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5 risposte su… comprendere il ritratto

08 Ottobre 2021

5 risposte su… comprendere il ritratto

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"Credo fermamente che il ritratto sia una delle possibilità fotografiche più sfidanti e appaganti disponibili oggi. Nessun altro soggetto è tanto vasto e vario. 'La gente' va dai bambini ai bisnonni. Pelli giovani e segnate, carnagioni e occhi scuri o capelli biondi e occhi azzurri, persone alte o basse, capellone o calve, vestite e nude, grasse o magre, donne e uomini: e se combini queste caratteristiche fisiche con una scelta potenzialmente infinita di ambientazioni (urbane e rurali, foreste e deserti, internazionali o vicine a casa), la gamma di possibilità si fa davvero enorme".

Di che cosa parliamo

  1. Come infrangere la barriera della timidezza
  2. Quando è meglio organizzare una posa che scattare una foto spontanea
  3. Perché ci sono ritratti da scattare in orizzontale
  4. Perché cercare punti di vista differenti
  5. Come usare bene i riflettori

1. Come infrangere la barriera della timidezza

Una delle principali sfide che i fotografi devono affrontare è imparare a vincere le barriere della timidezza; per qualcuno, ciò corrisponde non solo alla timidezza del soggetto, ma anche alla propria. Ipotizzando che tu abbia già vinto la ritrosia interiore del chiedere a qualcuno di posare per te, come puoi trasmettere le tue intenzioni con sincerità, sicurezza e disinvoltura?

Dopo aver parlato per qualche minuto con il mio soggetto ed essermi fatto un’idea, pongo sempre una domanda provocatoria: Come ti definisci, o come ti vedi?. Ovviamente, si tratta di una domanda a cui non si può dare una semplice risposta secca. È un invito alla conversazione, ed è proprio qui che il fotografo esperto guadagna vantaggio, e ora lo farai anche tu. A un certo punto, farai seguire questa domanda da un’altra: Se potessi apparire nel modo che preferisci, indossare ciò che vuoi, e fare ciò che desideri mentre io ti fotografo, come ti immagini la fotografia risultante?. Lo scopo di questa domanda è, ovviamente, coinvolgere la persona nel processo decisionale della fotografia, aprendola all’idea di essere fotografata.

Inoltre, negli ultimi quindici anni la mia percentuale di successo nel fotografare persone riluttanti è esplosa, e devo buona parte di questo successo all’uso di una fotocamera digitale. Un tempo mi portavo appresso una Polaroid SX-70, una fotocamera istantanea simile all’attuale Fujifilm Instax. Scattavo delle istantanee ai soggetti esitanti e, molto spesso, questi accettavano rapidamente una volta vista la Polaroid che mostrava ciò che avevo in mente. Oggi, grazie all’immediatezza dei display delle fotocamere digitali, non ho più bisogno della SX-70. Mettere le persone a loro agio non è mai stato tanto facile come ora, dato che possono vedere chiaramente, prima che io proceda davvero, quanto saranno belle una volta fotografate!

Una nota finale sulle barriere della timidezza: alcuni fotografi sono soliti lavorare da soli, senza l’aiuto di assistenti. Io, insieme ad altre decine di fotografi, la penso esattamente all’opposto. Un assistente può tenere il soggetto impegnato in una conversazione, prestando allo stesso tempo attenzione alla camicia sbottonata, a una zip aperta, a capelli fuori posto, agli spinaci incastrati tra i denti e a qualsiasi altro problema che io potrei non notare. Un assistente permette al fotografo di concentrarsi su una sola e unica cosa: creare immagini belle.

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Ci sono casi in cui ho lavorato senza, ma se dovessi scegliere, mi doterei sempre di un assistente. E solo perché tu non sei un fotografo professionista, non significa che non ti debba godere la libertà che deriva da avere qualcun altro che conversa (e si preoccupa) per te. Se conosci qualcuno che ama conversare e conoscere nuove persone,non hai guadagnato solo un bravo assistente, ma anche un prezioso radunatore di persone. Mettilo al lavoro! Noterai un notevole aumento nel tuo numero di ritratti, che siano di sconosciuti in terre straniere, di colleghi, o anche di famigliari.

