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5 risposte su… commettere buoni errori fotografici per imparare meglio

17 Novembre 2021

5 risposte su… commettere buoni errori fotografici per imparare meglio

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Il modo migliore per diventare grandi fotografi è commettere grandi errori dai quali trarre grandi lezioni. Anche errori piccoli servono.

Di che cosa parliamo

  1. Come imparare la creatività
  2. Come scegliere la location
  3. Come cavarsela in una situazione imprevista con estranei
  4. Come trasformare una foto assurda in un progetto
  5. Perché l’equipaggiamento conta fino a un certo punto

Come imparare la creatività

Non ho mai avuto l‘impressione di essere una persona molto creativa. A scuola le mie doti artistiche non mi hanno fruttato molto più di un si vede che si è impegnato. Ero più interessato alle scienze naturali. Le mie ambizioni musicali sono state soffocate già durante le scuole elementari, quando la maestra alla prova per entrare a far parte del coro ha interrotto la mia esibizione dopo pochi secondi. Ma ho continuato ad ascoltare musica e a guardare immagini, sempre con piacere. E mi sarebbe piaciuto saper fare qualcosa.

Anche le mie prime prove come fotografo non sono state caratterizzate da particolare creatività. All’inizio mi sono appassionato più che altro alle forme più tecniche della fotografia, come quella panoramica, l’HDR o quella a lunga esposizione. Un’immagine però non è automaticamente buona solo perché viene ottenuta con una tecnica di ripresa raffinata. La creatività sta da un’altra parte, e ho dovuto impararlo. Ho dovuto costringermi formalmente a essere creativo.

All’inizio ero convinto che la creatività fosse qualcosa che si riceve alla nascita: o ce l’hai o non ce l’hai. Perciò non me ne preoccupavo troppo. Il risultato erano foto irrilevanti e senza personalità, magari anche tecnicamente buone, ma per il resto trascurabili. Oggi so che la creatività si può imparare, o che perlomeno si può trovare una strada, un modo di lavorare che tiri fuori la creatività.

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Non ero dotato di una fervida fantasia ed ero convinto di non avere alcuna creatività, ma credevo di avere un senso per ciò che è creativo. Guardavo una foto e mi chiedevo che cosa avesse di particolare. Così è nata anche la mia passione per i libri fotografici. Non solo apprezzo molto la sensazione tattile e l’estetica delle immagini stampate in un libro, ma lì le immagini si guardano in un altro modo. Di solito prendo un libro fotografico e lo sfoglio lentamente.

Esamino ogni foto e inizio ad analizzarla. La prima impressione sicuramente incide molto su una valutazione positiva o negativa, ma poi mi metto a guardare attentamente le molte componenti di un’immagine e spesso vi colgo quegli elementi della creatività, che vengono regolarmente combinati in modi diversi.

La creatività, per esempio, può esprimersi nella luce, ma anche nella composizione dell’immagine, nella prospettiva, nell’accostamento degli elementi o naturalmente nell’idea di base. Si può essere creativi con il movimento e la sfocatura, ma anche l’espressione del soggetto è un elemento creativo. Per me creatività significa produrre qualcosa di nuovo, ma nel rispetto di certe convenzioni. Per questo penso che non si sia creativi solo perché si tiene la fotocamera di sbieco e si fanno foto sfocate.

Il risultato deve anche rispondere a una data esigenza, così che chi lo guarda possa valutarlo come un’opera creativa, anche se sicuramente rimane molto spazio di manovra. Per me la creatività si esplica nella ricchezza delle idee. Per essere creativo, devo avere molte idee su come realizzare una foto.

Come posso però favorire la ricchezza di idee? Il mio suggerimento per una formazione alla creatività è scegliere singoli elementi e su quelli sperimentare. Vorresti essere creativo nella composizione e nella prospettiva? Allora metti la fotocamera sull’automatico, scegli una focale fissa e fotografa il tuo soggetto in tutte le posizioni pensabili e le più assurde. Fai tutto quello che pensi non si dovrebbe fare. Elimina ogni blocco nella tua testa. Fotografare da sotto il naso di qualcuno? Non si fa? Fallo lo stesso. Fotografare da dietro e tagliar via metà della testa? Prova.

Produrrai una gran quantità di brutte foto e ti renderai conto che quello che avevi letto in molti casi ha senso. Ma farai anche foto che ti stupiranno, che avevi sempre pensato non potessero funzionare. In qualche modo violerai le regole e vedrai che in determinate circostanze violarle funziona. Però devi fare la tua strada e fare le tue esperienze. Anch’io ho dovuto fare le mie esperienze e spesso non sono stato contento dei risultati. Ma il punto è proprio che bisogna continuare ad andare avanti, a provare ancora, a cercare qualcosa di nuovo.

