Nel 2028 compierà duecento anni
Jöns Jakob Berzelius, chimico del Royal Karolinska Institute di Stoccolma, apparteneva a quella specie di chimici che trasformano la propria cucina in laboratorio. Nel 1815, isolò a casa sua un nuovo elemento da un minerale inviatogli da Falun, città mineraria del suo paese. Decise di chiamarlo torio, in onore del dio Thor. Qualche anno dopo, però, si accorse che non era un nuovo elemento: si trattava, in realtà, di fosfato di ittrio.
Nel 1828 Berzelius era molto famoso tra i chimici, per una buona ragione: aveva scoperto il cerio nel 1803, il selenio nel 1817 ed era stato il primo a isolare il silicio nel 1824. Non era inusuale, quindi, che gli venissero spediti campioni ignoti da analizzare. Ricevette anche uno strano campione di minerale norvegese dal reverendo Hans Esmark, dove identificò, questa volta veramente, un nuovo elemento, per cui ripropose il nome di torio. L’omaggio al dio del fulmine e del lampo è stato straordinariamente azzeccato, dal momento che il torio ha un potenziale enorme come fonte di energia e viene impiegato nelle lampade, soprattutto quelle da campeggio.
Per decenni dopo la sua scoperta, però, il torio è stato un curioso ed esotico materiale ritenuto pressoché inutile. Le sue proprietà sono molto simili a quelle del piombo: è argenteo, malleabile e facile da lavorare e saldare, pesante e piuttosto abbondante. Tuttavia, il piombo è molto più facile da trovare, quindi nessuno riusciva a identificare un buon motivo per utilizzare il torio al suo posto.
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Le cose cambiarono grazie al chimico e inventore austriaco Carl Auer von Welsbach, scopritore di neodimio e praseodimio, nonché pioniere dell’illuminazione artificiale.
Von Welsbach fondò nel 1892 a Berlino un’azienda di successo, la Auergesellschaft. Fino alla Seconda guerra mondiale, si è occupata di luminescenza, metalli delle terre rare e materiali radioattivi, come uranio e torio. Dopo l’abbandono di cera e candele, nel XIX secolo si utilizzava principalmente l’illuminazione a gas, anche perché l’infrastruttura elettrica non era ancora diffusa. Non dobbiamo immaginare, però, lampade particolarmente luminose, anzi: la loro luce era fioca e questo era un grosso problema. Von Welsbach si trovava nel suo laboratorio quando si accorse di un fenomeno chiamato candoluminescenza: mettendo sopra la fiamma del becco Bunsen alcuni metalli delle terre rare, essi brillavano intensamente, molto più della fiamma stessa. Era lo stesso fenomeno che illuminava i teatri del 1800 grazie all’ossido di calcio.
Come si potevano utilizzare per migliorare le lampade a gas? È stato possibile imbevendo un pezzo di cotone in una soluzione di questi elementi e ponendolo all’uscita della fiamma. Accendendola per la prima volta, si bruciava il cotone, che lasciava dietro di sé una delicata rete metallica, che aveva la proprietà di amplificare di molto la luce grazie alla candoluminescenza. Non restava che trovare la miscela migliore, e von Welsbach testò diverse combinazioni, stabilendo che l’illuminazione più intensa e il colore più gradevole erano dati da una soluzione di torio e cerio. Oggi questa tecnologia porta il nome di reticelle Auer.
Quando le luci elettriche diventarono più comuni, l’uso del torio diminuì drasticamente e non fu certo perché il metallo è radioattivo: all’epoca, anzi, la radioattività era considerata un piacevole extra. Nessuno si preoccupò più dell’elemento 90 finché non si scoprì, durante la Seconda guerra mondiale, che i tedeschi lo stavano accumulando.
L’idea del dentifricio
La Germania nazista aveva un programma nucleare, anche se piuttosto grezzo, e gli Alleati erano seriamente preoccupati dei progressi del nemico in questo campo. Quindi, quando scoprirono che i nazisti avevano rilevato una fabbrica francese e avevano spedito in un deposito segreto in Germania la sua intera fornitura di torio, si misero in allerta: temevano che il materiale radioattivo sarebbe stato impiegato in una bomba. Quello che scoprirono li lasciò basiti: il torio sarebbe stato impiegato nel Doramad. No, non sarebbe stato il combustibile radioattivo di qualche arma segreta, bensì un dentifricio radioattivo.
