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La meno strana coppia

24 Novembre 2016

La meno strana coppia

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La sterzata di Microsoft verso l'accettazione del mondo Linux culmina con il costoso ingresso platino in Linux Foundation.

Poco più di un anno fa su queste stesse pagine ci stavamo chiedendo se davvero l’inferno si fosse congelato, poiché era girata la voce che Microsoft stesse lavorando a una propria distribuzione GNU/Linux.

Poi avevamo spiegato che la storia era un po’ più complessa e che non si trattava tecnicamente di una distro. Di certo si iniziava a percepire che l’atteggiamento di Redmond verso il sistema operativo del pinguino era già cambiato rispetto ai tempi in cui Steve Ballmer lo aveva definito un cancro che contamina tutto il software a causa della licenza GPL; era il 2001 e ancora pochi avevano capito il potenziale del sistema operativo open per eccellenza. Già lo scorso marzo lo stesso Ballmer, non più CEO Microsoft, in una intervista cercava di correggere il tiro dichiarando apertamente che ora ama Linux, nonostante le sue esternazioni negative del passato.

Adesso alla guida della più grande multinazionale software di tutti i tempi c’è Satya Nadella e l’approccio sembra profondamente diverso, come si coglie anche da alcune recenti iniziative (si veda ad esempio il progetto per democratizzare l’intelligenza artificiale).

Non a caso la scorsa settimana è arrivato un annuncio importante: Microsoft è entrata formalmente a far parte di Linux Foundation con lo status di platinum member.

Come commenta Frederic Lardinois su Techcrunch,

Attualmente Microsoft è tra i soggetti che più contribuiscono all’open source. Nel corso di questi ultimi anni ha sostanzialmente costruito Canonical Ubuntu all’interno di Windows 10, portato SQL Server su Linux, reso open parti centrali della propria piattaforma .NET e intavolato partnership con Red Hat, SUSE e altri. Lo stesso Jim Zemlin (Executive Director di Linux Foundation) ha fatto notare che Microsoft ha anche contribuito a un certo numero di progetti gestiti dalla fondazione, come Node.js, OpenDaylight, Open Container Initiative, R Consortium e Open API Initiative.

Quella di questi giorni è dunque una notizia sorprendente solo per i più ingenui, o per coloro che amano vedere necessariamente un buono e un cattivo in ogni storia.

Tra l’altro, essere membro della Linux Foundation (anche se con uno status prestigioso) non implica poter dare direttive sullo sviluppo del kernel e degli altri progetti connessi, e nemmeno poter porre il veto su decisioni strategiche che il board della fondazione dovesse adottare. Implica piuttosto avere maggior contezza delle dinamiche interne della fondazione, ottenere informazioni sullo status dei vari progetti in modo completo e in anticipo rispetto ai soggetti esterni; ma soprattutto – la cosa che forse per ora interessa di più ai fan dell’open source – elargire ogni anno a fondo perduto un bel gruzzolo per gli scopi istituzionali della fondazione.

Il testo di questo articolo è sotto licenza Creative Commons Attribution – Share Alike 4.0.

L'autore

  • Simone Aliprandi
    Simone Aliprandi è un avvocato che si occupa di consulenza, ricerca e formazione nel campo del diritto d’autore e più in generale del diritto dell’ICT. Responsabile del progetto copyleft-italia.it, è membro del network Array e collabora come docente con alcuni istituti universitari. Ha pubblicato articoli e libri sul mondo delle tecnologie open e della cultura libera, rilasciando tutte le sue opere con licenze di tipo copyleft.

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