Prova ed errore, si cade e ci si rialza. Però bisogna costantemente chiedersi: perché quest’immagine non è buona? Quando si riesce a dare una risposta a questa domanda, si ha una soluzione e si è fatto un piccolo passo avanti.

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Come scegliere la location

La scelta della location per uno shooting dipende da molti fattori. Per me questa scelta è fondamentalmente molto importante, perché definisce la cornice delle foto e ha un forte influsso sul loro aspetto. Com’è la luce? Quale ambiente di colore mi mette a disposizione? La location è moderna, antica, urbana, surreale, decorativa? Tutto questo ha un ruolo.

Inoltre mi chiedo in anticipo quanto debba essere importante la location per quella particolare occasione. Il soggetto sono esclusivamente le persone oppure sarà proprio il luogo l’elemento centrale? Poi dedico alla location la minima attenzione indispensabile. Sostanzialmente deve definire l’atmosfera generale. Quanto più significativa e prominente è la location, tanto più tende a distrarre.

Una trappola in cui sono caduto agli inizi è stata quella di scegliere location troppo opulente. Una coppia di sposi su un pontile su un lago davanti a un castello: tutte cose interessanti, ma insieme possono essere troppo. Troppi elementi in concorrenza tra loro possono creare una cartolina kitsch. Penso che, a seconda del tipo di shooting, l’accento debba cadere o sulla location o sui soggetti. Faccio volentieri anche fotografie che vivono grazie all’ambiente, in cui le persone sono quasi un elemento collaterale, spesso addirittura compaiono solo come silhouette. Sono anche le immagini che sono convinto si appendano volentieri alle pareti. L’equilibrio fra location e persone è molto importante e deve essere preso in considerazione in ogni foto.

Un esempio: mi piace guardare in generale modelle graziose. Mi piacciono anche le belle auto. La combinazione di auto e modella in molti casi però porta alla tipica foto cliché, in particolare quando la ragazza posa direttamente davanti all’auto e i due soggetti si fanno concorrenza a vicenda. Secondo me, bisogna mettere a fuoco sulla ragazza oppure sull’auto. Uno dei due elementi deve finire sullo sfondo. O si fotografa l’auto e si colloca la ragazza in modo che non dia troppo nell’occhio, oppure si lascia intravedere solo una parte dell’auto nell’inquadratura o la si lascia svanire nella sfocatura.

Se al centro dell’attenzione deve essere la persona, cerco una texture semplice. Deve essere il meno spettacolare possibile, così che non distolga dal soggetto. Un muro di cemento, che normalmente si considererebbe poco attraente, è l’ideale come sfondo per un ritratto. Fondamentalmente preferisco pareti scure, che generano un contrasto migliore con il soggetto. Anche qui le mie preferenze non sono esclusive, perché anche sfondi molto chiari possono avere un loro fascino.

Qui lo sfondo è costituito da una colonna di cemento

Qui lo sfondo è costituito da una colonna di cemento. Semplice ed efficace. Il cemento ha abbastanza struttura, appare organico e non tanto pulito da essere noioso e non distrae lo sguardo.

Per quel che riguarda il tipo di texture, tendo a preferire gli ambienti urbani. Non ho nulla contro le bellezze della natura, ma in molti casi l’ambiente naturale non è molto adatto alle mie idee per le immagini, è facile che il soggetto umano sembri fuori posto, in particolare se l’abbigliamento è alla moda.

Nel caso di un ritratto più o meno normale, anche la natura può offrire un ambiente molto attraente, ma allora sto molto attento ai colori. Il verde saturo mi disturba, lo trovo troppo dominante. Trovo più adatti i panorami autunnali o la vegetazione arida e i colori caldi.

Una foto da uno shooting sul ponte di Brooklyn

Una foto da uno shooting sul ponte di Brooklyn. Le linee del ponte mi piacciono molto. Insieme con la luce dell’alba creano una location pressoché perfetta.

In tutte le location però la cosa più importante è la luce. La persona umana deve essere a fuoco e deve essere bene illuminata. In molti casi poi del luogo non si vedrà molto, perché finirà un po’ indistinto nella sfocatura. La luce arriva dal luogo, perciò faccio molta attenzione, lavorando con la luce naturale, perché ci sia una luce il più possibile direzionata.

