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M’è morto il P2P

02 Agosto 2016

M’è morto il P2P

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Rampante sino a dieci anni fa anche grazie a fenomeni come Napster, la connessione diretta è in declino. Pesanti le implicazioni.

Internet è nata con l’idea che gli utilizzatori client ricevano servizi da calcolatori permanentemente accesi, connessi alla rete e dedicati allo scopo (server). Quando raggiungiamo una pagina col browser, è un webserver a mandarci testo e immagini; la posta per noi sta su un mailserver sinché non decidiamo di scaricarla e via dicendo.

Alla fine degli anni Novanta era nato un fenomeno nuovo che sembrava molto promettente: peer-to-peer, un modo di trasmettere dati che evitava l’uso dei server. Diventava tecnicamente possibile grazie all’apparizione delle linee ADSL, grazie alle quali si poteva restare sempre connessi anche da casa. Pioniere fu Napster, un sistema che facilitava la pirateria di musica digitale: chi partecipava metteva in condivisione una cartella di canzoni sul suo disco rigido e poteva pescare dalle analoghe cartelle altrui.

Negli ultimi quindici anni circa, campione del peer-to-peer è stato Skype, servizio di telefonia e videoconferenza su Internet. Il programma, quando veniva lanciato, si rendeva conto della bontà della connessione Internet a disposizione. In presenza di una buona banda passante e se l’utente non chiudeva l’app, Skype trasformava il client su cui girava in un supernodo, una specie di server temporaneo che lavorava come direttore d’orchestra per gli utenti occasionali del servizio.

Grafo che mostra il funzionamento classico di Skype: gli utenti dotati di migliore connettività diventano supernodi e dirigono il traffico

Immagine tratta dal manuale di Skype per amministratori di rete, anno 2000 circa.

La formula, assolutamente geniale (specie per i proprietari di Skype, che in questo modo non pagavano un centesimo per i server dedicati), cominciò a mostrare la corda alla fine degli anni Duemila, con la nascita di smartphone e tablet. Lavorando in un ambiente sempre più povero di PC e più ricco di utilizzatori che aprono l’app per lo stretto necessario, il sistema peer-to-peer fatica. Microsoft, che nel 2011 acquistò Skype, quasi subito dovette stampellare l’infrastruttura aggiungendo alcune migliaia di supernodi permanenti di proprietà (per di più, Linux).

Il passo successivo è di questo mese: Microsoft passa a una struttura interamente basata su server dedicati, appoggiandosi stavolta alla propria tecnologia cloud, Azure. Chi usa Skype, dunque, presti attenzione: bisogna aggiornare il software, o si resta senza voce; quindi sono richiesti OS X Yosemite, iOS 8, Android 4.03, o superiori. Chi usava Skype attraverso una smart TV o la Playstation è tagliato fuori.

Con l’acqua sporca, si butta via il bambino. Era già tristemente noto che tutte le conversazioni e le chat su Skype erano porose all’intercettazione da parte della NSA e compagnia cantante, avendo Microsoft inserito punti di ascolto nel suo software ed evitato la cifratura punto-punto. Col passaggio a un sistema completamente centralizzato, l’ultima difficoltà tecnica per i ficcanaso viene a cadere. Microsoft, nell’annunciare trionfante il rilascio del nuvo Skype, si guarda bene dal rassicurarci su questo ambito. Per fortuna che c’è Signal.

L'autore

  • Luca Accomazzi
    Luca Accomazzi (@misterakko) lavora con i personal Apple dal 1980. Autore di oltre venti libri, innumerevoli articoli di divulgazione, decine di siti web e due pacchetti software, Accomazzi vanta (in ordine sparso) una laurea in informatica, una moglie, una figlia, una società che sviluppa tecnologie per siti Internet

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