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Esiste il contenuto perfetto?

11 Novembre 2024

Esiste il contenuto perfetto?

di

Sarebbe bello se avessimo una guida infallibile alla produzione di marketing perfetto per i nostri obiettivi. Non l’abbiamo. Ma possiamo andarci vicini.

Spreadability. Trigger point. Sentiment

La mia ossessione, se ancora non si fosse capito, è cercare un DNA generativo alla base di tutti i corpi del marketing. Il mio primo manuale andava esattamente in quella direzione, inconsapevolmente peraltro. Io e Alessandra Farabegoli, coautrice del manuale, siamo andati alla ricerca di processi e metodologie indipendenti dalle dimensioni, dal fatturato e dallo storico del cliente. Nel secondo libro il mio obiettivo era quello di dimostrare come la struttura base di una campagna pubblicitaria su Meta per una gelateria di paese fosse identica a quella di un colosso italiano dell’abbigliamento. Stringi, stringi, l’essenza è unica. Tutti gli elementi differenzianti sono solamente derivativi di un DNA comune.

Siamo arrivati al momento cruciale: possiamo stabilire dei canoni universali del contenuto perfetto? Del trigger point ideale? Quali caratteristiche base devono avere un post, un reel, un mattone del brand building per ambire alla spreadability, per massimizzare il percorso distributivo orizzontale?

Il miglior esempio che posso fornire, per iniziare questo ragionamento, è un video pubblicato da Cristina Fogazzi, alias Estetista Cinica, il 14 novembre del 2023.

Cristina Fogazzi accompagna in un reel su Instagram l'audience nel dietro le quinte del proprio magazzino

Cristina Fogazzi, in un reel pubblicato su Instagram, accompagna l’audience nel dietro le quinte del proprio magazzino.

Trattandosi di un video, ci sono due possibilità: o guardarlo o seguire la trascrizione che ne ho fatto.

La trascrizione del video

Cristina Fogazzi entra nello stabilimento dove viene curata la logistica del marchio Veralab, filmando lei stessa, con il proprio cellulare, l’intera struttura.

Ma tu lo sai come fanno i pacchi ad arrivare a casa tua? Siamo a Sarzana, ridente comune della Liguria.

Si avvicina a Ignazio, responsabile del reparto.

E questo è Ignazio, il proprietario della nostra logistica e queste sono le ragazze che preparano i vostri pacchi.

Da Ignazio, la telecamera del telefono stacca per inquadrare un gruppo di ragazze che stanno confezionando i pacchi.

Eccole qua! Un saluto! Entusiasmo, entusiasmo! Ma ci dica signor Ignazio, quante spedizioni al giorno?.

La camera si sposta di nuovo su Ignazio.

Al giorno siamo dalle otto alle novemila spedizioni. In questo periodo particolarmente, ma anche negli altri periodi un pochino di meno ma non troppo. Quindi questo caos più o meno lo vedete sempre grazie alla signora qui presente.

Ignazio indica Cristina Fogazzi. Cristina riprende la parola e comincia un tour dell’impianto.

Grazie a chi acquista. Grazie a voi che ci avete sempre sostenuto! Questo è il magazzino dove c’è la merce che viene spedita. Io tutte le volte che lo vedo quasi non ci credo e mi piglia un’ansia che non potete capire e oggi lo condivido con voi. Dove andrà tutta questa merce? La venderemo? Chi lo sa.

Leggi anche: Quanto contano le Personas nel marketing su Facebook

Ecco i vostri pacchi, questi partono stanotte. Tutti questi, guardateli, questi sono ancora altri pacchi. Non sono sempre gli stessi presi da un’altra prospettiva. Tutti pronti per arrivare domani o dopodomani nelle vostre case.

La camera del telefono inquadra il cielo.

Il cielo azzurro della Liguria.

L’Estetista Cinica si riprende mentre sorride.

