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I Natural Born Clickers falsano le statistiche dei banner?

06 Marzo 2008

I Natural Born Clickers falsano le statistiche dei banner?

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Secondo uno studio americano, l'80% dei click sui banner sarebbe eseguito da non più del 16% dei navigatori, un gruppo particolare e non rappresentativo dell'universo

Il concetto con cui, sin dagli albori della Rete, è stato venduto Internet alle aziende è che tutto fosse misurabile. In effetti, interagendo con un server che registra tutto quello che facciamo, è facile registrare i comportamenti degli utenti (anche se poi è più difficile trarre un senso da questi numeri). In particolar modo, ci si è scatenati sul concetto di misurabilità dei click sugli oggetti pubblicitari, sul rapporto tra esposizioni del banner e click ottenuti – il mitico clickthrough, che è diventato uno dei pilastri della valutazione dell’efficacia di una campagna.

Alla base, la legittima aspirazione delle aziende che investono in pubblicità: quella di misurare un po’ meglio l’efficacia della loro campagna, di capire quanti soldi tornano all’azienda a fronte di specifici investimenti in comunicazione. Di avere dei numeri da usare come benchmark e da mettere in ficcanti PowerPoint da presentare al management. In un ottica – per me piuttosto corretta – che vede Internet come uno strumento più vicino al direct marketing che alla pubblicità tradizionale. In cui cioè faccio passare un messaggio (almeno potenzialmente) personalizzato e il cui ritorno è misurabile. Permettendo quindi di imparare, di migliorare, in un ciclo virtuoso di affinamento della comunicazione basato su feedback chiari e quantificabili.

Il fascino dei numeri è però subdolo e allettante e come un canto delle sirene spesso è preso acriticamente. Avere un bel numero ed un parametro di riferimento standard permette di fare dei pregnanti grafici, apparentemente immediatamente comprensibili… e distoglie quindi la mente da più approfondite analisi sul senso di quello che sta capitando, permettendo di costruirsi dei ROI (ritorni sull’investimento) che possono aiutarci a dimostrare che stiamo gestendo bene il nostro budget. Da tempo quindi esistono correnti di pensiero che mettono in dubbio la validità del clickthrough come unico o principale elemento di misurazione dell’efficacia dei nostri banner. E un altro sasso sul piatto della bilancia lo mette una ricerca condotta negli Usa dal centro media Starcom, dall’istituto di ricerca Tacoda e da comScore, società specializzata sul consumer insight (capire cosa passa nella testa della gente consumatrice).

Secondo questa ricerca (attenzione: da validare più estensivamente e i cui risultati non sono automaticamente estensibili al nostro mercato), la maggior parte dei click sul mercato americano sarebbero fatti da pochissimi utenti che cliccano come pazzi e non sono quindi rappresentativi. E quindi il conto dei click come strumento di misurazione dell’efficacia del nostro piano di comunicazione sarebbe da considerare defunto. Lo studio, chiamato Natural Born Clickers, afferma che circa il 50% dei click sarebbe realizzato da non più del 6% della popolazione americana. Raggruppati in un segmento specifico, persone tra i 25 e i 44 anni e con un reddito familiare sotto i 40,000 dollari. Gente che sta un sacco di tempo online (quattro volte il navigatore “medio”), che segue le aste online, i siti di scommesse, i siti di ricerca di lavoro (il che ha un senso considerando il reddito e il tempo disponibile per navigare che contraddistinguerebbero questo cluster).

Quel che è peggio, lo studio suggerirebbe che non c’è relazione tra il numero di click che questi fanatici fanno e l’atteggiamento verso le relative marche degli oggetti cliccati – e che quindi un alto numero di click non corrisponderebbe automaticamente ad un aumento di “valore” per la marca. Va comunque notato che questi heavy clicker sono definiti come persone che cliccano su un banner almeno quattro volte al mese (io quindi ci starei dentro, a questa categoria). I medium clicker sarebbero invece quelli che cliccano un tre volte al mese, generando un 30% dei click totali e rappresentando un 10% della popolazione. Non mi sembra chiarissimo il perché gli heavy clickers cliccherebbero così tanto sui banner, rispetto alla media. A quanto pare, sarebbe una conseguenza naturale del fatto che passano tantissimo tempo a navigare, vedono quindi moltissimi banner ed è quindi Natural che clicchino di più in valore assoluto.

Tutto questo implicherebbe un serio ripensamento nel modo in cui la pubblicità online viene vista dagli investitori e sopratutto su come viene venduta e quanto pagata. E che l’effetto di una campagna andrebbe (anche? sopratutto?) misurato in modo più sofisticato, attraverso lo studio dell’evoluzione della marca a fronte della campagna nella testa del target. Cosa, tra l’altro, che sarebbero bravi a fare i committenti della ricerca. La ricerca, secondo me, va presa con le pinze… ma sicuramente va considerata uno stimolo a indagare più a fondo come funziona qualitativamente la pubblicità in Rete, come funziona davvero la comunicazione online, a cosa possono fare, come devono essere usati e venduti/comprati tutti quegli oggetti pubblicitari che popolano i siti web e che, non dimentichiamolo, contribuiscono a farci godere di un’infinità di contenuti, servizi, informazioni libere e gratuite (per libera e 2.0 che sia la Rete, qualcuno che paga la bolletta ci vuole sempre).

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