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View Conference, il digitale che viviamo

13 Novembre 2008

View Conference, il digitale che viviamo

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A Torino, fino a venerdì 14, è in corso una parata di stelle del cinema d'animazione, dello sviluppo software e del videogame. I designer e gli animatori di oggi e di domani si confrontano su tecnologie e tecniche. La star è Will Wright, creatore di SimCity, Sims e del nuovissimo Spore

Si chiama View Conference, ma più che un incontro formale è una vera e propria fiera dell’intrattenimento digitale. Un’intera settimana, divisa tra una View Fest prima (la vetrina delle novità più interessanti del cinema di animazione digitale, conclusa il 9 novembre) e la Conference vera e propria, partita l’11 novembre con un calendario di incontri che si concluderà il 14. Quattro giorni densi di contenuti, principalmente dedicati ai professionisti del settore ma – perché no – anche ai semplici appassionati. A quelli, almeno, interessati a scoprire qualcosa di più su come funzionano le immagini digitali, che costituiscono oggi la gran parte degli stimoli visivi che ci circondano.

View Conference ha tutto l’aspetto di una fiera di settore, ma dell’atmosfera fieristica c’è ben poco. Si respira un’aria più familiare, e nonostante i nomi in gioco siano di quelli che contano, il caos è decisamente contenuto. Che parlino Paul Topolos (una delle menti creative dietro Ratatouille e Wall-E), Will Wright (il creatore di Sim City, Sims e Spore) o Hiroyuki Tobayashi (l’uomo dietro la serie di Resident Evil), il pubblico di View ha sempre una sola reazione: massima attenzione, rigoroso silenzio e – in molti casi – notebook aperto per prendere appunti.

Spettatori del futuro

Pixar e Dreamworks sono marchi ormai noti a tutte le fasce di pubblico. Presenziare alle conferenze di Paul Topolos, Brad Lewis, Sharon Calahan, Lucia Modesto, potrebbe dare allo spettatore un elemento in più per apprezzare meglio i film visti in sala o sul proprio lettore Dvd o Blu-Ray. Se anche ai più è chiaro che dietro l’animazione digitale ci sono anni di lavoro di un team parecchio allargato di persone, pochi hanno veramente presente quanto sia complesso e al tempo stesso affascinante animare la criniera di Alex il leone in Madagascar Escape 2 Africa, realizzare i fondali in cui si muove il robot Wall-E o integrare frame dopo frame l’animazione CG con le riprese reali in Hellboy 2: The Golden Army.

In questo senso, la View Fest dei giorni precedenti ha veramente preparato la strada ai quattro giorni successivi di conferenze e workshop: sono stati presentati piccoli capolavori di animazione come il corto candidato all’Oscar MORE di Mark Osborne (il creatore di Kung Fu Panda, anch’esso riproposto nel programma), il documentario The Pixar Story e alcuni grandi film in digitale (Speed Racer, Star Wars – The Clone Wars e le versioni in HD di I Am Legend e Terminator 2: Judgment Day). Assistere a View Conference, quindi, è come entrare fisicamente nel menu dei contenuti speciali di un Dvd. Affascinante per i curiosi, di fondamentale importanza per chi vuole entrare davvero nel mondo dei pixel.

Tra gli stand fissi inseriti nel contesto di View, fanno capolino alcune società di animazione digitale, come la Maga di Monza, che presenta il suo portfolio di progetti, l’ultimo dei quali (in produzione) è una serie animata in 26 episodi da 3 minuti ciascuno dedicata a MiniVip (lo ricordate? È il fratello sfigato di Vip, il superuomo di Bozzetto). «La gente vede i nostri preview e pensa che abbiamo copiato da Gli Incredibili: non sanno che la Pixar si è ispirata al lavoro di Bozzetto, tra le altre cose», dice Massimo Carrier Ragazzi dello studio Maga. «La sfida del momento è unire la maestria nello storytelling e nell’acting dei personaggi dello studio Bozzetto con la tecnica del 3D. Siamo a View per presentare le nostre produzioni al pubblico, e perché no, per stabilire qualche contatto di lavoro».

Animatori per professione

È dal punto di vista professionale, infatti, che View Conference dà il meglio di sé. Il pubblico è composto per la maggior parte di studenti di scuole di grafica, animazione e design: non potrebbe essere altrimenti, dato che oltre alla presenza dei guru del settore, a View si organizzano workshop e laboratori in una sezione training che – grazie alla grande richiesta del pubblico – è stata ampliata rispetto agli anni scorsi. Scuole internazionali di animazione partecipano con lezioni spot e laboratori di intere giornate, come il LaboraTOrio Digitale ospitato presso il Virtual Reality & Multimedia Park, uno dei fiori all’occhiello del sistema produttivo torinese che (lo abbiamo visto con la realizzazione e la distribuzione in sala del recentissimo Donkey Xote) si avvia a diventare il polo italiano del cinema d’animazione digitale.

Daniele Pagliani, sviluppatore alla Seac02, siede tra workstation e monitor a 40 pollici. Spiega a chi lo ascolta il sistema di realtà aumentata messo in produzione dalla sua società. Si chiama LinceoVR 3.0, e funziona tramite un simbolo, mosso davanti a una videocamera, che viene riconosciuto da software e abbinato con un rendering in tempo reale a un oggetto 3D. «Realtà aumentata vuol dire integrazione invisibile tra CG e ripresa dal vivo in tempo reale», dice Pagliani. «Niente postproduzione, insomma. Il 3D viene integrato fin dal momento delle riprese». Un bel risultato, che può creare un intera gamma di nuove professionalità ed eliminarne altrettante.