Sono stata costretta a fare questo contenuto perché Ignazio è molto fiero del suo nuovo capannone. Quindi parte della logistica verrà in questo nuovo capannone.

Capisco che non è una cosa molto Instagram, però dobbiamo dirgli bravo Ignazio per il nuovo capannone.

Non è molto Instagram ma è veramente il caso di essere fieri di quello che abbiamo costruito in Italia, io e voi.

Il close reading dietro le quinte

Ormai siamo dei Super Saiyan del close reading e smontare il motore di questo contenuto è diventato un facile esercizio.

  1. Reel. Già nella scelta del formato abbiamo deciso di affidare all’algoritmo l’attività distributiva del contenuto. Quindi ci aspettiamo del retargeting, che sia visto cioè da una buona quota di chi è già follower dell’Estetista Cinica, ma soprattutto una massiccia dose di prospecting, quindi un’audience nuova, probabilmente vergine all’universo dell’imprenditrice bresciana.
  2. Presa diretta. Nessuna regia, nessun impiego di set, zero luci. Quel classico video che chiunque di noi potrebbe fare con l’unico impegno di fare un po’ di editing finale, controllare i sottotitoli e la grammatica.
    Nulla che non possa essere fatto da uno qualsiasi dei miei studenti al master in digital marketing in un tempo molto breve, nell’arco di qualche decina di minuti.
    Sforzo esecutivo molto basso.
  3. Ambassador. Qui siamo di fronte a un trittico di protagonisti. Anzi, addirittura un quartetto.
    L’imprenditrice che filma la struttura, lei stessa massima ambasciatrice del marchio. Un ambassador nuovo, Ignazio, che ci aiuta a comprendere meglio il lavoro della logistica. Le ragazze che preparano i pacchi, testimonianza in carne e ossa del lavoro che viene fatto nello stabilimento. E poi c’è una quarta dimensione meno evidente che è il pubblico da casa, chiamato in causa spesso, che, se fosse un film, sarebbe una continua rottura della finzione scenica. Tutto questo è possibile grazie a voi, che siete le prime ambasciatrici del marchio Veralab.
  4. Dietro le quinte. Quando c’è un ambassador, c’è sempre un dietro le quinte. Un attivatore dell’attenzione unico perché permette di azzerare il dislivello tra azienda e spettatore.
    Questo è il mio magazzino, queste sono le persone che ci lavorano, senza fronzoli, senza strutture.
    Nel video il marchio non è mai percepito come un io, nonostante faccia capo a una figura emblematica come quella di Cristina, ma sempre un noi, un collettivo in cui Veralab è molto di più della somma delle sue parti.
    E il dietro le quinte, ovvero l’annullamento della barriera con il follower, è il trigger point perfetto per testimoniarlo.
    Confesso che tra i miei programmi televisivi preferiti, da sempre in cima alla lista c’è Come è fatto?: un racconto degli oggetti che utilizziamo ogni giorno smontanti e indagati in tutta la loro filiera produttiva, dalla materia prima alla trasformazione nel prodotto finale.
    Chiunque riceve un pacco di Veralab a casa, lo scarta, estrae il prodotto e accanto alla crema o al solare troverà un biglietto con la dicitura Preparato da e col nome della ragazza che l’ha confezionato (senza contare che quando si apre il pacco, esce un’ottima fragranza, perché l’interno dei pacchi viene spruzzato di un’essenza profumata).
    Il dietro le quinte di Veralab non è altro che un how it’s made dei pacchi che il pubblico riceve ogni giorno: dove vengono confezionati, da chi e come.
  5. Non è molto Instagram. No, nel mondo della cosmesi e dello health and beauty questo non è un contenuto tipico di Instagram.
    Siamo avvolti da un immaginario archetipico di beauty routine, di modelle che si spalmano le creme, da un elenco infinito di proprietà benefiche del prodotto.
    Non è molto Instagram ma, in realtà, è il contenuto perfetto per Instagram per staccare dal core product, l’oggetto da vendere, e fissare lo sguardo sul meta-product, tutto ciò che sta intorno/dietro a quel prodotto.
  6. Italia. Qui in Italia. C’è un commento a questa inserzione che riassume la sottotraccia implicita di questo video: Ignazio batte Bezos 1 a 0. Ecco come si fa economia di prossimità, local, rispettando qualità del lavoro e salari.
    Non è il solito marcato accenno all’italianità di un progetto, è solo un modo per dire che lo si può fare anche qui, nel nostro Paese, non serve andare in cerca di modelli così lontani.

