La Corte di Cassazione francese ha giudicato improprio il comportamento di un lavoratore che aveva utilizzato un codice crittografico per impedire, anche al suo datore di lavoro, di accedere ai propri file. Secondo i giudici, essendo il computer uno strumento messo a disposizione dei lavoratori per lo svolgimento della loro attività, è legittimo l’accesso da parte del datore di lavoro ai dati informatici professionali ivi contenuti. Resta invece vietato a quest’ultimo l’accesso ai file o alle cartelle nominate personali.
Questa pronuncia ha fissato dei limiti alle prerogative assegnate ai lavoratori da una serie di pronunce giurisprudenziale precedenti. Infatti, con una sentenza del 2001, la Corte di Cassazione aveva stabilito che «il lavoratore ha diritto al rispetto della sua vita privata, anche nell’orario e nel luogo di lavoro». Nel 2005, la Corte aveva ribadito che il datore di lavoro non può «indagare» nei cassetti dell’ufficio del lavoratore e accedere ai suoi file o cartelle elettroniche in assenza di quest’ultimo, senza che ciò sia giustificato da un rischio o un evento particolare.
Con questa sentenza, invece, i giudici di Cassazione hanno attribuito ai datori di lavoro maggiori poteri, affermando che «le cartelle e i file creati da un lavoratore attraverso l’uso del computer messo a disposizione dal proprio datore di lavoro per svolgere la loro attività si presumono avere un carattere professionale, a meno che il lavoratore li identifichi come personali, e perciò il datore di lavoro può accedervi senza la presenza del dipendente».