Un avvertimento e un altro argomento valido per fornirti di un assistente: se sei impegnato a fotografare modelli e modelle in situazioni intime o sessuali, seminudi o nudi, la presenza di un assistente può accrescere il grado di fiducia tra te e i modelli, testimoniando che durante lo shooting non sta accadendo nulla che non sia professionale. L’ultima cosa di cui hai bisogno è venire accusato di esserti comportato in maniera inappropriata, e avere un assistente elimina praticamente questa preoccupazione per te e per il tuo modello.

Sita, ragazza buthanese estremamente timida. Convincerla a posare non è stato facile

Convincere Sita a posare non è stato facile. Nikon D500, obiettivo Nikkor 18–300 millimetri, F/7.1 per 1/125 di secondo, ISO 320, WB Daylight/Solare.

Una delle persone più timide che io abbia mai fotografato è Sita, una giovane bhutanese. Sita lavorava all’eco-lodge dove io e i miei studenti avremmo alloggiato per quattro giorni. Fin dal nostro primo incontro, era evidente che né io né i miei studenti avremmo neanche remotamente pensato di fotografarla perché, da sua stessa ammissione, non amava essere immortalata, ed era piuttosto irremovibile. Basti pensare che solo dopo tre giorni di amichevoli chiacchiere, Sita ha accettato di incontrarmi sul retro della legnaia, diventato in quattro e quattr’otto uno studio di fortuna.

Come puoi vedere, la stavo riprendendo contro uno sfondo di rocce, ma quando ha alzato le braccia e le ha posizionate accanto al viso, le maniche del suo giubbino di jeans hanno creato una cornice nera, dando vita a una composizione molto pulita. In modalità manuale, mi sono avvicinato così tanto che il mio esposimetro rilevava solo il suo viso e non il nero; in caso contrario, sarebbe stato influenzato dal nero e avrebbe dato vita a uno scatto sovraesposto, nel tentativo di rendere il soggetto grigio. Degno di nota è anche il fatto che durante la sessione si è iniziato ad alzare un po’ di vento; Sita aveva la tentazione di tirare via i capelli dalla faccia, ma io le ho chiesto di non farlo, per aggiungere un gradito tocco di mistero. Sita è rimasta talmente soddisfatta del risultato da chiedermi di posare ancora per me la prossima volta che tornerò in Bhutan.

Noti la dominante blu sullo sfondo? Ero sul lato nord dell’edificio in ombra aperta in una giornata limpida, condizioni in cui molti soggetti e colori vengono contaminati dalla luce blu. Eppure questa volta non ho fatto nulla per liberarmene. Anzi, ho scelto di rafforzarla in postproduzione alzando del 30 per cento il cursore Rimuovi foschia (Dehaze) in Adobe Camera Raw.

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2. Quando è meglio organizzare una posa che scattare una foto spontanea

I fotografi di tutto il mondo discutono spesso se siano più piacevoli i ritratti in posa o quelli spontanei. Io credo che, quando l’obiettivo primario del fotografo è rappresentare il soggetto nel modo più accurato possibile, entrambe le tipologie di ritratto siano suggestive. A chiunque, almeno una volta nella vita, è stato chiesto di posare per un ritratto, fosse anche solo una foto di classe. Per molte persone, queste sedute fotografiche risultano decisamente impersonali (e ricordano loro l’asilo, aggiungo), e spesso sono condotte da fotografi che indicano loro di muoversi, stare o sedere in un determinato modo; di inclinare il capo di qua o di là; e infine, la cosa più difficile di tutte, di guardare dritti nell’obiettivo e sorridere.

Gli scatti spontanei, d’altro canto, sono solitamente foto di persone inconsapevoli di essere fotografate, oppure – ed è qui che il dibattito si fa davvero interessante – che sembrano inconsapevoli di essere fotografate. Negli scatti spontanei veri, ai soggetti non viene detto che tipo di espressione trasmettere; sono semplicemente loro stessi, in quel preciso momento. A differenza dei ritratti in posa, in questo tipo di foto la presenza del fotografo non deve essere mai avvertibile.

