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Elezioni a Milano, prime prove di cyberwarfare?

30 Maggio 2011

Elezioni a Milano, prime prove di cyberwarfare?

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Mai campagna fu più interessante sul fronte dei media digitali. Ma di questo passo nel 2013 finiremo al confronto informatico senza esclusione di colpi

Credo fosse da prima della mia nascita che la comunicazione politica non cadesse così in basso come è stato il deplorevole caso delle elezioni comunali di Milano. Non essendo un politologo né un addetto ai lavori di quel mondo, mi limito a fare un pensiero al mio campo di expertise, quello dei digital media. Dove, per tacere le piccolezze come i banner che usavano teneri gattini per portare gente sulla pagina Facebook di uno dei candidati o altre stranezze minori, la fine della campagna è stata marcata dallo scandalo dei like rubati.

Dal cyberspazio con terrore

Anche se è presto – al momento della stesura del pezzo la campagna elettorale è ancora aperta – per trarre conclusioni sensate e con un minimo di prospettiva, il segnale è interessante. L’uso di tecniche Black Hat che sembrano aver portato decine di migliaia di like non espressi alla pagina Facebook è stato smentito da tutti (o meglio, tutti se ne sono scaricati la responsabilità). Ma, in fondo forse è solo la prima scaramuccia, la prima prova di quello che dovremo aspettarci per le elezioni del 2013. Eh, già. Perchè nel 2013, se non addirittura prima, si andrà a votare per il bersaglio grosso. E, in una politica che non sembra più badare a nulla pur di conseguire l’obiettivo ultimo di conquistare il potere a tutti i costi, l’affermazione di Von Clausewitz, «La guerra è un atto di violenza il cui obiettivo è costringere l’avversario a eseguire la nostra volontà» suona come preoccupantemente profetica. Specialmente se accoppiata con un’altra sua nota massima: «La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi».

Uno dei fronti su cui posso immaginarmi si combatterà la prossima guerra (non mondiale, o forse anche quella, ma limitiamoci alle nostre politiche) potrebbe proprio essere quello del cyberwarfare. Seguendo consolidate tradizioni militari non ci vorrebbe molto ad ingaggiare mercenari senza scrupoli (cyber-mercs) o a portare a bordo come consulenti esperti militari – magari in congedo dall’USCYBERCOM, il comando unificato delle forze armate statunitensi che si occupa proprio di guerra negli spazi informatici. Allora sì che potremo vederne delle belle. Una o più legioni straniere dal cappello nero che si affrontano in un duello senza esclusione di colpi, con noi in mezzo. E pazienza per le “vittime collaterali”.

Niente pistole fumanti

Vedo un affascinante scenario di colpi di scena quotidiani, senza pistole fumanti (ma solo macerie digitali, fumanti), senza colpevoli individuabili. Un periodo straordinario, dove la noia in rete sarebbe del tutto bandita. Attacchi Denial of Service, che buttino giù i siti avversari e i loro giornali o tv di riferimento. Azioni di defacing satirico, che tarocchino i siti (e i volti) del nemico, esponendolo al ludibrio. Hackeraggio dei programmi – quelli elettorali – in modo da riscrivere i punti salienti dei programmi elettorali dall’altra parte e poter dimostrare che carta carta, e anche i bit, e che l’obbligatorietà di diventare gay, mussulmani e comunisti per i minori di anni 18 era proprio scritta nel programma.

Se queste cose sono in fondo abbastanza innocue, a ridosso del voto uno stratega accorto potrebbe aumentare il livello dello sforzo e portarlo dalla discussione di opinioni alla prova dei fatti. E l’intreccio si infittirebbe: se già Stuxnet, il virus iniettato nel programma nucleare iraniano, ha causato danni non da poco, perché non immaginare un bel virus industriale che, senza lasciar tracce mandi in tilt le municipalizzate lottizzate dal nemico? Quale prova migliore dell’insipienza dei manager schierati dalla parte sbagliata che far ritrovare gli elettori senza acqua, luce o gas? E, per finire, è sempre opportuno imparare dal passato e questa volta citiamo il caso del Grande Timoniere, il Compagno Mao Zedong. Che disse che colpirne uno ne avrebbe educato cento. Una massima che potrebbe con profitto trovare applicazione in un’operazione di rieducazione delle masse oppositrici.

Attento, sappiamo dove hai il profilo Facebook

Diciamocelo francamente: è difficile valutare quanto gli emboli che hanno congestionato la rete come quello dei #morattiquotes, dei #redronniequotes o di #sucate possano davvero aver spostato voti da un candidato all’altro. Quello che è certo è che possono essere stati molto irritanti, al di là della pura “lesa maestà” (non tutti i candidati hanno il sense of humour della Moratti): la presenza di una base satirica, che sfoga la frustrazione da troppo compressa attraverso il nonsense e lo sberleffo sarebbe pericolosa. Potrebbe ricordare troppo da vicino i tempi oscuri degli indiani metropolitani, aprendo la porta a una svalutazione della politica, che da seria e responsabile azione di governo della cosa pubblica rischierebbe di venir percepita dal pubblico come un cabaret dove la realtà supera la fantasia.

Niente di più facile, allora, che approfittare della trasparenza di Facebook e della facilità con cui diamo in pasto al pubblico opinioni, schieramenti e relazioni. Banale dunque individuare (anche in modo automatico) gli oppositori alla nostra parte e hackerargli il profilo. E qui il bello è che esisterebbe una infinita varietà di possibilità rieducatrici. Sarebbe facile e gratificante inserire contenuti filopedofili sul profilo di chi si inventa il prossimo #quote e segnalarlo alla Polizia Postale. Taroccare ciò che scrivi a proposito della tua attività lavorativa e invitare il tuo capo a prendere visione di ciò che pensi di lui. Infiltrare messaggi a luci rosse e filmettini porno di cui sei protagonista nella tua casella dei messaggi e farne partecipi mogli e fidanzate.

Cose più grandi di noi

In realtà basterebbero pochi casi, solo un centinaio o poco più di vite incrinate per inculcare un sano timore e una più accorta astensione dal mescolarsi in cose più grandi di noi, come ad esempio una campagna elettorale. Per il 2013, o prima, dunque in arrivo splendide opportunità di lavoro e business per gli esperti di Cybercrime e guerra informatica. Perché quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. Sporco.

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