Il contenuto perfetto

È questo il contenuto perfetto, secondo te, Enrico?

No. Perché il contenuto perfetto non esiste, è solamente una mia provocazione, però il video di Cristina Fogazzi interpreta a pieno quelli che sono i miei tre grandi principî del contenuto.

  1. Riproducibilità e scalabilità. Sono giorni che sono alla ricerca di un fact checking di un mio preciso ricordo. Credetemi, è molto frustrante quando hai ben in mente una citazione ma non ne trovi traccia in giro.
    La fonte è Luis Sal, probabilmente siamo in una delle prime edizioni di Muschio selvaggio e la star bolognese di YouTube se ne esce con una frase che mi ha colpito molto e che suonava più o meno così: Su TikTok crei video a nastro, metti caso una decina, e stai tranquillo che almeno uno ti andrà virale.
    Non sappiamo se consapevolmente o meno, ma Luis Sal stava sintetizzando il meccanismo distributivo dell’intelligenza artificiale nel 2024: dare in pasto all’algoritmo più materiale possibile, affinché sia in grado di distribuire un contenuto specifico al segmento di pubblico corrispondente. Se il contenuto non è facilmente riproducibile, nutrire l’intelligenza artificiale diventa impossibile.
    Contenuto snello, non troppo complesso da fare, che non richieda una quantità di effort enorme, che non sia un unicum strategico su cui vado all-in con tutta la mia strategia. Problema di un unicum strategico su cui investo tutto: e se per caso faccio flop? Sono senza piano B.
    Il video dell’Estetista Cinica non vale solo per il magazzino e la logistica, lo posso facilmente riprodurre per gli showroom, per i laboratori e per la vita negli uffici.
    Attenzione: non sto dicendo di farlo identico, sto semplicemente evidenziando come la stessa identica struttura narrativa possa reggere perfettamente, applicandola a un’infinità di contesti differenti.
    Loris Massè non è solo il miglior ambassador possibile per il Travel Pass, ma è anche un’ottima guida ai servizi di un villaggio: è in grado di mostrare, dietro le quinte, cosa accade a un viaggiatore Alpitour da quando sale sul volo che lo porta in Egitto fino al suo ultimo giorno di vacanza.
    Il contenuto deve avere diversi fronti scalabili: nell’era in cui prospecting e retargeting sono fusi assieme in un’unica grande distribuzione, il mio trigger point dev’essere ecumenico e progettato per funzionare sia per l’una che per l’altra audience.
    Funziona come scoperta per chi mi vede per la prima volta, funziona come rafforzamento per chi invece mi è familiare.
    Ma non solo: un contenuto pensato per il brand building, una volta testata e comprovata l’efficacia, diventa un ottimo potenziale driver generatore di valore. Esattamente come Sara di Ecobaby, il cui video era pensato per essere divulgativo ma è stato adattato con ottimi risultati anche alle campagne spiccatamente orientate alla vendita.
  2. Trigger point. Ogni contenuto deve ruotare attorno al baricentro di un punto di attivazione ben preciso. Su cosa voglio lavorare? Pain point? Dietro le quinte? Scarsità? Polarizzazione?
    L’intera rete dell’ars narrandi ruoterà attorno al punto focale costruendo potenziali trame infinite. Ma il punto focale resta sempre quello: l’effetto primario che ho deciso di ottenere. Se il mio trigger point è il carino, quello sarà l’effetto, punto. Attorno costruirò un tessuto complementare per farlo emergere nel suo massimo potenziale.

