La portata della sentenza della Cassazione sarà, molto probabilmente, circoscritta alle ipotesi di fatto in cui è stata pronunciata e che sono, comunque, ricavabili dal sistema (impossibilità di mantenere un comportamento e conseguente inesigibilità). Il superamento delle situazioni di timore e incertezza che ancora attanagliano le regole per l’informazione online è invece possibile e auspicabile.  È possibile trattare il web come un fenomeno completamente diverso da tutti gli altri, senza per questo snaturare l’ordinamento. Il presupposto necessario è comprendere l’uno e l’altro.

L'autore

  • Elvira Berlingieri
    Elvira Berlingieri, avvocato, vive tra Firenze e Amsterdam. Si occupa di diritto delle nuove tecnologie, diritto d'autore e proprietà intellettuale, protezione dei dati personali, e-learning, libertà di espressione ed editoria digitale. Effettua consulenza strategica R&D in ambito di e-commerce e marketing online. Docente, relatore e autore di pubblicazioni in materia, potete incontrarla online su www.elviraberlingieri.com o su Twitter @elvirab.

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