Ma cosa succede se il fotografo è in grado di trasmettere l’impressione di una foto spontanea quando il soggetto è pienamente consapevole della sua presenza? Per anni siamo stati spinti a pensare che il celebre fotografo francese Robert Doisneau avesse davvero catturato il momento spontaneo di una coppia che si baciava passando di fronte ai tavolini all’aperto di un bar e alla sua fotocamera in attesa. L’immagine, Le Baiser de l’Hotel de Ville, era ed è ancora – per quello che ne so – una dei suoi tanti capolavori. Ma ora sappiamo che Doisneau ha inscenato tutto, dando istruzione ai due modelli di incontrarsi di fronte al caffè e baciarsi e abbracciarsi ripetutamente, finché lui non è riuscito a ottenere lo scatto che desiderava.

In sua difesa, non sarei sorpreso nel sapere che, in effetti, avesse visto un’altra coppia presa in un caldo abbraccio, che si scambiava un bacio mentre camminava a passo affrettato di fronte al caffé in cui lui sedeva. Posso ipotizzare che non sia riuscito a scattare, ma che abbia preso nota mentalmente della scena e abbia subito chiesto l’aiuto di alcuni amici per ricreare l’evento. E cosa c’è di sbagliato in questo? Nel 1950, anno in cui questa foto è stata scattata, le strade di Parigi erano spesso in festa: l’occupazione tedesca era finita solo qualche anno prima e l’amore era tornato per l’aria. Era di nuovo il tempo di essere francesi e ciò corrispondeva, ovviamente, a libere e pubbliche dimostrazioni d’affetto. E se avesse inscenato quell’attimo?! Il fatto è che dovrebbe essere lodato per averlo inscenato tanto bene. Nessuno, in tutti questi anni, ha mai messo in discussione che fosse uno scatto spontaneo. E il fatto che sia costruito o meno ci allontana forse dalla verità che l’immagine trasmette? Era un momento eccitante e liberatorio per essere a Parigi, un momento da celebrare, e l’immagine coglie lo spirito di questo momento, in modo che tutto il mondo lo possa cogliere e condividere.

Come ho affermato in alcuni dei miei precedenti libri, ogni fotografia è una menzogna e, se è ben riuscita, si tratta di una menzogna piena di verità. La menzogna a cui mi riferisco è, ovviamente, la menzogna della composizione. Con l’atto stesso di pensare a una certa composizione, il fotografo presenta solo una piccola porzione della scena, e qui ha inizio la menzogna. Il taglio ravvicinato di un primo piano di una bambina che sorride al fotografo non ci dice nulla del mondo di povertà che la circonda; dalla scena mancano la sua casa di lamiera ondulata, i quattro cani affamati che dormono sotto al portico e le acque reflue che scorrono davanti a esso per confluire nel vicino fosso.

In definitiva, la mia percezione sul dibattito vere foto spontanee contro foto spontanee inscenate, o ritratti spontanei contro ritratti in posa, è semplicemente questa: se mi fa indignare, se mi rende triste, se mi fa ridere, se mi fa sentire qualcosa, è qui che sta la verità. Se il soggetto è in grado di trasmettere il messaggio che stai cercando di dare – non importa che tu abbia inscenato, creato o addirittura ricreato la scena – e appare spontaneo, qui, per quel che mi riguarda, sta la verità! Hollywood ha messo in scena, creato e ricreato la verità per anni,perché non lo possono fare i fotografi? E perché non lo puoi fare tu?

Il campo visivo a disposizione

L’inquadratura prima di pensare a una posa. Nikon D500, Obiettivo Nikkor 18–300 millimetri a 247 millimetri, F/11 per 1/320 di secondo, ISO 200, WB Daylight/Solare.

Il fiume Yamuna attraversa Agra, in India, città nota per ospitare una delle Sette meraviglie del mondo, il Taj Mahal. A differenza delle famose rive del Gange, che attraversa una delle principali città sacre dell’India, Varanasi, lo Yamuna, per la maggior parte delle persone, è solo un fiume, anche se le sue sponde sono le più colorate che io abbia mai visto. In alcune giornate, diventano dei tappeti di colori, con le tende appena lavate stese ad asciugare che creano una variopinta trapunta patchwork abbastanza grande da ricoprire trecento letti king-size!