    Piccolo segreto: la combinazione di uno o più trigger point è più potente di un attivatore singolo. L’obiettivo di Alpitour è risolvere un nostro pain point, ovvero il non poter viaggiare. Risolverlo aggiungendo la figura dell’ambassador è una scelta che potenzia l’attivatore primario.
    Il dietro le quinte è il nodo centrale del contenuto Veralab, ma è stato corredato da una serie di naturali attivatori dell’attenzione correlati: l’unicità di far parte di una community, i volti di chi nel magazzino ci lavora, ma anche un prima e un dopo. Prima, quando tutto questo non c’era. Il dopo con il magazzino nuovo e la crescita imprenditoriale.

  3. Misurabilità e capitalizzazione. Devo trovarmi sempre nella condizione di misurare l’efficacia di un trigger point, adottando metriche precise che vadano dalle più elementari alle più complesse: l’obiettivo è sempre capire cosa funziona e cosa no.
    Le metriche più elementari sono: tasso di ingaggio, copertura, quantità di impression e tasso di click in rapporto alle impression. Ma, perché no, posso aggiungere anche metriche di tipo qualitativo, andando a valutare il sentiment dei commenti e la qualità delle condivisioni.
    Le più complesse: mi fa vendere di più la guida ai pannolini lavabili o il video divulgativo con Sara protagonista?
    Infine l’ultimo elemento: il capitale di reazioni (interazioni, click, azioni sul sito dopo il click) che non dev’essere mai disperso. Devo ossessionarmi nel tenerne traccia in ogni modo possibile e studiarlo costantemente. Così imparo io e impara la macchina.

Queste non sono le regole per un contenuto perfetto. Sono solamente i miei principi base per tentare di avvicinarmi alla perfezione, consapevole che la perfezione non esiste.

Ma almeno ci proviamo.

Una chiosa che non so bene se ho voglia di fare, ma intanto la scrivo e poi decido se pubblicarla

Tempo fa una delle mie classi mi ha addirittura trasformato in un meme: una delle cose che faccio sempre quando insegno è quella di interrompere all’improvviso la didattica e fare una domanda che preveda un o un no come risposta.

In un contesto di CPM crescente è meglio alzare i nostri budget?

, oppure No.

Ovviamente sono sbagliate entrambe perché l’unica risposta corretta è dipende. La miglior risposta che puoi dare quando parli di marketing: nove volte su dieci non sbagli mai. Ci sono talmente tante variabili da valutare che è rarissimo poter dare una risposta secca.

I ragazzi hanno disegnato un fumetto di me alla cattedra che urlo: Dipende!

Nel 2017, a Rimini durante un convegno, ho assistito a uno splendido intervento di Julius van de Laar, famoso digital strategist e consulente per due campagne vittoriose di Barack Obama, quella del 2008 e quella del 2012. Sale sul palco, sorride e proclama:

Per essere bravi marketer dobbiamo seguire solo tre semplicissime regole: test and track, test and track, test and track.

Morale: testare e tenere traccia dei risultati. Niente altro. Ho passato mesi a ripensare a quella scena e c’era qualcosa che non mi tornava. Fino a quando ho avuto l’illuminazione.

A me il test and track suona perfettamente: è più che sufficiente per diventare ottimi marketer. Se crei uno storico di strategie che hai adottato per i clienti, se analizzi i dettagli degli effetti di un trigger point per un ecommerce, se capitalizzi tutti i segnali ricevuti, è impossibile che tu non faccia un buon lavoro.

Ma io lavoro nel mondo delle aziende, mentre Julius Van De Laar fa il consulente di marketing in comunicazione politica. Come funziona nel mondo politico il test and track?

