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La Cassazione: la testata online non è stampa

01 Dicembre 2011

La Cassazione: la testata online non è stampa

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Il direttore di un giornale online non è responsabile dei commenti pubblicati dai lettori (e questa, giuridicamente, non è una novità). Ma la Corte Suprema introduce anche una differenza formale a suo modo rivoluzionaria

Ancora una volta un caso di diffamazione online e ancora una volta una sentenza che si occupa dell’applicabilità della legge stampa in materia di diffamazione alle testate telematiche. La Cassazione, stravolgendo quanto deciso dai giudici di primo grado e di appello bolognesi, ha statuito che al direttore responsabile di un periodico non si può applicare il reato previsto dall’articolo 57 del codice penale. Si tratta di una particolare figura di reato che può essere commessa solo da soggetti che rivestono una particolare qualifica: quella del direttore o del vice direttore responsabile. La responsabilità di tali soggetti può aversi nel caso in cui omettano di controllare i contenuti delle proprie testate e attraverso tali contenuti, come nel caso della diffamazione, siano commessi reati. Oggetto della statuizione della Suprema Corte, dunque, non è il reato di diffamazione, ma la possibilità di considerare responsabile la gerenza di una testata per avere omesso di controllare commenti inseriti dai lettori che si sono rivelati diffamanti.

Non è stampa

La sentenza è preceduta da un’altra, sempre della V Sezione e pronunciata poco più di un anno fa, della quale è ripercorso l’iter logico e le conclusioni e alla quale è fatto espresso rinvio. Secondo i giudici la legge stampa, quindi, si applica ai soli stampati su carta, mentre le testate telematiche fuoriuscirebbero dalla disciplina eccezion fatta per gli articoli della legge stampa espressamente richiamati (in materia di registrazione e di informazioni obbligatorie) dalla legge che ha riconosciuto per prima le testate telematiche, la 62/2001. Ogni altra estensione della disciplina in materia di stampa alle testate telematiche sarebbe, almeno dal punto di vista del diritto penale e ai fini dell’applicabilità dell’articolo 57 c.p., vietata poiché costituirebbe analogia in malam partem.

Ne consegue che, secondo il ragionamento della Cassazione, non solamente i commenti dei lettori, ma anche qualsiasi altro contenuto eventualmente offensivo presente nella testata telematica – articoli, clip multimediali, immagini o sequenze di immagini in movimento, per fare qualche esempio –  non può dare luogo alla responsabilità di tipo omissivo del direttore o del vice direttore responsabile proprio per la inapplicabilità dell’intera disciplina dei reati a mezzo stampa alla testata telematica. Naturalmente, se l’autore della diffamazione (giornalista o collaboratore) ha scritto l’articolo per la testata telematica il reato in sé rimane e il diritto al risarcimento civile anche. Stessa cosa per il lettore che diffama in un commento, se il commento è diffamatorio egli sarà comunque responsabile penalmente e civilmente.

Sonni tranquilli?

Nell’escludere la responsabilità, la Cassazione ha fatto riferimento a un altro aspetto importante riguardante i commenti in una testata e, cioè, alla impossibilità di controllarli. Questo ulteriore requisito basterebbe, da solo, a escludere ogni colpevolezza anche senza il richiamo all’analogia in malam partem. Infatti l’impossibilità di effettuare il controllo sui contenuti, intesa come l’inesigibilità di un comportamento, costituirebbe una causa di giustificazione con la conseguenza di una assoluzione piena. Se la testata telematica non è stampa significa che l’editore o la gerenza della testata possono dormire sonni tranquilli? In realtà l’applicabilità dei reati a mezzo stampa è un’ipotesi particolare di responsabilità anche nel caso della stampa cartacea. È probabile, infatti, che il contenuto sia stato, invece, controllato e accettato nella sua offensività.

