Saprete anche che è l’acquisizione più onerosa avvenuta tra aziende della Silicon Valley e che si tratta del primo social network di primaria importanza a venire inghiottito da una delle corporation tradizionali dell’IT.
L’evento ha scatenato decine di commenti, come è giusto che sia data la portata, economica ma soprattutto simbolica, dell’acquisizione. I commenti sono caduti a pioggia su diversi aspetti dell’operazione, ma due sono le domande cruciali: che ne sarà di LinkedIn una volta targato Microsoft? Perché Microsoft ha comprato LinkedIn?
Nel primo caso troviamo spesso esplicitata tutta la diffidenza che Microsoft suscita in molti, i quali temono tragici azzoppamenti o incursioni maldestre da parte dei nuovi proprietari a discapito di una creatura nata dalle sacre sabbie della tradizione delle startup californiane.
Nel secondo, invece, in molti cercano di analizzare il senso dell’acquisizione in termini industriali e strategici, sollevando spesso dubbi sull’effettiva convenienza. Di nuovo, Microsoft produce diffidenza in molti commentatori, per le sue capacitá di gestione e riguardo al fiuto per gli affari.
Altri sono entusiasti. Al Wall Street Journal si lanciano addirittura in un elegiaco Microsoft and LinkedIn are a natural fit, coppia perfetta, e il New York Times scrive della mossa più ambiziosa di Microsoft negli ultimi anni, ma ovviamente è solo business as usual, nessuno crede a certe sparate.
Insomma, Microsoft&LinkedIn è un matrimonio o mercimonio facile bersaglio dei critici o musica per gli adoratori dei mega-Merge&Acquisition.
La fine della storia
Qui voglio dire un’altra cosa, un messaggio diverso che si può riassumere semplicemente così: dimenticatevi di Microsoft&LinkedIn, l’acquisizione è di scarso interesse, un percorso già visto, dichiarazioni già sentite, analisi noiose. Importante e interessante è in realtà la dismissione, la vendita, la fine della storia di LinkedIn.
Qualcuno starà già dicendo Ma come? E l’integrazione di LinkedIn con Microsoft, corporate social network più corporate cloud, non la conti? E l’integrazione di LinkedIn con Office 365?
Certo, certo, aggiungete anche Skype insieme a LinkedIn per fare le interview e i colloqui online, più altre varie ed eventuali. Tante nuove funzionalità. Tutte sexy come un calzino bucato. Interessano solo a quelli che scrivono publieditoriali o i conferenzieri degli eventi inutili. Perché una cosa è certa, la storia di LinkedIn è finita.
Naturalmente non è finito LinkedIn in quanto società o servizio o business. Certamente no, anzi, l’acquisizione da parte di Microsoft è forse la miglior garanzia di conservazione che si poteva sperare.
Verrà toccato il meno possibile, brandizzato in modo discreto e tutto verrà fatto per mostrare la grande indipendenza che Microsoft concede. Verrà mummificato, fino all’irrilevanza che già sta gettando le sue ombre.
Rimarrà il solito sito dove aggiungere informazioni professionali, curriculum, aggregarsi a gruppi tecnici, ricevere richieste di contatto da perfetti sconosciuti che si accettano per disinteresse. Per i più attivi rimarrà la solita piattaforma attraverso la quale massaggiare quotidianamente il proprio profilo e ampliare i tentacoli della rete di contatti. Alcuni continueranno a ricevere mail da head hunter sempre più simili ai televenditori degli operatori telefonici, altri continueranno a sognare di entrare nel mirino degli head hunter. Gli esperti di gestione di Human Resources e le università continueranno a proporre corsi di aggiornamento per il recruitment del futuro e Apogeo pubblicherà ancora libri sulla ricerca di lavoro all’epoca di LinkedIn; le analisi commissionate da LinkedIn su quanto è bello trovare lavoro attraverso se stesso troveranno sempre una famosa società di consulenza disposta a scriverle.
Ma la storia di LinkedIn, con questa acquisizione, si conclude.
Interessante, un anno fa
Da ora in avanti, appena esaurito il periodo di attenzione dovuto alla novità, le luci della ribalta si spengono su LinkedIn. Rimane il solito social network, ormai una commodity: c’è, funziona, siamo abituati a usarlo, lo usiamo, non cambierà mai e un giorno ce ne dimenticheremo senza rimpianti. Qualcuno scriverà un pezzo sull’ennesimo pessimo investimento fatto da Microsoft, ma che forse tanto pessimo non sarà stato. Tutto molto poco interessante.
