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Piacere, siamo i nativi digitali

03 Novembre 2008

Piacere, siamo i nativi digitali

di

La riforma della scuola inizia con il computer nello zainetto, recita il motto di un progetto nato lontano dai clamori. Siamo entrati in una classe elementare di Rivoli dove questa sperimentazione è realtà. E dove i giovani studenti ci hanno raccontato il loro rapporto con la tecnologia

Lunedì mattina, autunno 2008, quinta A, Rivoli (Torino), una delle classi dove in Italia si sta sperimentando l’iniziativa Un pc per ogni studente, cioè la possibilità che ogni scolaro abbia a disposizione un proprio computer portatile, anche quando torna a casa. Oggi sono qui per capire, in modo del tutto empirico, chi sono i cosiddetti nativi digitali o millennial, insomma quelli per cui tutto questo è normale. Paola Limone, una delle tante maestre curiose, tecno-autodidatta, esperta di accessibilità e ideatrice di servizi come Bambini siete pronti a navigare?, Il porto dei maestri e genitori e collaboratrice di Ricerche Maestre, Dario Zucchini (Superzuc), motore di tante esperienze innovative nella scuola, e Marco Guastavigna sono le teste pensanti di questo progetto, reso possibile da Mariano Turigliatto, consigliere regionale di professione ma insegnante di nascita, che con il suo staff ha sostenuto l’idea dell’one-to-one pc e ha trovato in Olidata, uno sponsor intelligente.

Chiedo alla maestra Paola se i bambini sono particolarmente insistenti nella richiesta di usare il pc o se ha notato qualche cambiamento nel rendimento della classe. Mi risponde che, a un mese dall’inizio di questa sperimentazione, non ha colto segnali specifici. Mentre i bambini completano i loro esercizi, Paola mi fa vedere quali sono le applicazioni messe a disposizione dall’interfaccia Magic Desktop, i “giochi” che servono per imparare a contare, e ai bambini non fa alcun effetto che siano in francese o in inglese, capiscono quello che devono fare. Normalmente salvano i loro testi in cartelle specifiche che periodicamente la maestra svuota trasferendo tutto sulla sua penna Usb, anche se hanno già avuto qualche piccola complicazione data dal pacchetto di scrittura che non salva correttamente i nomi dei file. Scrivono anche il loro diario, e su quello Paola non interviene con le correzioni. Mi viene in mente Freedom Writers, l’esperimento di una professoressa americana che, chiedendo ai suoi allievi di tenere un diario, a lei accessibile solo con la loro esplicita ancorché non dichiarata autorizzazione, riesce a entrare in relazione con il loro mondo.

Penso anche a Seymour Papert, incontrato nel 1994 a Venezia, che scriveva in Bambini e computer che solo quando i pc fossero entrati in classe, avrebbero potuto cambiare qualcosa e non essere considerati un qualcosa di “alieno”. Penso al solito esempio del viaggiatore del tempo, che arrivando dal diciannovesimo secolo confronti come sono cambiate una sala operatoria, un ufficio e un’aula scolastica. Ma queste cose le ho già scritte: nel frattempo abbiamo lavorato, discusso e sperimentato, e forse grazie anche alla legge di Moore e a qualche visionario che oggi siamo arrivati qui.

Di fatto i 21 scolari, in maggior parte femmine, sono costantemente immersi nel mondo digitale: tre quarti di loro hanno un cellulare (ma non lo portano a scuola), mentre quasi tutti hanno o il computer a casa e/o console di gioco, molti hanno (ancora?) il videoregistratore, ma non è vero che sono loro a programmarlo (tanto per sfatare un mito, anche se sono solo due le mamme che se ne occupano in tutta la classe). I bambini mi fanno notare un po’ timidamente che sono un po’ “antica”, perché adesso ci sono i lettori e i registratori di Dvd, anche portatili, che usano per vedere i film quando sono in automobile. Ritengono questo pc, più usabile dell’XO o Olpc, che hanno avuto l’opportunità di provare e che considerano «più bello». L’entusiasmo è evidente, del resto sono molto consapevoli di essere privilegiati e l’hanno scritto anche sul blog messo a disposizione dal quotidiano La Stampa. Leggono libri e fumetti, ma preferiscono i videogiochi. Dichiarano di non guardare molto la Tv, ma poi si scopre che sanno a memoria tutte le pubblicità dei giocattoli, e molti di loro vanno a dormire anche dopo le 22. Tantissimi la guardano anche prima di andare a scuola.