In questo caso, quindi, occorrerebbe un’ipotesi che l’articolo 57 del codice penale qualifica espressamente come ipotesi alternativa al reato omissivo e, cioè il concorso con l’autore della diffamazione. La configurabilità del concorso, difficilmente sostenibile nel caso dei commenti liberi e non moderati, cioè commenti non soggetti ad alcun controllo preventivo o posteriore alla pubblicazione potrebbe, invece, ipoteticamente configurarsi in caso di moderazione. Come sappiamo nella prassi è possibile sia avere commenti non moderati, ma inseriti da lettori che debbono autenticarsi alla piattaforma, che commenti moderati ma postati dal lettore senza alcuna verifica circa la sua identità. La moderazione, ancora, può essere anteriore alla pubblicazione – quindi il commento è soggetto a una approvazione ed è letto prima di essere postato – o posteriore – quindi il commento è ritenuto offensivo dopo essere stato postato e viene eliminato.

Obbligo o facoltà?

La prima domanda da farci è se esiste, nel nostro ordinamento, un obbligo giuridico di autenticare gli interventi che i lettori possono fare su una qualsiasi testata online. La risposta è negativa. L’editore o il direttore non sono obbligati a identificare i propri lettori-commentatori e se lo fanno (sia appoggiandosi a social-plugin esterni che usano l’identificazione del lettore attraverso il proprio account sui social network o attraverso la piattaforma-software di funzionamento della testata) è a loro discrezione. La seconda è se nel nostro ordinamento sussista un obbligo giuridico di moderare gli spazi aperti al pubblico e, quindi, i commenti. Questa domanda si ricollega direttamente alla sentenza pronunciata dalla V Sezione, e cioè, se e come le leggi in materia di stampa possono essere applicabili ai commenti. L’orientamento, per adesso, esclude questa eventualità e, quindi, l’obbligo di moderazione non è previsto dalla legge e se la testata decide di moderare, lo fa di sua propria volontà.

Ovviamente, se modera, decide di rendere pubblico il fatto di esercitare una qualche forma di controllo sui contenuti, con tutte le conseguenze possibili in materia di concorso e di immagine data ai lettori ai quali è sempre difficile spiegare la sparizione di un commento come scelta editoriale. Quali possono essere, dunque, le regole in materia di identificazione e moderazione per l’ecosistema delle testate telematiche? La prassi nazionale ed internazionale è ancora in cerca di regole univoche e la tendenza è quella di aprire gli spazi per le opinioni dei lettori cercando di minimizzare ogni rischio.

La prassi

Citeremo due comportamenti estremi, popolari e mediamente restrittivi. Riguardo all’identificazione, infatti, è degna di nota la crescente popolarità di sistemi di autenticazione forte che basano il meccanismo di identificazione dell’utente su un servizio di social networking esterno alla testata e in cui, cioè, l’identità del lettore è confermata non solo dal social network stesso, ma dalla rete sociale dell’utente e da tutte le informazioni e attività reperibili nel suo profilo. Con questo sistema il lettore può commentare o apporre “like” a condizione di rendere pubblica ogni informazione che ha dato di sé nel social network senza oberare l’editore della testata ad adempimenti in materia di privacy: il rispetto delle regole in materia di privacy sono delegate al social network stesso. Altra tendenza popolare è quella di rendere commentabili solo alcuni articoli ed escludere la commentabilità diretta di altri. In questo modo il lettore avrà a disposizione altre zone (tipicamente social network, forum o blog) per promuovere la discussione sulla notizia.

Se l’orientamento dovesse consolidarsi potremmo assistere, quindi, a un fenomeno quantomeno interessante e cioè una differenza di disciplina tra stampa cartacea e stampa elettronica che, per una volta, non va a sfavore della seconda. Meglio: potremmo assistere all’evoluzione del rapporto tra testata telematica e lettore, contenuto giornalistico e contenuto di commento delle notizie originata dalle testate stesse e dai lettori insieme e in varie forme anziché dal chilling effect delle minacce legali. Un bel progresso.

L'autore

  • Elvira Berlingieri
    Elvira Berlingieri, avvocato, vive tra Firenze e Amsterdam. Si occupa di diritto delle nuove tecnologie, diritto d'autore e proprietà intellettuale, protezione dei dati personali, e-learning, libertà di espressione ed editoria digitale. Effettua consulenza strategica R&D in ambito di e-commerce e marketing online. Docente, relatore e autore di pubblicazioni in materia, potete incontrarla online su www.elviraberlingieri.com o su Twitter @elvirab.

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