Ed è proprio per venire incontro ai giovani talento che View, da quest’anno, si dedica anche al recruiting. Ubisoft, Sony Pictures Animation, Pixar Animation Studio, PDIDreamworks e Milestone (per fare qualche nome) utilizzeranno l’occasione per valutare la possibilità di assumere le persone più capaci nei loro team di sviluppo.

Nella stanza dei giochi

La sezione di View Conference dedicata ai videogame è tradizionalmente la più nutrita, e quella che attira la maggior parte del pubblico giovane. L’approccio professionale è comunque garantito dal coordinamento di Jaime D’Alessandro (giornalista esperto di gaming e autore del libro Play 2.0). Anche qui si parla di grandissime firme, come il già citato Will Wright, il deus ex machina del mitico Prince of Persia Matthew Clarke, che presenta un making of dell’ultima incarnazione del principe persiano, in uscita a dicembre, e Chris Taylor della Gas Powered Games che presenta la sua nuova creatura Demigod. Hiroyuki Tobayashi di Capcom parlerà di integrazione tra videogame e cinema digitale (un filone sempre più sfruttato, basti pensare all’imminente uscita di Max Payne con Mark Wahlberg) presentando il nuovo episodio del franchise di Resident Evil intitolato Degeneration e interamente realizzato in CG, come a suo tempo successe per Final Fantasy (ma dal 2001 ne è passata di acqua sotto i ponti).

A esplorare i rapporti tra videogame e fumetto, l’altro grande media popolare del 20° secolo, penseranno gli italiani di Artematica, la società di game design che più di ogni altra ha messo a frutto le sue buone frequentazioni nel mondo delle nuvole parlanti realizzando tiutoli come Julia, Diabolik e Druuna Morbius Gravis. Con tutto ciò, è chiaro che l’intervento più atteso è quello di Will Wright, ospite d’eccezione della tavola rotonda Visual Culture all’interno della quale presenterà Spore, l’ultima creazione Electronic Arts che ha avuto una gestazione lunghissima (dal 2005 al 2008) e che unisce gameplay tradizionale e social networking in una sandbox virtualmente infinita, in cui le tradizionali barriere tra produttore e consumatore di videogames crollano.

Due parole con Will Wright

Dopo l’acclamato keynote di Wright, decine di fan si accalcano per gli autografi e per farsi scattare una foto con il proprio beniamino. Wright è come una rockstar dal volto mite, non si nega a nessuno. Nemmeno alle domande dei giornalisti.

La tua più recente creatura Spore, come Little Big Planet di Sony, mette il giocatore in grado di crearsi la propria esperienza e di condividere contenuti con altri. Come cambia in questo senso il ruolo del game designer? La condivisione permetterà l’emergenza di nuovi talenti?

Beh, certo… Già con i Sims, il giocatore diventava lui stesso il designer. Ci sono comunità intere di game designer devoti ai Sims. Ma in generale, io penso che il game designer debba essere più come un architetto. L’architetto disegna il “parco giochi” e i giocatori creano le loro esperienze di gioco all’interno del “parco giochi”.

Hai detto in una recente intervista che i videogame incentrati su una trama sono il risultato di una “invidia del cinema”. Come vedi tu i rapporti tra cinema e videogame, ritieni che continueranno ad intrecciare i loro destini o ci sarà una rottura?

Ci sono punti di contatto molto stretti tra i due media: personaggi, storie, sviluppi tecnici. Ma penso che restino comunque due forme d’arte molto differenti. Nel videogame è il giocatore che conduce la storia, nei film è lo sceneggiatore. Voglio dire, il giocatore può essere il creatore della storia o no. Se non lo è, vuol dire che non ha libertà d’azione. Quando il giocatore crea la storyline, viene meno il ruolo di uno “scrittore” del gioco. Il gioco può comunque avere un regista, che opera le scelte tecniche e comunicative migliori, o che traccia il solco di un genere (commedia, horror, fantascienza) scegliendo l’ambiente in cui l’utente giocherà. In effetti, puoi riconoscere una regia in Spore. Ma non c’è sceneggiatura. La sceneggiatura la crea il giocatore.

Il concept di Spore è molto simile all’esperienza di un social network come Facebook, Flickr o YouTube. Le dinamiche di rete ricoprono un ruolo fondamentale nel fare emergere sfide più avvincenti per il giocatore. Stiamo assistendo a un cambio di paradigma nei videogame che ci porta, grazie alla rete, alla progressiva scomparsa (o perdita di importanza) del single player?

No, io penso che ci saranno sempre i giochi single player da una parte e i multiplayer dall’altra. Spore è un ibrido. Si tratta di un gioco multiplayer asincrono. Un po’ la differenza che trovi tra Facebook e Second Life. Second Life è sincrono. La gente si connette per chattare in tempo reale, interagire, avere un’esperienza comunicativa intensa. Ma per molte persone il modello asincrono di Facebook è più rassicurante. Posso collegarmi alla tua pagina mentre tu dormi. È un modo di comunicare (e di giocare) a metà strada tra il single e il multiplayer.

È troppo azzardato chiederti quale sarà il futuro del videogame, dopo i giochi “evoluzionistici” come Spore?

No, certo che no. Ma è chiaro che di fronte a noi abbiamo un futuro molto nebuloso. Accadranno moltissime cose interessanti. Già adesso le acque si stanno muovendo. Usciranno giochi che sfruttano il concetto di realtà aumentata, usciranno giochi personalizzati per il singolo utente. Il motore stesso dei giochi imparerà dalle abitudini dell’utente cosa lo diverte e cosa lo annoia, proprio come Google impara dalle ricerche web. Tutto questo cambierà radicalmente il panorama dei videogames. Non vedo l’ora.


Un ringraziamento a Federico Fasce
per il supporto tecnico nell’intervista a Wright.

L'autore

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