In parole semplici, questo significa che di preferenza cerco una location che sia ombreggiata dall’alto, in modo che la luce non cada direttamente dall’alto. Negli ambienti urbani trovo praticamente sempre qualcosa che faccia al caso mio: un tunnel, un’entrata coperta, l’ingresso a una stazione della metropolitana. Si trovano con relativa facilità luoghi coperti che danno lo stesso effetto della luce di una finestra. In un ambiente naturale, per esempio su una spiaggia o in un bosco, non è altrettanto facile. In quei casi aspetto che il sole sia abbastanza basso: l’alba e il tramonto sono i momenti che preferisco per le mie foto.

Si prestano molto bene anche location con molte linee o simmetrie: i ponti mi piacciono in modo particolare. Nella mia città, da questo punto di vista, non posso lamentarmi: lo sapevi che ad Amburgo ci sono più ponti che a Venezia? I ponti possono avere un forte valore nell’immagine, ma non sono così invadenti da prevalere sul soggetto. Permettono anche di costruire ottime linee di fuga.

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Come cavarsela in una situazione imprevista con estranei

Eravamo nel quartiere di Camden Town a Londra e abbiamo trovato una bella location vicino a una chiusa. Ci è sembrato un luogo splendido per scattare un paio di foto. Non eravamo soli, però: nelle vicinanze c’erano un paio di persone visibilmente ubriache e nell’aria c’era l’odore dolciastro della marijuana. Se si fanno foto con una modella in pubblico si viene subito notati e così è successo anche in questo caso. I presenti hanno cominciato a prenderci in giro. Onestamente, non ero molto a mio agio.

All’improvviso si sono avvicinati. Era troppo tardi per tagliare la corda. Una delle ragazze ha cominciato a chiedere: Lei è una modella?. Fate uno shooting? Che cos’è il cappello? Che cosa aveva contro il cappello? Sì, ne avevamo uno, ma Akvile lo teneva semplicemente in mano. Mettiti il cappello, ha continuato la ragazza. Io ero sempre più a disagio, ma Akvile è stata fortissima. Si è messa il cappello e ha cominciato a posare davanti al gruppo, che ha iniziato a gioire e scherzare.

Guardala, il cappello è stupendo, ha detto qualcuno, o qualcosa del genere. Hanno iniziato a fare foto con il cellulare. Io mi sono sentito più tranquillo e l’atmosfera è diventata molto positiva. Ho scattato proprio nel momento in cui Akvile si è girata a guardarmi. Una foto geniale, così spontanea e non preparata. Un bel ricordo di Londra.

Akvile con il cappello

Akvile prende in mano la situazione. E il cappello.

Il clima ormai era rilassato e il gruppo ha voluto fare con noi ancora qualche foto. Mi piace molto fotografare persone qualunque per strada, in modo spontaneo, soprattutto quando capiscono e mi regalano un momento della loro attenzione. Bisognerebbe sempre avvicinarsi apertamente alle persone e parlare con loro, perché allora si riescono a fare delle foto altrimenti impossibili. Chi non chiede, non riceve nulla. In questo caso ho avuto la fortuna che le cose si sviluppassero in quel modo e che Akvile reagisse così bene. Se fossi stato solo, avrei cercato di prendere il largo il più rapidamente possibile.

Chitarrista di strada

Chitarrista di strada. Foto completamente improvvisata, con una sconosciuta.

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Come trasformare una foto assurda in un progetto

Nel 2014 ho avviato un piccolo progetto personale, che ho chiamato Things I Like. L’idea era di combinare in ogni immagine varie cose che mi piacciono, ma che non sono necessariamente in relazione tra loro. Qui sono accostati una bella ragazza, un panino, una birra e una maschera da Darth Vader: un’immagine che riesce ancora a farmi sorridere. Una combinazione decisamente assurda di cose che non hanno alcun rapporto, ma che per me hanno comunque un significato.

Sono un grande appassionato di Star Wars. Sin dall’infanzia, questi film e tutto quello che li riguarda mi hanno accompagnato regolarmente. Così è successo che l’idea originale si sia trasformata un po’: a tutti i miei soggetti ho sempre chiesto di scattare una foto anche con una maschera di Star Wars. Semplicemente perché l’idea mi piaceva. Così è nato un progetto a lungo termine.

Una ragazza, un panino, una maschera di Star Wars

Una ragazza, un panino, una maschera di Star Wars: sembrano elementi incongrui, ma possono diventare una storia.