Quel mattino, il bucato era già stato fatto e steso ad asciugare, ma io avevo bisogno di qualche persona che trasmettesse un senso di proporzione e di umanità. Chi potevo trovare, considerando soprattutto che me ne stavo su in alto, appollaiato in cima a un ponte? Erano passati alcuni minuti e ho notato una coppia di ragazzi che stava facendo il bagno nel fiume, a circa 50 metri da me. Dopo un po’ di urla da parte mia (che potevano essere scambiate per gli strilli di un vecchio arrabbiato), i ragazzi hanno capito che stavo chiedendo loro di recitare il ruolo principale del mio film e sono subito corsi verso i tessuti stesi, ben attenti a non calpestarli. Quando abbiamo finito, ho piegato due banconote da 100 rupie in due aeroplanini di carta e li ho lanciati nelle mani eccitate dei miei giovani attori. I ragazzi in movimento, combinati con i colori accesi che li circondavano, conferiscono all’intera composizione un senso di sfrenato entusiasmo nei confronti della vita colorata che viviamo.

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Lo scatto finale

La foto finale.

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3. Perché ci sono ritratti da scattare in orizzontale

Modalità ritratto è la nuova parola chiave per il formato verticale, e se la nomino qua è solo perché oggi i fotografi subiscono l’idea erronea che tutti i ritratti vadano scattati in questa modalità. Voglio subito smentire questa convinzione. In questo libro sono presenti numerosi ritratti ripresi in orizzontale in modalità paesaggio (un altro termine che non amo, poiché suggerisce che tutti i paesaggi vanno scattati in orizzontale… ma questa è materia per un altro libro!).

Sì, molti dei miei studenti adottano la modalità ritratto, a differenza di dieci-quindici anni fa, quando vedevano solo in modalità paesaggio: ma questa impostazione non deve corrispondere alla modalità da annuario scolastico. Ciò che intendo è che è comunque importante che ti avvicini al soggetto, e che ti avvicini abbastanza da fare un ultimo scatto prima di tagliare parte della fronte della persona. Il più delle volte, l’uso della modalità ritratto fa sì che il soggetto non riempia a sufficienza l’inquadratura, e che sia circondato da un ampio spazio di respiro sopra la testa, più o meno come avveniva per le nostre foto dell’annuario del liceo. Nella maggior parte dei casi, non vuoi questo spazio. Vuoi composizioni dritte in faccia, che coinvolgano lo spettatore e gli facciano quasi avvertire il bisogno di prendere aria.

Ritratto in verticale

Un ritratto in verticale. Nikon D500, Obiettivo Nikkor 18–300 millimetri a 167 millimetri, F/7.1 per 1/320 di secondo, ISO 1600, WB Daylight/Solare.

Questi occhi azzurri, dai quali potresti sentirti trafitto, rappresentano in larga misura il motivo per cui ho voluto fotografare questo anziano membro della tribù degli Erbore, nella Valle dell’Omo, nel Sudest dell’Etiopia. Un ulteriore elemento di attrazione era fornito dal suo turbante arancione, capace di garantire un maggiore contrasto cromatico, dato che azzurro e arancione sono colori complementari.

Gli occhi azzurri di quest’uomo sono in realtà occhi castani affetti da cataratta, che colpisce quasi tutti gli anziani del villaggio dopo decenni di esposizione quotidiana a un sole estremamente luminoso riflesso nella sabbia bianca. Secondo la moglie, la dimensione e il colore delle sue cataratte blu erano aumentati considerevolmente nell’ultimo anno. Era quindi cieco? No, ma quando gli ho chiesto di descrivere il mio aspetto fisico, è riuscito solo a descrivermi come una sagoma annebbiata.

Una vecchia e ripetuta domanda è Quando è meglio scattare in verticale?. La mia risposta è sempre: Subito dopo aver scattato in orizzontale. E dunque, senza esitare, ho scattato le due composizioni che vedi qui, entrambe realizzate nel suo capanno di paglia, con una finestra rivolta a sud che gli illuminava il volto.

