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I principî e i poveri

13 Luglio 2017

I principî e i poveri

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L'epoca digitale antepone l'efficacia dell'esperienza alla proclamazione di verità dissonanti con il reale.

Qualcuno pensa all’ombrellone mentre altri allo scudo, quello fiscale; altro ancora al muro che le istituzioni insistono nell’opporre ai cittadini desiderosi di compiere il proprio dovere di contribuenti.

Paolo Capobussi ha scritto qui della sua esperienza poco appagante con il 730 online (certo, poteva ricorrere a SPID invece che seguire le istruzioni). Su Facebook è facile imbattersi in resoconti tragicomici delle avventure di questo e quello con l’Agenzia delle Entrate.

Si trovano anche i soddisfatti, eh. Il problema è che, fossero pure il 95 percento, staremmo a parlare di persone in difficoltà nell’ordine dei milioni. Se Sogei fosse Amazon, fioccherebbero i licenziamenti come lampi in un temporale estivo.

Grandi opere

A un quadro di realtà poco esaltanti fa riscontro una magniloquenza nella quale, quando si tratta di gigantesche affermazioni di principî vuoti, siamo all’avanguardia.

Chi ricorda la Dichiarazione dei diritti in Internet? Gente con buona memoria, visto che a proclami universali é seguito un nulla, anche quello, cosmico. Strano, perché quando non riesci a dichiarare i redditi online, verrebbe buona:

Le Istituzioni pubbliche garantiscono i necessari interventi per il superamento di ogni forma di divario digitale.

Il cittadino messo davanti a un sito pubblico che funziona a targhe alterne è discriminato. E vuole pagare le tasse, non prenotare l’agriturismo.

L’Estonia ha un programma di e-residency piuttosto avanzato. È un Paese che esiste veramente, presiede l’Unione per questo semestre, ha una strategia digitale. Senza bisogno di Bill of Rights o frasi a effetto.

Bando alla legge

E la legge Quintarelli, che secondo certi titolisti ipoglicemici potrebbe portare al bando di iPhone dall’Italia? (Quintarelli ha persino dovuto scrivere un pezzo apposta per smentire i deliri della sedicente informazione).

Intendiamoci: magari ne avessimo cinquanta, di Quintarelli al Senato. Il problema sono gli altri venticinque firmatari (Coppola, Bargero, Bonaccorsi, Capua, Carrozza, Dallai, Marco Di Maio, Galgano, Malpezzi, Rampi, Tinagli, Vargiu, Balduzzi, Bombassei, Cimmino, Dambruoso, Matarrese, Molea, Vecchio, Sottanelli, Binetti, Buttiglione, Christian Iannuzzi, Librandi) che assicurano l’incompetenza, per mera statistica. Per forza esce un testo come questo:

Gli utenti hanno il diritto di reperire in linea, in formato idoneo alla piattaforma tecnologica desiderata, e di utilizzare a condizioni eque e non discriminatorie software, proprietario o a sorgente aperta, contenuti e servizi leciti di loro scelta.

Bravi: il pluralismo digitale ora è salvo. Nel frattempo la banda italiana, quella al servizio degli utenti con più diritti nella galassia, è la penultima in Europa, davanti a Malta.

Magari meno paroloni e più dorsali? Meno ambizioni e più efficienza? Mandiamo Sogei a scuola di sviluppo da Google o da Amazon, che erogano servizi funzionanti e complessi a due miliardi di persone?

Altrimenti rischiamo la rivolta. E qualcuno busserà allo studio dell’Onorevole Laura Boldrini, paladina della Dichiarazione dei diritti in Internet:

President[aeiou], il popolo vuole Internet veloce!
Che allora vadano a full SPID…

L'autore

  • Lucio Bragagnolo
    Lucio Bragagnolo è giornalista, divulgatore, produttore di contenuti, consulente in comunicazione e media. Si occupa di mondo Apple, informatica e nuove tecnologie con entusiasmo crescente. Nel tempo libero gioca di ruolo, legge, balbetta Lisp e pratica sport di squadra. È sposato felicemente con Stefania e padre apprendista di Lidia e Nive.

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