Nicholas Mirzoeff insegna Media, Culture and Communication alla New York University e spicca nel campo della cultura visiva. Ha pubblicato di recente un volume molto interessante al riguardo: How to see the world.
Attingendo sia dalla storia dell’arte che dall’esperienza di tutti i giorni, Mirzoeff dipinge una formidabile visione d’insieme che aiuta a comprendere la realtà e a gestire la valanga di immagini che viene continuamente in contatto con noi.
Mappe, telescopi e microscopi, e poi ancora raggi X, fotografia e cinema, fino ad arrivare a internet e realtà virtuale: ogni epoca ha visto la sua rivoluzione. C’è una costante che unisce tutti questi avanzamenti, ovvero il bisogno umano di emozionarsi. Le immagini sono quanto di più immediato e stimolante possibile, perché non sono i nostri occhi a leggerle, ma il nostro cervello.
Alzi la mano chi da piccolo non ha mai provato a giocare con il caleidoscopio, con i suoi specchi e frammenti di vetro colorato che creavano miliardi di combinazioni simmetriche. Per non parlare poi di quelle finte macchinette fotografiche che si trovavano nei banchetti di souvenir e contenevano 24 scatti della località turistica. Guardavamo nell’obiettivo ed era un po’ come avere la Tour Eiffel proprio lì davanti a noi, anche se in realtà ci trovavamo ai piedi di Notre Dame. Il suo più diretto avo è stato senza dubbio il visore stereoscopico, un dispositivo ottico a forma di mascherina, con tanto di lenti che simulavano la percezione della tridimensionalità e immagini che si potevano cambiare.
Deve passare più di un secolo perché faccia la sua apparizione il Sensorama, che non solo aveva uno schermo 3D e un audio stereo, ma in versioni più complete anche un generatore di odore e vento, e addirittura una sedia in grado di vibrare a seconda di cosa veniva proiettato sullo schermo. Inutile sottolineare che all’epoca veniva considerato da tutti l’ultima frontiera del cinema; da quasi tutti, in realtà, perché non mancarono di certo i critici che lo reputavano come un mero divertimento da parco gioco. Il Sensorama sparì nel giro di poco per via del costo eccessivo e l’assenza di finanziamenti da parte delle case di produzione americane. A noi rimangono immagini assai buffe come quella qui sotto.
Ma abbiamo altri buffi reperti archeologici: i nostri amati Google Glass hanno un nonno ingombrante di tutto rispetto, nato negli anni ’70, che ha saputo combinare una macchina fotografica a un personal computer. Unico neo: il peso eccessivo che lo rendeva pressochè inutilizzabile.
Parlando di realtà virtuale e immersione, anche l’esperimento dell’Architecture Machine Group del MIT Aspen Moviemap (qui un video) è parecchio interessante, anche perché anticipa di ben 30 anni la mappa interattiva Street View di Google. Si trattava di un viaggio virtuale nella città di Aspen, in Colorado, e l’utente aveva a disposizione un buon numero di possibilità, come la scelta della stagione o dell’epoca storica.
E infine, un’incursione nel campo dei videogiochi.
È del 1987 il primo paio di occhiali 3D. A dirla tutta, la pubblicità era ingannevole, perché in verità l’effetto era tremolante e sfocato; non per niente il prodotto venne poi ritirato e l’esperimento concluso.
Diceva Einstein: La realtà è una semplice illusione, sebbene persistente.