Per usare bene gli algoritmi basta fare lavorare la mente
Apogeonline: l’informatica sembra a tratta sganciata dalla vita di tutti i giorni. Perché usare bene gli algoritmi può facilitare anche attività che niente hanno a che vedere con i computer?
Brian Christian e Tom Griffiths: Perché i computer hanno un tratto in comune con gli esseri umani: i vincoli di spazio e di tempo. Anche nel tempo del cloud le risorse a disposizione di un computer sono finite, né possono essere sprecate se si fa attenzione ai consumi e all’ambiente. I programmatori sono attenti a usare bene dischi e CPU così come nella vita abbiamo cura dell’agenda di lavoro o del tempo libero. Gli algoritmi sono modi di ricavare il massimo con il minimo delle risorse; è un obiettivo che perseguiamo anche nel mondo reale.
In questi giorni si parla con insistenza delle intelligenze artificiali generative, che si azionano con prompt di testo e sembrano avere vita propria o quasi. Ha ancora senso parlare di come usare gli algoritmi, in un contesto simile? Contano ancora qualcosa gli algoritmi in generale, se possiamo scrivere che cosa vogliamo sapere con una frase in linguaggio naturale?
La diffusione delle intelligenze artificiali basate su grandi modelli linguistici (LLM) è in realtà una straordinaria occasione per riconoscere e distinguere quello che ci rende veramente umani e quello che invece possiamo delegare al computer. Gli algoritmi continuano a contare in questo panorama, se non altro perché le intelligenze artificiali possono aiutarci a prendere decisioni, ma non sanno decidere al nostro posto! Molti degli esempi presi in esame nel nostro libro riguardano attività estremamente concrete, dove le intelligenze artificiali non arrivano. Pensiamo al decidere quando è il momento migliore per acquistare un immobile, per esempio.
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L’uso ottimale degli algoritmi, dentro e fuori le intelligenze artificiali, mette a rischio posti di lavoro?
La risposta è complessa. Ripartiamo da quanto detto sopra, dalle intelligenze artificiali che mostrano che cosa ci rende veramente umani e, di converso, quello che non sanno fare al nostro posto. Nel nostro libro parliamo della regola del 37 percento, che descrive la quantità di esplorazione casuale da compiere prima di scegliere un partner. Certamente non è l’algoritmo ad avere messo fuori mercato le agenzie matrimoniali, cosa che magari hanno fatto i siti di incontri. Nel lavoro di tutti i giorni, usare bene gli algoritmi utili ai nostri processi decisionali ci può fare lavorare meglio.
Un algoritmo è una risposta infallibile al problema che stiamo affrontando?
Dipende in larga parte dal problema. Nel nostro libro parliamo di algoritmi da adattare alla vita reale di ciascuno; ma sono stati prodotti algoritmi di grande complessità per affrontare situazioni intrinsecamente ambigue e abbiamo molta strada da fare per essere soddisfatti delle risposte.
Ci sono sistemi che leggono e classificano automaticamente i curriculum, per esempio, e solo dopo anni ci siamo accorti che applicano discriminazioni di genere. Altri sistemi decidono se rimettere in libertà una persona in stato di arresto e abbiamo capito che trattano in modo differente bianchi e neri. Non possiamo più dare per scontato che la nostra richiesta di mutuo, o persino gli esami del sangue, passino da un giudizio umano. Non parliamo delle auto che guidano da sole, cui si affidano le vite di un numero sempre crescente di persone.
In tutti questi casi abbiamo davanti un lungo lavoro di miglioramento e ottimizzazione. In certi casi non è nemmeno possibile stabilire a priori l’opzione migliore, una cosa di cui ci siamo resi anche dolorosamente conto con le auto.
C’è chi sostiene che la mente umana sia assimilabile a un computer e sia governata da algoritmi, che ci basta scoprire per realizzare l’obiettivo dell’intelligenza artificiale. Qual è la nostra posizione?
Sono proprio i recenti progressi con il machine learning e i grandi modelli linguistici a esporre il grande divario esistente tra la mente umana e le intelligenze artificiali attuali. L’obiettivo della AGI, Artificial General Intelligence, è ancora lontano. Intanto studiamo l’intelligenza umana per cercare di comprenderla sempre meglio. I temi da risolvere sono numerosi: riconoscimento di schemi, creazione di analogie, ragionamento probabilistico, acquisizione del linguaggio, apprendimento bayesiano. Su alcuni di essi abbiamo una visione piuttosto chiara dal punto di vista algoritmico; su altri dobbiamo ancora approfondire le nostre conoscenze. Certamente l’intelligenza dell’uomo è qualcosa di molto più complesso dei sistemi che possiamo installare sui computer di oggi.
Che algoritmo vi piacerebbe avere a disposizione sul computer?
(Brian) Mi piacerebbe poter dire allo smartphone Mostrami la foto in cui X appare più felice.
Fra quanti anni avremo a disposizione algoritmi realmente intelligenti?
È una risposta soggetta a molti fattori che non sono pienamente sotto il nostro controllo. Per dare un’idea dei progressi che sono stati compiuti finora, pensiamo che circa 12 anni fa un programma specializzato ha ottenuto ottimi risultati nel gioco televisivo Jeopardy, sconfiggendo i campioni umani.
Oggi, un grande modello linguistico basato sul machine learning e interrogabile da qualsiasi computer potrebbe affrontare la stessa sfida senza essere stato programmato specificamente per questo scopo.
In base a un esempio come questo, potremmo azzardare che le capacità programmate specificamente per raggiungere un obiettivo, arrivino a disposizione di tutti in modo generico nel giro di dieci/dodici anni.
Questa non è una misura scientifica di un progresso oggettivo; tuttavia è una buona base per ipotizzare che cosa potremmo attenderci da qui a dieci anni.
Immagine di apertura di and machines su Unsplash.