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Il difficile futuro delle città digitali

15 Dicembre 1998

Il difficile futuro delle città digitali

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Insieme alla scarsa incisività delle politiche locali, l'arresto evolutivo delle città digitali trova la sua ragione nella mancata valorizzazione del contributo progettuale che i cittadini e le associazioni possono dare al loro sviluppo.

Negli ultimi tempi si è parlato molto, e spesso a sproposito, delle città digitali. Una bella espressione usata per intendere cose fra loro molto diverse, e che non sempre aiuta a capire di cosa realmente si tratti.

Quello di città digitale è, in sostanza, un termine riferito alle esperienze di telematica pubblica che hanno sviluppato la metafora della città che si riproduce coi suoi conflitti, luoghi di incontro e di scambio, nello spazio comunicativo delle reti telematiche. Una terminologia nata, quindi, per descrivere genericamente le dinamiche sociali che si sviluppano dalle interazioni comunicative degli abitanti virtuali delle strade e delle piazze elettroniche del cosiddetto cyberspazio. In alcuni casi, la metafora si è concretizzata in una struttura con propri servizi, regole e principi. A volte è una mappa che viene prima del territorio, altre tende a riprodurlo con modalità proprie. Un esempio ne è dato dalla città digitale di Amsterdam: De Digitale Stad (www.dds.nl).

Ma Città Digitali è anche l’espressione utilizzata dalla Rete delle Rappresentanze Unitarie, la RUR (www.rur.it) fondata dal Censis, dalla Fondiaria Imi, dalla Telecom Italia e altri partner, che da tre anni cura un rapporto annuale piuttosto dettagliato sullo stato dell’arte della penetrazione delle tecnologie di comunicazione digitale nel territorio urbano e metropolitano italiano.

Con il termine Città Digitali, i ricercatori della RUR tendono a comprendere sia i servizi a base telematica erogati da organizzazioni locali, pubbliche e private, sia la distribuzione delle tecnologie e delle infrastrutture di comunicazione che ne consentono lo sviluppo, facendone oggetto di una analisi precisa e approfondita.

A tale fine nei rapporti della Rur (del 1996, del 1997 e del 1998, quest’ultimo in corso di stampa), vengono specificatamente analizzate la qualità dei servizi telematici disponibili nel nostro paese, con un’attenzione particolare a quelli erogati nell’ambito delle amministrazioni locali, e le qualità sociali della comunicazione elettronica a base territoriale che siano caratterizzate da una forte componente tecnologica e innovativa.

Senza mezzi termini, quindi, i ricercatori hanno messo per tre anni a nudo vizi e virtù delle nostre città digitali provando a dare indicazioni per una modernizzazione delle stesse che faccia proprie le esigenze comunicative, partecipative e produttive dei suoi cittadini, elettronici e non, coinvolti nel vortice delle trasformazioni legate all’introduzione delle nuove tecnologie.

La stessa definizione di città digitale utilizzata dai ricercatori della Rur è stata elaborata da un lato, per eliminare le ambiguità terminologiche che hanno contrassegnato il dibattito sulle reti civiche (di “prima”, “seconda”, “terza” generazione), dall’altro per proporne una definizione più astratta ma adeguata ad inglobare concettualmente le trasformazioni nella struttura e nei servizi che le reti civiche stesse hanno subito alla loro maturazione.

In estrema sintesi, quello che i rapporti della RUR ci dicono sulle città digitali è che:

  • a)la fase delle reti civiche sperimentali è finita,
  • b)si sono create le condizioni per una loro evoluzione in termini di prestazioni, sviluppo e partecipazione sociale,
  • c)prefigurano strumenti in grado di contribuire alla rigenerazione delle economie locali,
  • d)possono avere un ruolo importante nel miglioramento delle qualità della vita nelle nostre città.

