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Il Fattore Apple

16 Luglio 1998

Il Fattore Apple

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Mentre al vengono celebrati Steve Jobs e il ritorno in attivo della Apple, la domanda è: come fa un'azienda informatica data per spacciata a realizzare nuovamente profitti record?

Nella borsa informatica, con un’espressione da romanzo di spionaggio, si parla già di Fattore Apple per definire quel fenomeno che fa sì che un’azienda data per spacciata da almeno tre anni, totalizzi ripetutamente attivi record, per più di un anno, con circa un centinaio di miliardi di profitti nel solo ultimo trimestre. Questo vuol dire non solo che i famosi guru delle previsioni di borsa hanno fallito, ma anche che la gestione dei tecnici, nelle questioni dell’informatica, non funziona più.

Steve Jobs è sempre stato un uomo che ha capito come andavano commercializzate le intuizioni geniali di questa seconda metà di secolo. Prima prendendo per mano il prototipo del suo amico Wozniac fino a trasformarlo nel primo personal computer della storia indirizzato ai bisogni della clientela distribuita (anticipando così i modelli commerciali della Qualità Totale); poi dando concretezza ai modelli avveniristici sviluppati nello Xerox Parc e mai utilizzati per più di vent’anni, con la realizzazione del computer che parla e che ragiona come noi, in maniera analogica: quel Macintosh da cui prese origine il modello informatico oggi dominante.

Un uomo in anticipo sui tempi

Jobs è stato sempre un uomo mal giudicato e difficile da comprendere proprio perché la sua visione è stata sempre troppo lucida per la sua epoca. Questo è almeno quello che pensa di lui il suo intimo amico Larry Ellison, CEO della Oracle e membro del consiglio di amministrazione Apple. “Steve non vuole restare a capo della Apple” racconta Ellison “ma vuole bene ad Apple. È sempre tentato di abbandonarla, come nei progetti per tornare a cose che lo interessano di più, prima fra tutte la sua ultima creatura, i Pixar Animation Studios (www.pixar.com); ma alla fine sente di non poterlo fare o di poterlo fare sempre meno, mano a mano che si ingaggia in questa sfida”.

Ellison giudica “un oltraggio” il rapporto ostile del “Wall Street Journal” che critica, fra le altre cose, lo stile di management di Jobs: “Ha preso una compagnia destinata al disastro economico portandola al profitto dal giorno alla notte. E questo solo badando ai fatti”.

Quali sono i “fatti” di cui parla Ellison. Sono in primo luogo l’enorme dispendio di risorse che Apple riversava in una ricerca d’avanguardia che andava a vantaggio di tutti, meno che della stessa casa di Cupertino. Così ha guardato al mercato, a quello che gli altri vendevano e a quello che la gente cercava e ha ridotto drasticamente la linea dei computer in commercio che era troppo dispersiva, oltre che costosa. Ha ridotto drammaticamente il personale. Ha chiuso la linea di prodotti straordinariamente promettenti dal punto di vista progettuale, ma fallimentari da quello commerciale, come il Newton che ha fatto la fortuna di 3Com-US Robotics e del loro PalmPilot.

Con la chiusura di Claris (sono rimasti solo FileMaker e il prodotto HomePage in cerca di acquirente) ha circoscritto lo sviluppo del software al solo sistema operativo e ai prodotti immediatamente correlati come Quick Time. Ha accettato il predominio negli applicativi diffusi di Microsoft e del suo Office e ha potenziato la presenza dell’amico-rivale Gates nella Apple, costringendolo alla collaborazione. Ha promosso due campagne pubblicitarie estremamente efficaci come quella “Think Different”, mirata a ricostruire un’ideologia di mercato, e la “Toasted” in cui viene preso di mira il predominio di Intel nel campo dei processori, dimostrando che i prodotti della mela “bruciano”, appunto, per prestazioni i modelli più avanzati di Intel.

Focalizzazione e snellimento

Focalizzazione e snellimento, la formula vincente di Jobs. Ma anche G3, vale a dire una nuova generazione di macchine basate su un innovativo sistema di cache che fa sì che un chip 233 raddoppi le prestazioni rispetto a un Pentium II 300 e che un 266 doppi un PII 333. Ora, con una nuova tecnologia al rame, le prestazioni raddoppiano, posizionando sempre un gradino più in su i prodotti Apple. Non solo, queste macchine miracolose costano molto meno dei loro precursori. Rispetto a questi ultimi montano pezzi meno nobili, come gli Hard Disk IDE al posto degli SCSI, e sono svuotate di molte prerogative scarsamente utilizzate, riproposte solo nella fascia di alto prezzo.

Nonostante ciò, si continua a dire che Apple non può farcela, fintanto almeno che non dimostra di potere entrare nel mercato dei computer al di sotto dei 1000 dollari. Tuttavia, mentre i G3 di fascia bassa sono scesi sotto la soglia dei 1500 dollari, in concomitanza con l’uscita delle macchine ad altissime prestazioni (400 Mhz) si aspetta il debutto dei Mac economici “all-in-one” (l’iMac per intenderci) che erano scomparsi da un mercato dove avevano lasciato non pochi delusi.

Mentre molti criticano Apple per avere trascurato il mercato verticale di riferimento, quello dell’Education e quello della Computer Graphics, i suoi partner (in primo luogo Adobe e Macromedia) passano sempre più all’ambiente Windows. Ma da Cupertino si pensa che il fenomeno sia fisiologico: potrà essere solo la ripresa di Apple a trainare il mercato dei partner, pronti altrimenti ad abbandonarla in favore del mercato più propizio.

Se l’Europa aveva costituito la punta di diamante della precedente Apple, la nuova ditta si sta concentrando molto per recuperare il mercato USA, soprattutto con un efficacissimo sistema di vendita diretta che, dopo aver chiuso i ponti con i clonatori Apple, costringe la catena di distribuzione ad una competizione sempre più stringente e parametrata agli standard dei dealers dei PC. L’Europa a questo proposito sta a guardare: non solo non ha un analogo Apple Store, ma neppure segue la casa madre nelle campagne pubblicitarie e ben pochi acquirenti sono al corrente delle potenzialità dei nuovi Apple di terza generazione.

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