La Auergesellschaft non produceva solo le reticelle metalliche delle lampade o materiali utili all’industria bellica, ma si era tuffata, come molte aziende, nei prodotti radioattivi per la cura della persona. Secondo quanto riporta il fisico Samuel Goudsmit in un numero del 1947 di Time, i funzionari della Auergesellschaft si erano resi conto che, finita la guerra, avrebbero dovuto puntare su altro, perché la produzione di attrezzature belliche e maschere antigas avrebbe avuto un fisiologico calo. Avevano deciso quindi di portarsi avanti e puntare sui cosmetici.
In particolare, questo dentifricio conteneva piccole quantità di torio ottenuto dalle sabbie monazitiche, ovvero quelle derivate dalle rocce fosfatiche che contengono anche terre rare e uranio, di cui il torio è un sottoprodotto. All’epoca si sosteneva che una certa percentuale di composti radioattivi avessero dei benefici per la salute, come un’aumentata difesa dei denti e delle gengive. La pubblicità recitava:
Cosa fa Doramad? Attraverso la sua radioattività, aumenta le difese di denti e gengive. Le cellule sono cariche di una nuova vigorosa energia vitale, che inibisce i batteri nella loro capacità distruttiva. Da qui lo squisito effetto preventivo e curativo sulle malattie gengivali. Lucida lo smalto al bianco più morbido e brillante. Previene l’avvicinamento del tartaro. Buona schiuma, gusto nuovo, gradevole, dolce e rinfrescante. Da usare ampiamente.
Probabilmente non c’è bisogno che lo dica, ma sembra che il torio non sia coinvolto in nessun processo estetico o curativo, sebbene sia decisamente meno radioattivo del radio.
Un’idea migliore: la fissione
Non sarà l’ingrediente migliore per i dentifrici, quindi, ma qualcuno ne parla positivamente come fonte di energia verde del futuro. Il torio ha infatti molte qualità che lo rendono attraente come combustibile nucleare, tra cui spicca il suo essere più economico dell’uranio.
Normalmente presente come isotopo torio-232, decade emettendo una particella alfa e dando inizio a una catena di reazioni che termina con l’isotopo stabile piombo-208.
Non si tratta di un elemento fissile ma fertile: questo significa che non può dare luogo a una catena di reazioni auto-sostenute, ma bombardato con neutroni può trasformarsi in un elemento fissile. Questo processo prende il nome di breeding: quando il torio-232 assorbe un protone, si trasforma in torio-233, che è instabile e va a sua volta incontro a decadimento beta, dando in sequenza i due isotopi protoattinio-233 e uranio-233, che è fissile. La fissione dell’uranio-233 genera a sua volta neutroni che possono fertilizzare altri nuclei di torio: questa catena prende il nome di ciclo torio-uranio.
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Come vantaggi, produce meno scorie radioattive a parità di energia prodotta, può essere impiegato in reattori con raffreddamento ad acqua, ha la possibilità di operare senza arricchimento come avviene invece per l’uranio, ed è maggiormente abbondante rispetto a quest’ultimo. Le scorie prodotte sono anche molto meno radioattive di quelle conseguenti ai metodi impiegati oggi. Una tonnellata di torio potrebbe produrre tanta energia quanto 200 tonnellate di uranio o 3,5 milioni di tonnellate di carbone.
Sembra tutto molto semplice, ma allora perché il mondo non gode di energia pulita e in grandi quantità proveniente dai reattori al torio? Purtroppo, questo elemento ha anche diversi problemi. In primo luogo, è necessario impiegare un primo neutrone per ottenere l’uranio-233 e un secondo per innescare la fissione nucleare, rendendo il processo poco efficiente. Un secondo problema è dato dal protoattinio-233: con un tempo di dimezzamento di circa 27 giorni, la produzione fissile è ritardata rispetto alle fissioni. In più, questo elemento è altamente radiotossico e servono quindi tecnologie adeguate per il suo impiego. In più, dal momento che il torio-232 non è fissile, è necessario utilizzare del materiale che lo sia (uranio-235 o plutonio-239) per dare il via alla reazione a catena.
Non sono però problemi irrisolvibili e impossibili da superare. Alcuni paesi hanno provato ad avviare un programma nucleare basato sul torio, ma nessuno di loro è davvero decollato, almeno non ancora. Uno di questi paesi è l’India, che ospita quasi un quarto di tutte le riserve mondiali di torio, ma solo una percentuale molto bassa di quelle di uranio.
Al momento, quindi, non possiamo ancora affermare che il torio sia meglio dell’uranio, nonostante sia, brillantemente, promettente per l’energia del futuro.
Questo articolo richiama contenuti da Storie periodiche.
Immagine di apertura originale di ahazard.sciencewriter via Wikimedia Commons. con licenza CC BY-SA 4.0.