Nella disamina critica fornita dai rapporti e condita di attendibili misure statistiche, una parte rilevante è sempre dedicata alla discussione storico-critica delle soluzioni che hanno portato dai primi esperimenti di telematica civica all’individuazione di nuovi terreni di intervento a supporto della comunicazione digitale da parte delle pubbliche amministrazioni.
Individuando nella telematica amatoriale e di base la spinta culturale e tecnica alla definizione delle potenzialità e dei diritti legati alle nuove forme di comunicazione e nell’operato delle amministrazioni locali, la spinta per una loro compiuta realizzazione, quello che viene individuato dai ricercatori come terreno di intervento è un ulteriore coinvolgimento degli erogatori dei servizi, degli operatori e degli utenti alla ridefinizione teorica e tecnologica delle potenzialità delle città digitali.

Questo perché, nei vari rapporti, risulta chiaro che nonostante le migliorie tecnologiche apportate dalle amministrazioni che realizzano teleservizi per il cittadino, ed a fronte dell’incremento numerico del numero di abbonamenti Internet, che è attualmente lo standard tecnologico su cui tali servizi viaggiano, c’è ancora scarsa consapevolezza da parte degli amministratori e dei decisori pubblici circa le potenzialità di un mezzo che può servire variamente a riempire il gap comunicativo fra cittadini e governi locali, mettendo a profitto il desiderio di partecipazione e gestione dal basso del territorio, e insieme dare rinnovato impulso alla ricostituzione di un tessuto sociale messo non da ultimo in crisi da un’economia singhiozzante e da una scarsa capacità imprenditoriale.

Possibilità che, si dice, non vengono colte a causa di una impasse decisionale che, nonostante l’aumentato numero dei Comuni in rete, e nonostante la richiesta sociale di servizi innovativi per interagire efficacemente con la pubblica amministrazione, si risolve spesso nella creazione di semplici vetrine turistiche per le municipalità che non investono né risorse né competenze allo sviluppo di una effettiva “Società dell’Informazione” che sia basata sul diritto alla comunicazione e trainata dalla economia della conoscenza attraverso la produzione di beni e servizi innovativi.

Inoltre, nonostante nei rapporti sia storicamente riconosciuto l’apporto decisivo degli appassionati dell’hobbistica telecomunicativa, le comunità elettroniche prima raccolte intorno ai BBS, oggi presenti su Internet come associazioni con spazi propri sul Web e promotrici di newsgroup e mailing list, si ricava che insieme alla scarsa incisività delle politiche locali, l’arresto evolutivo delle città digitali trova la sua ragione nella mancata valorizzazione del contributo progettuale che i cittadini e le associazioni possono dare allo sviluppo delle città digitali.

Questa in definitiva si potrebbe dire la causa ultima del fatto che le città digitali si inaridiscano a semplici Siti Istituzionali erogando servizi minimi, rivolti a nicchie di utenti sempre più ristrette, invece di essere motore di innovazione e crescita collettiva.

Una cosa è certa. Indipendentemente da come vogliamo chiamarle, città digitali o reti civiche, esse non esistono senza cittadini.

E, come sostiene Alessandro Aurigi del Centre for Urban Technoloy (www.ncl.ac.uk) nel rapporto Rur-1997, se le città digitali non sono informative, cioè in grado di dare informazioni utili e aggiornate superando ostacoli spaziali e temporali al loro utilizzo, se non sono partecipative, garantendo la più ampia partecipazione e acceso ai cittadini e, infine, se non sono localizzate, cioè strettamente collegate allo spazio urbano ed alle sue comunità, non sono né reti civiche, né città digitali e, qualcuno potrebbe aggiungere, diventano solo lo specchio mediatico di amministrazioni e operatori che in nome loro incantano le allodole che spesso ne finanziano progetti o attività.

Allora, per rinvigorire lo spirito di una rivoluzione che tarda a venire è imperativo avviare una ridiscussione ampia sulle opportunità rappresentate dallo sviluppo delle città digitali definendo l’orizzonte verso cui possono convergere le politiche istituzionali e le pratiche sociali, l’innovazione dei servizi e la loro effettiva fruizione. Solo così sarà possibile sviluppare concretamente quelle possibilità che la convergenza dell’industria comunicativa oggi rappresenta solo in potenza.

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