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Il cittadino reporter bussa alla porta

03 Ottobre 2008

Il cittadino reporter bussa alla porta

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A fronte di una diffusa sfiducia verso i giornalisti, il citizen journalism sembra ancora relegato a una posizione di nicchia. Ma il gioco rischia di cambiare molto presto, per i media tradizionali

Che ci sia qualcosa da rifare nel mondo dell’informazione italiana siamo tutti d’accordo. Su cosa fare e su come il web può entrare in questo processo, le opinioni sono molto più divise – fatto del tutto normale in un paese come l’Italia, di cui una volta si diceva che ogni volta che tre persone si incontravano formavano un partito. Il giornalista, quello iscritto all’Ordine (sono uno di quelli, lo confesso), è visto malissimo dalla “ggente”, secondo una ricerca (qui il pdf) condotta da Astra Ricerche per l’Ordine dei Giornalisti della Lombardia. Il 68% degli intervistati considera i giornalisti degli incompetenti, il 40% che siano dei mercenari. Un 60% crede che le notizie siano inesatte, il 59% che si esageri. Più della metà ritiene dietro alle notizie ci siano interessi di parte. D’altra parte per il 38% è irrinunciabile il ruolo sociale del giornalismo e per il 16% ne è alta l’importanza. Anche se un 27% ritiene che questo ruolo sociale abbia un importanza nulla o scarsa.

Non possiamo però negare che la fame di notizie sia uno dei motori che muove la rete e quella rete mobile che sta diventando un trend molto importante di mercato e comportamento. Insomma, qui c’è da rifare un sacco di cose, ma anche da inventare qualcosa di nuovo, probabilmente. Il punto è: “la ggente” è pronta per questo qualcosa di nuovo? È pronta a fruire l’informazione in modi nuovi che rompono i paradigmi del passato? Il fattore pigrizia e il fattore sfiducia remano contro all’innovazione. Il quotidiano tradizionale, benché criticato, per moltissimi ancora si porta dietro un’aura di credibilità che la start-up – magari Internet – fa molta fatica ad acquisire. Fenomeni come le news di Sky in fondo si rifanno ai più classici e rassicuranti dei modelli, cambiando solo un po’ lo stile e il modo di operare, non il concetto fondante del telegiornale.

Da tempo ci parliamo di citizen journalism come fattore di rottura, come nuovo modo di portare un’informazione diversa sui nostri computer, palmari, cellulari. Un approccio molto duro, io temo, per un italiano medio non appartenente a un’elite culturale. Un timore che spero sarà smentito presto, ad esempio attraverso un eclatante successo di iniziative come AgoraVox, uno dei più importanti esperimenti di citizen journalism europeo che, nato in Francia nel 2005, da pochi giorni è sbarcato anche in Italia (Apogeonline ha intervistato il responsabile italiano). In questo mesetto, secondo Alexa, si sono già piazzati al 12millesimo e rotti posto nel ranking del traffico relativo all’Italia – ma è ovviamente presto per avere dei dati realmente significativi. Molto più potente (ma è comprensibile) la performance di Current TV, che ha raccolto 170.000 utenti unici web nelle prime 3 settimane e una media di 80.000 telespettatori, con una base molto attiva di contributor italiani (per confronto Alexa assegna a Current in Italia come ranking il 1922° posto).

Quel che è certo è che all’estero questa faccenda del citizen journalism è stata presa sul serio anche dal mondo del giornalismo professionale, con una CNN che spinge su iReport – che equivale ad avere un reporter con macchina fotografica o video, in qualsiasi istante in qualsiasi angolo del mondo e che lavora per te gratis. E in fondo questo iReport non è che un bel nome e una spinta promozionale a un fenomeno che è sempre esistito, quello di usare i testimoni oculari e il loro materiale, anche se in forma meno “glamour”. CBS addirittura ha una apposita applicazione per iPhone, che permette di diventare istantaneamente un reporter del grande network, attraverso un software che fa diventare davvero uno scherzo scattare una foto, compilare un testo e inviare il pezzo alla testata. Peccato però che questo EyeMobile non pare essere monitorato e moderato, e ci si vede di tutto, dalla foto delle proprie scarpe a video porno che non sono evidentemente stati intercettati da nessuno prima della pubblicazione.

Insomma, a parte i problemi di processo, si sospetta da parte dei grandi gruppi editoriali un interesse a non mettersi in conflitto con la propria utenza per evitare che si trasformi in un’alternativa informativa; portando quindi “dentro” le persone e trasformandoli in collaboratori. Trend che non mi pare troppo evidente qui da noi, dove peraltro, come visto, la percezione del giornalista come membro di una casta sembra essere dolorosamente diffusa, tanto che la richiesta di abolizione dell’Ordine è ormai un leitmotive tormentone. Forse i gruppi editoriali non sanno come affrontare il problema, forse pensano che il problema del Citizen Journalism si risolverà da solo e che dopo una fiammata di interesse la gente ritornerà a consumare i marchi noti dell’informazione, anche se questi sono in maniera crescente quelli dei quotidiani gratuiti e della tivvù satellitare tematica.

Resta poi irrisolto il nodo (tra l’altro nel bel mezzo delle polemiche in corso per il taglio dei contributi all’editoria) di come rendere sostenibile economicamente un’attività di CJ. Nel modello classico, se una testata diventa un motore di contatti e audience interessanti, può divenire un media che qualcuno ritiene interessante e – se la detta testata fa (il grande) sforzo di mettere su una rete commerciale – decidere di investire soldi in quel media. Se invece la pubblicità non c’è, tutta l’operazione risulta inevitabilmente a budget zero o quasi, con tutti gli handicap conseguenti ad esempio sulla sua promozione (e quindi costruzione della marca e quindi costruzione di autorevolezza, affidabilità, preferenza rispetto al suo potenziale bacino di utenza). Ci sarebbe ovviamente poi da affrontare il tema dei blog come luogo di CJ – con i soliti problemi di affidabilità (chi me la garantisce, se non conosco ad esempio per chiara fama il blogger in questione?), di capacità di sviluppare un sufficiente volume di informazione a fronte di un owner del blog che generalmente ha altre cose da fare per vivere.

Il messaggio comunque è chiaro: l’insoddisfazione c’è. E se non è oggi, sarà domani, ma il mercato, la ggente prima o poi chiederà con forza un cambio, abbastanza radicale, della qualità, stile, affidabilità delle notizie che vengono date in pasto al popolo. E in tutto questo, c’è da scommetterci, l’online giocherà un ruolo importante (anche se, non dimentichiamocelo, un bel 60% degli italiani la Rete a quanto pare non la usa).

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