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Perché l’equipaggiamento conta fino a un certo punto

Di quali apparecchiature c’è davvero bisogno? Non può essere tutto indifferente. Ogni tanto qualcuno mi chiede un consiglio, quando deve acquistare una nuova fotocamera. Rifuggo dal dare una risposta come un gatto che evita accuratamente l’acqua, perché so che il ragionevole sarebbe acquistare un corpo macchina a piacere, a cui aggiungere un obiettivo a lunghezza focale fissa da 50 mm. Il costo non sarebbe elevato e con questa dotazione si potrebbero realizzare le foto che si vedono qui.

Comprerei questa fotocamera? Probabilmente no. Perché no? Perché semplicemente trovo molto più belli altri modelli. Per me l’acquisto di una fotocamera è una questione di emozioni. Devo trovarla bella, devo sentirmela bene in mano, devo volerci lavorare. Per me l’acquisto di una fotocamera è una faccenda viscerale. Non funziona molto bene, però, come consiglio, perché si finisce rapidamente in un campo di investimento elevato. Per quasi tutti la disponibilità economica è limitata e fondamentalmente vogliamo utilizzare il nostro denaro nel modo più efficiente possibile. Perciò preferiremmo un consiglio razionale, per non fare la figura degli idioti maniaci degli acquisti. E poi ci sono anche le fotocamere scandalosamente costose… e qualcuno le acquista. Ma questo non ha niente a che fare con la fotografia.

Secondo me, ciascuno dovrebbe comprare quello che vuole. Una Leica viene derisa come una fotocamera da medici o avvocati. Nei forum si spettegola regolarmente sulle persone che vanno in giro con fotocamere costose, ma non sanno fotografare. Però quelle persone possono permettersi le fotocamere costose: evidentemente devono avere avuto successo in qualche altro campo della vita. Rallegriamoci che quel medico sia tanto bravo da potersi permettere quel giocattolo. Magari prima o poi avremo bisogno di lui come medico.

Non posso dare un consiglio con marca e modello precisi. Anche per me le cose possono cambiare. Oggi è la marca A, domani potrebbe essere la B. Ho già cambiato un po’ di volte. Agli inizi ero fedele a una marca, ma oggi so che la fedeltà a una marca conta solo per il marketing del produttore, non per noi acquirenti. Dovremmo guardarci in giro più spesso, così che i produttori non dormano troppo sugli allori.

Per il mio tipo di fotografia ha un ruolo davvero decisivo solo un aspetto: la luminosità dell’obiettivo. Fotografo spesso con la luce naturale, e non solo in piena luce solare, ma anche in ambienti scuri, dove entra un po’ di luce solo attraverso una finestrella. Per questo motivo acquisto quasi esclusivamente obiettivi fissi con una luminosità elevata, e spendo anche molto. Se ho la scelta fra una apertura massima di f/1.4 e f/1.8, scelgo sempre il primo, anche quando razionalmente la differenza non è degna di nota. Tutti i produttori offrono obiettivi di questo tipo. Un obiettivo semplice da 50 mm con una luminosità di f/1.8 si può trovare a prezzi relativamente ragionevoli.

La distanza focale è una scelta personale. Ho alle spalle una vera Odissea: nel corso del tempo la mia distanza focale preferita è cambiata molte volte. Alla fine, per la ritrattistica, torno sempre al 50 mm, con il quale realizzo la maggior parte delle mie foto. Per i reportage preferisco invece un angolo di campo più ampio e tendo a usare un 28 mm. In effetti per lo più porto con me due fotocamere, una su cui è montato un 50 mm, l’altra con un 28 mm. Anche questa però è una scelta di oggi, che potrebbe cambiare in qualsiasi momento. Non credo abbia senso fissarsi irrevocabilmente su una distanza focale. Certo è utile limitarsi temporaneamente nella distanza focale, per imparare a padroneggiarla meglio, ma fondamentalmente si devono poter sfruttare tranquillamente le possibilità a disposizione.

Distanze focali diverse offrono prospettive diverse e possono perciò anche influire sulla costruzione delle immagini. Se però oggi qualcuno alle prime armi me lo chiedesse, gli consiglierei un obiettivo da 50 mm con una buona luminosità: ci si può già divertire molto e realizzare ottime immagini.

Di sicuro ora ti stai chiedendo perché non abbia parlato di dimensioni dei sensori. Ora, razionalmente, la cosa è abbastanza poco importante. Ho fotografato con tutti i formati di sensori e ho sempre ottenuto ottimi risultati, con il micro quattro terzi, con l’APS-C, il full frame e il formato medio.

Naturalmente ci sono differenze nella nitidezza e nell’aspetto delle immagini. Un sensore micro quattro terzi non produrrà mai le sfocature di un sensore full frame. Sarebbe stupido però pensare che, con l’aumento della sfocatura dello sfondo, le immagini migliorino. Diventa solo più semplice eliminare gli elementi che danno fastidio.