Veniamo alla parte succosa, la fine della storia di LinkedIn. Cosa intendo con storia di LinkedIn? Per questo bisogna tornare indietro di quasi un anno, quando il New Yorker pubblicò un lungo profilo di Reid Hoffman, il carismatico fondatore di LinkedIn, l’uomo più connesso della Silicon Valley, come lui si autodefinisce. Un imprenditore miliardario dagli stretti legami con la Casa Bianca e un rapporto personale con Obama, uno capace di riunire attorno a un tavolo di ristorante gli imprenditori e i venture capitalist di maggior peso della Valley. Uno che conta e molto.
Il profilo che emerge, elegantemente reso in chiave comica dalla snobberia del New Yorker, è quello del tipico tecnoutopista ultraliberista post-hippy visionario, dotato di risorse ingenti e con i mezzi per creare team world-class per qualunque progetto intenda intraprendere, il tutto abbondantemente mescolato a strascichi di cultura fantasy e cialtroneria ciarlatana. Un supereroe tecnologico fantasycialtronesco, lo definirei, che progetta società umane del futuro fondate su rapporti interpersonali, economici e culturali da lui stesso ridefiniti. E al centro di tutto c’era LinkedIn, la sua creatura di maggior successo, l’incarnazione dell’utopia.
Hoffman ha una capacità innaturale di muoversi a suo agio tra i mondi di tecnologia, investimento e politica e quelli di giochi, fantascienza e fumetti. “Il business è giocare in modo sistematico”, sostiene. Sembra ritenersi un supereroe da lui stesso inventato: l’Ubernode, la persona più connessa del mondo. Non è l’ennesimo convenzionale networker o un altro bullo avido dalla Silicon Valley. Il suo progetto è costruire un mondo migliore, i cui contorni sono molto più chiari a lui che alla maggior parte delle persone.
LinkedIn doveva diventare lo strumento globale per muovere le persone attraverso i posti di lavoro. Non viceversa, non muovere le occasioni professionali tra le persone. Le persone sono le entità da muovere su una rete di professioni disponibili cercando il match migliore. Il tutto in un sistema mediamente instabile, dove la permanenza di una persona in un posto di lavoro sta tra i due e i quattro anni. Con frequenze maggiori di due anni, il sistema diventa un ronzare ingestibile di sciami di mosche e il vantaggio per il business crolla; con frequenze inferiori ai quattro anni la gente si dimentica che la vita nel mondo LinkedIn-centrico è inerentemente precaria e instabile.
Quindi LinkedIn non doveva essere quel noiosissimo sito professionale, mezzo circo della vanità e mezzo mercato delle vacche, che conosciamo, ma l’incarnazione di un’utopia sociale. Lo strumento per far saltare tutte le pratiche di ricerca di personale preesistenti, svellere gli equilibri di forza tra datori di lavoro e lavoratori, sbriciolare pure il sistema della formazione professionale, ridisegnare l’intera impalcatura sociale basata sul lavoro mettendo al centro di tutto LinkedIn, l’Ubernode. Una vera utopia megalomaniaca in tutto il suo splendore fantasycialtronesco.
Il mondo nuovo di piattaforme online, marketplace e reti pensato da Hoffman produce aziende che emergono della concorrenza brutale tra startup in forma di grandi organizzazioni top-down e quasi monopoliste […] Forse una classe di persone vivrà dentro grandi aziende e un’altra classe, più ampia, sarà parte di una comunità connessa in modo più lasco. Più si crede con sincerità che da questo fenomeno stia emergendo un mondo migliore – un mondo dove per miliardi di persone la vita migliora rapidamente – più si può lavorare con tutto il cuore per accelerare il suo avvento. È difficile immaginare un credente con più fervore di Reid Hoffman.»
Addio Ubernode
Ecco quindi la fine della storia di LinkedIn e il suo fallimento. L’utopia si è dissolta tra le ruote dentate della realtà. Il mondo forse va veramente nella direzione profetizzata da Hoffman, ma non alla velocità cataclismica da lui sperata. E allora non c’è tempo, allora LinkedIn insieme al relitto dell’illusione dell’imprenditorialità di massa li si lascia al destino medioborghese di Microsoft, che è l’emblema della triste mediocrità delle corporation tecnologiche per il mercato della mediocrità industriale globale, e con i 26 milardi di dollari ci si può lanciare nella nuova fantasycialtronata utopistica. Artificial Intelligence etica o etica per Artificial Intelligence: ecco la nuova declinazione per il prossimo triennio, distillata da una conversazione tra un elegante sicario di McKinsey e il visionario fantasycialtrone.
Ecco perché suggerisco di lasciar perdere Microsoft e LinkedIn, un matrimonio tanto noioso da non valere i discorsi che si stanno sprecando, e invece prendere la mira sullo spazio vuoto lasciato dalla rimozione di LinkedIn dal palcoscenico dell’utopia fantasycialtronesca della Silicon Valley.
È in quel vuoto che sta bollendo la nuova ricetta miracolosa di questa banda di ciarlatani di genio.
Enjoy the show, folks.