A seguito dell’uscita di Instagram Marketing, volume dedicato alle opportunità di comunicazione sul social “fotografico” del momento, continuiamo con l’autrice la chiacchierata che abbiamo iniziato il 18 giugno.
Apogeonline: Hai idea di qualche esperienza positiva che valga la pena di essere raccontata in tema di marketing su Instagram?
Chiara Cini: In generale i miei casi preferiti sono le attività personali o comunque a gestione ristretta. Le piccole realtà che amano così tanto ciò che fanno da riuscire a trasmettere il loro valore distintivo attraverso ogni pezzo di contenuto che costruiscono. Credo che in particolare per questi casi Instagram possa davvero fare la differenza.
Instagram Marketing è un libro denso. Quanto hai impiegato a scriverlo? Il social ti ha levato il tappeto da sotto i piedi nel mentre, costringendoti a rivedere delle parti che pensavi già pronte?
Troppo tempo! Cinque mesi circa. Ma questo è anche dovuto al fatto che poco prima avevo partorito un’altra creatura, quella però in carne ed ossa, e la conciliazione dei due ambiti è stata a dir poco sfidante 😉 La piattaforma cambia spesso, vengono rilasciate nuove funzionalità o cambiano piccoli dettagli. Ho cercato comunque di costruire il libro in modo che regga bene nel tempo, perché queste pagine dovrebbero guidare nel ragionare a un livello strategico. A livello pratico è sempre piuttosto semplice capire le novità.
Se parliamo di una piccola o media impresa, che dimensioni finanziarie potrebbe avere una campagna Instagram fatta bene? E per un libero professionista, quanto c’è da spendere per aspettarsi dei ritorni sostanziali?
Una risposta univoca non esiste. Se sei un piccolo parrucchiere di Mantova sarebbe inutile, anche potendo, investire 10k a campagna: avresti una copertura altissima ma probabilmente alzeresti la frequenza perché il target è circoscritto: ciò significa che rischieresti di esporre lo stesso annuncio alle stesse persone troppe volte e finiresti per risultare ripetitivo e pesante.
Meglio investimenti piccoli ma ripetuti nel tempo. Se invece parliamo di una multinazionale con un target molto ampio e budget importanti da investire, allora può avere senso costruire campagne a budget molto elevati su contenuti particolarmente strategici. In ogni caso, però, io credo sia sempre utile cominciare facendo campagne test a budget ridotto, per iniziare a comprendere meglio lo scenario, come reagisce il nostro pubblico, cosa funziona meglio e cosa peggio eccetera. Questo passaggio è fondamentale per poi costruire le campagne più importanti con maggiore consapevolezza.
Devo sapere qualcosa sulla demografia di Instagram prima di impegnarmi? È un canale riservato solo a una fascia d’età come, boh, Snapchat?
Direi di no. La fascia di età più rappresentata globalmente oggi è 18-34 ed è equamente distribuita tra uomini e donne (fonte Digital in 2018, di We are social con Hootsuite). Detto questo, anche le altre fasce d’età sono presenti e non c’è bisogno che ci siano milioni di persone con le caratteristiche che ci interessano: l’importante è riuscire a raggiungerne la maggior parte possibile con il budget che abbiamo. Il nostro target non è demograficamente tra i più rappresentati su Instagram? Nessun problema! Cominciamo a sviluppare una relazione con le persone che ci sono, e vedremo se riusciremo comunque a fare la differenza, partendo da loro.
Se considero tutte le fasi necessarie a concepire, eseguire, analizzare, correggere, misurare un progetto marketing su Instagram, dov’è che più spesso un inesperto tende a incartarsi?
Secondo me c’è una diffusa tendenza a sottovalutare la parte analitica, forse perché in molti la considerano noiosa, mentre invece spesso dai numeri possono arrivare spunti creativi. D’altra parte, un altro ambito su cui gli inesperti hanno evidentemente molte difficoltà è il progetto di contenuto: forse per mancanza di metodo, si tende a porsi giorno per giorno la terribile domanda e oggi cosa pubblico?, anziché avere una strategia chiara in testa e sapere per certo cosa è necessario pubblicare. Io credo che questo faccia la differenza in termini di percepito tra un brand professionale, e uno che si arrabatta.
Chi vince secondo te tra una foto curatissima ma fredda, e uno scatto potente emozionalmente ma povero di tecnica ed effetto, sopra il social basato almeno nominalmente sulle foto di qualità?
Entrambe le immagini hanno un grande potenziale, la prima per il crafting eccellente che contribuisce a creare un percepito di grande qualità e professionalità, e la seconda per la forza del contenuto. Non credo si possa dire nettamente che una vince sull’altra a priori: dipende dal contesto e dall’effetto che chi la pubblica vuole ottenere.