Più simili a cuscini di un divano che ad aspirapolvere
Apogeonline: Tutto sommato, qual è l’aspetto più affascinante dei buchi neri?
Becky Smethurst: L’aspetto più affascinante dei buchi neri, per me, è che sono così inconoscibili. Secondo le leggi della fisica come le comprendiamo attualmente, non potremo mai davvero sapere com’è realmente un buco nero. Poiché nulla può viaggiare più veloce della luce, non riceveremo mai informazioni da oltre l’orizzonte degli eventi, quel punto di non ritorno. Per uno scienziato che li studia è allo stesso tempo affascinante e frustrante!
Potremo mai produrre buchi neri artificiali, creati dall’uomo, o rimarrà sempre un’idea fantascientifica?
Nessuno è mai riuscito a creare un buco nero in laboratorio qui sulla Terra, ma se potessimo farlo ci aiuterebbe davvero a comprendere meglio la gravità e la meccanica quantistica! Finché si trattasse di un buco nero con una massa minuscola, la sua attrazione gravitazionale non sarebbe così forte da costituire un pericolo per noi o per il pianeta. Tuttavia, le energie necessarie per riuscirci e per comprimere la materia fino a renderla così densa sono attualmente oltre le nostre capacità e decisamente nel reame della fantascienza.
Sempre con un piede nella fantascienza, in un lontano futuro potremmo usare i buchi neri come fonte di energia?
In teoria sì; pensiamo sia possibile estrarre energia da un buco nero e usarlo come una sorta di gigantesca batteria. Tuttavia, ci sono tantissimi problemi pratici da risolvere per riuscirci! Il più grande ostacolo attuale è che il buco nero più vicino alla Terra si trova a migliaia di anni luce di distanza e dunque, con la velocità delle attuali tecnologie spaziali, impiegheremmo milioni di anni per arrivarci.
Perché il pubblico è così disinformato sugli aspetti scientifici dei buchi neri?
Credo che il nome buchi neri sia responsabile di molti fraintendimenti. Non sono buchi vuoti nello spazio in cui non c’è nulla; sono l’esatto opposto! I buchi neri sono stelle morte, schiacciate dalla gravità fino al punto che non possiamo più ricevere luce da esse. C’è una sfera attorno a questa enorme montagna di materia da cui non possiamo ottenere alcuna informazione. Nel mio libro sostengo che un nome migliore per aiutare le persone a comprenderli sarebbe stella oscura.
Quale scienziato ti ha ispirata di più e ti ha portato a scegliere questa carriera?
Sono stata enormemente ispirata da Jocelyn Bell Burnell che, negli anni sessanta, scoprì da dottoranda qualcosa di strano nei dati che stava analizzando: il primo pulsar mai trovato. Anche i pulsar sono stelle morte come i buchi neri, ma non sono così dense da diventare invisibili. Jocelyn è stata una pioniera per le donne in questo campo e oggi è mia collega a Oxford. È una sostenitrice di tutte le donne nelle STEM [Scienza, Tecnologia, Ingegneria, Matematica] e il campo della ricerca in astrofisica sarebbe molto più povero senza di lei.
I buchi neri non sono veramente neri; sono più simili a cuscini di un divano che a un aspirapolvere; oltre l’orizzonte degli eventi, il futuro è una direzione nello spazio piuttosto che nel tempo. E altre cose che non sapevamo di non sapere.
È più difficile per una donna lavorare nel tuo campo di ricerca rispetto a un uomo?
Nel senso di lavorare come fisica, no. Alcune barriere e pregiudizi sociali rendono tuttavia meno probabile che una donna diventi astrofisica. Questi stessi pregiudizi condizionano anche la carriera successiva.
Quali sono oggi le direzioni di ricerca più entusiasmanti sui buchi neri?
Una delle domande di ricerca più affascinanti riguarda il modo in cui i buchi neri crescono così tanto e così velocemente. I buchi neri non sono aspirapolveri cosmici che risucchiano ogni cosa nell’Universo; la materia deve avvicinarsi molto, prima di essere inglobata. Osserviamo buchi neri supermassicci nell’Universo primordiale grazie al telescopio spaziale James Webb, ma non sappiamo ancora spiegare come abbiano potuto diventare così grandi così presto nella storia dell’Universo. La mia ricerca si concentra sui processi fisici che spingono la materia verso i buchi neri supermassicci e se alcuni di questi possano farli crescere più velocemente o in modo più efficiente rispetto ad altri.
La ricerca sui buchi neri sta avendo un impatto tecnologico sulla vita quotidiana, come è accaduto con i programmi di esplorazione lunare?
Alla lunga, sì. La ricerca astrofisica in generale porta sempre progressi tecnologici: dopotutto, oggi abbiamo fotocamere digitali e un buon segnale Wi-Fi grazie agli studi astrofisici del XX secolo! Attualmente, la ricerca sui buchi neri sta guidando lo sviluppo dei rivelatori di onde gravitazionali, insieme alla costruzione di telescopi più grandi e avanzati. Le nuove tecnologie sviluppate per questi progetti finiranno per portare miglioramenti anche nelle applicazioni industriali, con benefici per l’intera società.
Quale consiglio dai ai giovani interessati ai buchi neri che vogliono intraprendere una carriera nella scienza?
Ho due consigli. Il primo è non lasciare mai dire a qualcuno che non possiamo realizzare il nostro sogno: se abbiamo abbastanza passione per la materia e ci impegniamo negli studi, possiamo farcela. Il secondo è un consiglio più pratico: impariamo a programmare. La programmazione è oggi una competenza essenziale per ogni scienziato ricercatore. Dall’analisi dei dati alla creazione di modelli o simulazioni, fino alla rappresentazione grafica dei risultati, tutto richiede l’uso di codice.
Di che cosa sei più orgogliosa riguardo al tuo libro?
Sono specialmente orgogliosa del modo in cui racconta le storie umane dietro la ricerca sui buchi neri. Spesso tendiamo a pensare alla scienza come a un elenco di fatti noti da sempre, ma la nostra conoscenza attuale si basa sul lavoro di un numero incalcolabile di scienziati che ci hanno preceduto nei secoli. Spero che il libro riesca a trasmettere questo messaggio!
Immagine originale di apertura della redazione di Apogeonline.