Si potrebbe anche dire, scherzando ma non troppo, che chi non ha idea della costruzione delle immagini, si limita ad aprire il diaframma.

Comunque io preferisco il full frame. Mi piace la sfocatura cremosa che deriva dalla combinazione di sensori più grandi con obiettivi luminosi. In particolare nella fotografia di reportage mi risulta utile la ridotta profondità di campo, perché spesso non so definire l’ambiente e lo sfondo. Un sensore più grande offre maggiori possibilità, soprattutto con distanze focali minori di 35 mm. Un sensore più grande non è indispensabile, ma averlo fa comodo.

Altre funzioni e caratteristiche di una fotocamera possono essere rilevanti nei singoli casi, ma per me sono in generale poco importanti. In effetti oggi rinuncio quasi sempre all’autofocus. Per quanto riguarda la risoluzione, vorrei raccontare tre aneddoti.

Qualche anno fa fotografavo con una macchina da 16 megapixel, una risoluzione relativamente elevata per quei tempi. Una foto doveva essere utilizzata per un grande pannello da fiera e l’agenzia si è lamentata che l’immagine non sarebbe stata sufficiente, e mi ha chiesto una risoluzione maggiore. Ho subito aperto l’immagine in Photoshop, ho raddoppiato la risoluzione e l’ho salvata in TIFF. Così il file si è debitamente gonfiato… e l’agenzia è stata felice.

Con un drone ho registrato un video durante un viaggio con una nave portacontainer. Il drone si trovava a oltre 300 metri di altezza e sono stato molto felice quando è tornato a bordo. Per tutto il volo avevo solo filmato e non avevo scattato foto. Una ripresa però mi è sembrata tanto buona, da desiderare di avere anche qualche foto. Ho semplicemente esportato un fotogramma dal video 4k e l’immagine aveva quindi una risoluzione di circa 8 megapixel. Questa foto è stata stampata varie volte alle dimensioni di 120×80 cm e appare eccellente.

Fotogramma estratto da un video

Fotogramma estratto da un video. Per molti scopi la qualità è perfettamente sufficiente.

Quale morale ne ricaviamo? Una risoluzione elevata e il grado di dettaglio corrispondente sono una bella cosa, ma nella pratica hanno un ruolo molto meno significativo di quello che le case produttrici vogliono farci pensare. Posso solo consigliare di stampare le proprie immagini e di fare un po’ di esperienza per quanto riguarda la risoluzione, un tema di cui si parla fin troppo. 8 megapixel non sono poi così male.

Ultimo esempio: nell’atrio della sede di un’azienda di Amburgo è appesa una mia foto alle dimensioni di 2×3 m. È stata scattata a 24 megapixel: facendo un po’ di calcoli, è stampata alla risoluzione di circa 50 dpi. Anche questa immagine appare eccellente, perché a quella grandezza la si guarda sempre da una certa distanza. Bisogna sempre drizzare le orecchie, quando qualcuno dice che una foto deve essere a 300 dpi, perché i dpi (punti per pollice) sono sempre una misura che si riferisce alla stampa.

Su un un foglio A4 la mia foto da 24 megapixel ha un numero di dpi più alto che nella stampa da due metri per tre. Purtroppo queste misure si fissano nella testa delle persone e quella frase, L’immagine ci serve a 300 dpi, si sente malauguratamente spesso. Non si può continuare a spiegarlo a tutti. Spesso gonfiare le dimensioni del file in Photoshop è l’unica strada che combini minima resistenza e massima soddisfazione.

Se ti interessa la tecnologia e ti diverti con le macchine fotografiche, tira fuori il portafogli e comprati il giocattolo migliore. Sono davvero felice, se puoi permettertelo. Se invece la tecnologia ti lascia relativamente freddo ed è più un mezzo che un fine, allora risparmia e comprati solo quello che ti serve davvero. Però non farti imbrogliare: non è vero che, con quella che è ritenuta la fotocamera migliore, ed è anche la più cara, sarai anche un fotografo migliore.

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Questo articolo richiama contenuti da Lo scatto imperfetto.

Immagine di apertura originale dell’autore.

L'autore

  • Patrick Ludolph
    Patrick Ludolph è nato nel 1972 e vive ad Amburgo. Da sempre appassionato di fotografia, dopo gli studi in informatica si è occupato per molti anni di marketing digitale. Dal 2010 ha iniziato l'attività di fotografo professionista, concentrandosi in particolare su ritratti, reportage, fotografia di viaggio e di matrimoni.

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