Una cosa da notare è che, quasi in tutti i casi, compongo ritratti tanto ravvicinati da tagliare via la fronte della persona. Ovviamente, non a tutti piace, ma ecco la mia semplice motivazione: voglio che l’osservatore si senta vicino al soggetto. Voglio che senta la gioia, il dolore, le risate, la tristezza. Quando mi avvicino tanto, la maggior parte degli osservatori è d’accordo sul fatto che l’incontro si fa molto più intimo.

Ritratto in orizzontale

Un ritratto in orizzontale.

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4. Perché cercare punti di vista differenti

La maggior parte dei fotografi alle prime armi, se non proprio tutti, tende a scattare qualsiasi cosa ad altezza occhio o dal punto da cui ha adocchiato per la prima volta il soggetto disponibile. Ma scattare da questi punti di vista conduce raramente a immagini avvincenti. Per esempio, la graziosa foto di tua figlia seduta sull’altalena avrebbe avuto un maggiore impatto se ti fossi inginocchiato per fotografarla all’altezza del suo occhio. Oppure immagina di aver fotografato un uomo vestito a colori vivaci in un affollato festival di Città del Messico. Se ti fossi avvicinato di più, avresti eliminato dall’immagine le altre presenze umane distraenti. Le tue immagini sono spesso prevedibili, scattate ad altezza occhio e prive di un autentico impatto? Forse hai bisogno di cercare qualche inedito punto di vista.

Prova a salire le scale per guardare il soggetto dall’alto. Sdraiati a pancia in su per scattare dal basso. Inginocchiati e saluta i bambini alla loro altezza. Sdraiati a pancia in giù e inquadra il bestiame attraverso gli stivali di un cowboy che sta osservando l’azione a cinque metri di distanza. Cambiare il punto di vista è un modo facile per migliorare le tue composizioni.

Allo stesso modo, se ti avvicini a una staccionata e la riprendi dall’angolo, le linee ripetute dell’immagine finale condurranno l’occhio verso la donna che sta pulendo l’aiuola alla fine della recinzione. Per eliminare uno sfondo distraente, muoviti semplicemente un po’ a sinistra o a destra in maniera da nasconderlo dietro il soggetto. Se vuoi dare molta importanza a qualcuno, tutto quello che devi fare è abbassarti e scattare verso l’alto, mentre il soggetto guarda dritto davanti a sé. Se vuoi che quella stessa persona appaia autoritaria, mantieni lo stesso punto di vista ma chiedi al soggetto di guardare in basso verso la fotocamera con le braccia incrociate. Per attirare l’attenzione sull’amore per la solitudine del soggetto, posizionalo in un ampio spazio aperto, come un parco o il letto asciutto di un lago, e riprendilo dall’alto di un albero o di una roccia utilizzando un grandangolo.

Cambiare il tuo punto di vista sul sesso, la politica, la religione conduce a nuove maniere di vedere il mondo. Questo è vero anche per la fotografia. Guardando da una nuova prospettiva, puoi dare nuova vita a soggetti stanchi e abusati. E anche se modificare il punto di vista può essere spaventoso, rende allo stesso tempo la vita eccitante e piena di avventura.

Barca dal ponte

Una vista diversa dal solito. Nikon D500, Obiettivo Nikkor 18–300 millimetri a 42 millimetri, F/11 per 1/250 di secondo, ISO 640, WB Daylight/Solare.

Il bisecolare Ponte Ubien, in teak, si estende sull’estremità meridionale del lago Taung Tha Man a Mandalay, in Birmania, offrendo a coloro che lo attraversano una veduta dall’alto del lago e delle attività sottostanti.

Da circa sei metri sopra il lago, la calma dell’acqua del lago del primo mattino e i riflessi delle nuvole sono stati brevemente turbati da due pescatori e dalla loro stretta imbarcazione, che affettava l’acqua come un coltello affilato con del cellophane. Era una delle poche volte in cui ho ripreso delle nuvole con la fotocamera puntata verso il basso. