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Personalize!

23 Giugno 1998

Personalize!

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La "Personalizzazione" è diventata la parola d'ordine su Internet, anche quando di personalizzazione se ne realizza ben poca. Il bello e il brutto di una nuova tendenza.

L’ultimo anno ha visto un boom della personalizzazione, ma non si tratta certo di un concetto nuovo. Possiamo tranquillamente dire che sia un elemento insito nelle nuove tecnologie: il termine “personal computer” non chiarisce forse che si tratta di strumenti studiati per soddisfare esigenze individuali?

La storia della personalizzazione comincia con l’intuizione di usare i calcolatori come strumenti di lavoro personali ed è legata all’ideazione dell’ipertesto, cioè dei percorsi personali all’interno di un testo. La personalizzazione attraversa l’evoluzione di software sempre più flessibili alle esigenze del singolo utente e passa attraverso gli studi sugli agenti intelligenti personali. D’altra parte al Media Lab del MIT, quello che è stato definito l’officina della comunicazione dove si inventa il futuro, la personalizzazione è alla base di tutti i progetti di ricerca da molti anni: hanno quasi inventato un nuovo modo di parlare! Come l’alfabeto farfallino, però invece della “f” mettono prefissi come “personal” o suoi sinonimi a tutte le parole: personalcasting, personal media, My Time (invece di prime time televisivo), Daily Me, Personal Area Network, ecc.

Tutto gira intorno alla possibilità offerta dalla macchina di configurare determinati servizi o applicazioni secondo le indicazioni, gli interessi e le esigenze di ogni singolo utente. Il narrowcasting portato all’estremo, in cui il messaggio raggiunge un solo destinatario. D’altra parte la mass customization, cioè la personalizzazione di massa, è il nuovo paradigma manageriale dell’attuale modo di concepire la produzione di beni, con il riconoscimento della centralità delle esigenze e dei desideri dei clienti. In tutti i mercati i criteri di segmentazione sono mutati e l’orientamento al cliente è diventato cruciale. Tutto fa pensare che non si tratti di un momento, ma di una direzione ben definita che l’evoluzione tecnologica e, quello che è più importante, il mercato hanno preso in maniera chiara.

Alcuni parlano di cambiamento della società o di “creazione di un mondo migliore”, ma, come fa capire Enrico Pedemonte nel suo recente “Personal Media”, sono gli americani (e, diciamolo pure, in prima fila Nicholas Negroponte) che hanno la mania di parlare di sogni, risvolti etici e sociali quando l’oggetto in questione non è altro che business. È vero che sfruttando la nuova tecnologia possiamo migliorare alcuni aspetti della nostra vita e modificare le nostre abitudini, ma spesso saltano fuori paroloni come “utopia” per contesti che poco hanno a che fare con la storia dell’Europa e con le utopie che l’hanno attraversata. Staremo a vedere.

Certo è che la tendenza è forte. La rete è popolata da servizi personalizzabili: giornali, push systems, informazioni finanziarie, acquisti via rete, consigli per il tempo libero ecc. Anche l’Italia si muove e, nell’ambito dell’informazione giornalistica, qualche esempio interessante esiste: “Amico” di Italia On line (amico.arianna.it) e il giornale personalizzato di “Repubblica.it” (www.repubblica.it), recentemente riproposto ai lettori dopo alcuni problemi tecnici riscontarti nella prima edizione. L’idea del Daily Me (il quotidiano di me stesso) sta davvero spopolando in rete. Ma l’informazione personalizzata non raggiunge l’utente solo tramite il Web, alcuni servizi infatti sfruttano l’e-mail, altri la push technology, ecc.
Dopo l’intuizione di Pointcast del 1996 (www.pointcast.com) sono nati push systems in grado di recapitare informazione più o meno personalizzata sul terminale dell’utente, anche se spesso con qualche inconveniente tecnico: nonostante le sue interessanti prestazioni, pochi sono usciti vivi dal bombardamento di notizie e dall’ingombro di memoria di Pointcast Network. Tutto sommato una semplice newsletter personalizzata, formato web, spedita via posta elettronica sembra essere la soluzione più agevole.

Sperimentare, quindi. In rete c’è l’imbarazzo della scelta. Un consiglio soltanto, non abbonarsi a troppi servizi contemporaneamente perché si rischia il soffocamento. E pensare che tutto questo nasce anche dall’esigenza di far fronte all’information overload! Vannevar Bush ci provava già negli anni ’40 con il suo Memex, una macchina a collegamenti meccanici che avrebbe aiutato gli studiosi e i dirigenti di fronte a quella che già allora stava diventando un’esplosione di informazione.
Colpito dalla massa crescente di materiale di qualsiasi campo, Bush si rese conto che il numero di qualsiasi pubblicazione era già superiore alla nostra capacità di farne un vero uso. “Potrebbero esserci miliardi di nozioni utili, assieme al resoconto delle esperienze che le hanno generate, ciascuna catalogata secondo criteri solidi e accettati. Ma se uno studioso riesce, con minuziose ricerche, a reperirne una sola alla settimana, è difficile che i suoi risultati possano tenere il passo con la realtà”. (1945).
Perché l’informazione diventi ricchezza non basta conservarla: è necessario conoscerne l’esistenza, trovarla, potervi accedere, essere in grado di gestirla. Siamo davvero vicini all’individuazione della formula vincente?

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