Ho cominciato ad andare per ipotesi.

Ma vuoi vedere che se decidessi di seguire alla lettera il primo principio del contenuto perfetto, ovvero riproducibilità e scalabilità, potrei progettare non un contenuto, ma almeno una ventina?

Se lavorassi nel marketing del consenso andrei probabilmente a pescare dei potenziali attivatori perfettamente intercambiabili, ovvero gli attuali trigger point utilizzati proprio dalla comunicazione politica: Paola Egonu, le classi per disabili, l’omosessualità, il migrante che delinque, il drogato che si droga e un estratto televisivo di un mio rivale politico che viene asfaltato.

Confessioni di un marketer, di Enrico Marchetto

Questo libro ha un solo obiettivo: portarci dietro le quinte, davanti ai principi manipolativi che ci accerchiano ogni giorno nei nostri ecosistemi digitali, per smascherare il mito del consumatore informato e consapevole.

Costo dell’operazione? Zero.

Riproducibilità? Infinita.

Scalabilità? Infinita.

Una volta definiti i miei trigger point, lascerei alla macchina il lavoro distributivo.

Nello stesso istante, grazie alla misurabilità degli effetti, terrei traccia di quelli più performanti.

Questo mi permetterebbe di imparare quali siano gli attivatori più efficaci: a questo punto perché non esplorare ulteriori sub topic dei trigger point che hanno dato i migliori risultati?

E non fermarmi mai, andare a ciclo continuo per capitalizzare enormi quantità di azioni e reazioni.

La capitalizzazione in questo caso è sia algoritmica, perché sto accumulando segnali, sia politica, perché sto massimizzando consenso.

E fino a qui funzionano le tre semplicissime regole del test and track.

Quando si rompe il motore?

  1. Quando il trigger point non assolve alla sua funzione primaria, ovvero attivare l’attenzione. Un abuso dei segni, consuma i segni diceva la mia professoressa di semiotica all’università. Ma nel marketing politico il numero di attivatori è talmente vasto che immaginare un declino è francamente irrealistico.
  2. Quando cessa l’attività distributiva. Ma è in mano alla macchina, quindi è impossibile che accada.
  3. Quando la soglia cognitiva si alza talmente tanto da diventare cieca al trigger point, riconoscendolo e disinnescandolo. Come se a un certo punto quaranta milioni di italiane e italiani sviluppassero degli anticorpi speciali e imparassero sempre a riconoscere quando un contenuto è stato progettato per ottenere un determinato effetto.

    Non dico che non possa accadere. Ma al momento la copertura potenziale è talmente vasta che il problema non si pone minimamente.

Morale: in questo momento non c’è nessun segnale che il potere di un trigger point politico esaurisca la sua forza manipolativa. Le volte in cui accade è immediatamente sostituito da un altro, più efficace, più potente.

Non ho resistito a inserire questa chiosa. Era un’occasione troppo ghiotta per farsela scappare.

Questo articolo richiama contenuti da Confessioni di un marketer.

Immagine di apertura originale di Florian Klauer su Unsplash.

L'autore

  • Enrico Marchetto

    Enrico Marchetto vive a Trieste e insegna Strategie Digitali all’Università di Udine. Ha fondato una delle prime agenzie in Italia a occuparsi di advertising su Facebook e Instagram. Al suo debutto con un saggio, per Apogeo è già autore di Marketing in un mondo digitale (2018) e Facebook e Instagram: strategie per una pubblicità che funziona (2019).

    Incontri con l'autore

    🗓 20 novembre ore 18:00
    📍 Milano, 24ORE Business School con Mafe de Baggis e Biagio Di Leo.

    🗓 26 novembre ore 18:00
    📍 Trieste, Libreria Minerva

    🗓 03 dicembre ore 18:00
    📍 Udine, Libreria Tarantola

    🗓 16 gennaio
    📍 Firenze

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