La connessione a Internet è importante solo per il 50% di loro: mi spiegano che i giochi si possono scaricare in locale. Ma – chiedo – non usate mai Internet per soddisfare le vostre curiosità? Pare di no, al massimo cercano immagini e musica. Nessun bisogno per ora di approfondire e verificare. Anche perché la Tv è considerata totalmente affidabile, mentre i giornali un po’ meno: hanno già provato la frustrante esperienza di vedere le proprie parole un po’ «cambiate» dai giornalisti. E di Internet non si fidano neanche un po’. Eppure con Internet potreste intervistare direttamente uno scienziato, abbozzo, potreste chiedere a lui di soddisfare dubbi e curiosità! Quali domande gli fareste? Rispondono: perché il sole scalda? Perché la luna si accende solo di notte? Perché Marte è rosso? C’è l’acqua sugli altri pianeti? C’è la vita? Perché gli alieni sono diversi da noi? E come hanno fatto Adamo ed Eva a popolare la terra, se erano solo in due?

Eppure non credo che usino il pc solo per giocare. Infatti, oltre a quello particolarmente intraprendente che naviga su eBay, tutti usano il Messenger (pochi Skype). Lo usano per parlare con i compagni di scuola, gli stessi che frequentano al mattino, o al massimo l’amico delle vacanze o il cuginetto lontano. Usano la webcam per vedersi e rifiutano le richieste di contatto indesiderate. Sostengono di non avere mai avuto molestie, ma pare che non parlino volentieri di questo. Paola interviene dicendo che già l’anno scorso hanno affrontato questo problema e sanno di non dover dare le proprie generalità agli sconosciuti. Però tutti non vogliono che si leggano le loro chat «perché parlano di cose intime» e un numero troppo elevato di loro ha il pc nella propria stanza.

È ora di andare, c’è tempo per una sola domanda: come vi immaginate il computer che avranno i vostri figli alla vostra età? Sicuramente qualcosa di piccolo (orologio, pallina) con un grande schermo che compare e scompare all’esigenza, per cui non serve una tastiera, ma che si può comandare a voce, e soprattutto un Google Earth 3D, un ologramma che si possa navigare con il tocco di un dito e permetta livelli infiniti di zoom (Ma vorreste che qualcuno vi vedesse in casa? «Eh, no certo!»), ma soprattutto in grado di teletrasportarti dove vorresti essere.

Questo progetto, nato un po’ per caso, senza costi vivi per la scuola, né finanziamenti, né bollini, in cui tutti lavorano come volontari, non ha una tesi da dimostrare. Non è stata nemmeno definita una metrica a priori per misurare quale sia l’efficacia sui processi di apprendimento, quindi sul piano scientifico potrebbe non essere un caso da manuale. È un’esperienza reale, che permette ai bambini di vivere in classe in continuità con quanto vivono fuori dalla scuola. I bambini non sono stati scelti perché rappresentativi di un campione e infine può darsi che i risultati dimostrino che il pc in classe sia perfettamente inutile; che non abbia alcun potenziale rivoluzionario; che le scelte tecnologiche siano completamente sbagliate; e che sia meglio una lavagna interattiva multimediale in cui a giocare è soprattutto l’insegnante. Nessuno oggi ha queste risposte, e dopo dieci anni se ne sta ancora discutendo (per chi fosse interessato segnalo un online webinar in programma il prossimo 18 novembre: One-to-one Computing: Data, Metrics and Results): le classifiche Ocse e i grembiulini, lasciamoli ad altri. Dimenticavo: la scuola elementare è intitolata a Don Milani, che non era propriamente ortodosso nei metodi.

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