Un’incubatrice per neonati è ancora un irraggiungibile sogno di un’enorme fetta del nostro mondo, dove un acquisto del genere è riservato a un’organizzazione sanitaria efficiente e ricca, che possa garantirne il funzionamento e la manutenzione, ad opera di società tanto specializzate quanto costose. Una partoriente di un neonato prematuro in un villaggio al centro del continente africano può solo sognare un’assistenza analoga e nel frattempo sperare nella buona sorte.
Così fino a oggi. Esiste infatti Open BioMedical Initiative (OBM), organizzazione di volontari e specialisti di ogni parte del globo che collaborano per sviluppare progetti indirizzati al mondo della sanità e della fornitura di protesi, previo uso intensivo delle nuove tecnologie, a partire dalla collaborazione online e dalle stampanti 3D.
Tutta la documentazione dei loro progetti è resa disponibile liberamente in rete, così che una protesi come la Fable, stringato acronimo di Finger Activated By Low-cost Electronics (dito attivato da elettronica a basso costo), può essere costruita da chiunque, in qualunque parte del mondo, purché abbia voglia e tempo di leggersi modalità di realizzazione, di funzionamento e di manutenzione.
Funzionamento che è ben lontano dall’essere banale: gli impulsi mioelettrici all’altezza dell’avambraccio e dovuti alle contrazioni muscolari vengono utilizzati per pilotare in modo puntuale e preciso le singole dita elettromeccaniche, sostitutive di quelle naturali in caso di incidenti o di malformazioni congenite.
All’ultimo Maker Faire romano era in bella mostra anche l’incubatrice Bob, Baby On Board, totalmente assemblata da pezzi stampati in 3D, a partire da materiale plastico semplice e facilmente recuperabile. L’elettronica di controllo è ovviamente realizzata con una delle tante schede disponibili in rete e ormai ben radicate e conosciute in ogni parte del mondo. Costo componenti ridotto all’osso, riproducibilità totale, pronta per fronteggiare quel 75 percento di morti neonatali globali che, pare, siano dovute esattamente alla mancanza di apparecchiature biomedicali nel posto giusto e al momento opportuno.
Tornando a OBM, si tratta oltretutto di un’iniziativa d’origine italiana, nata grazie al generoso intuito di Bruno Lenzi, ingegnere elettronico e di formazione biomedica e di Giancarlo Orsini, manager in un gruppo finanziario ed esperto di marketing e comunicazione.
Attualmente è una Onlus che può contare su oltre seimila esperti sparsi per il mondo, tra bioingegneri, informatici, designer e comunicatori. È anche un’occasione per fare del bene con un aiuto economico, incrementando quella che possiamo definire un’iniziativa sulla scia della tanto nominata produzione 4.0, nella quale un manufatto non verrà più realizzato per essere recapitato, ma direttamente prodotto nel luogo di residenza dell’utente. Magari, come in questi casi, per salvargli o migliorargli la vita.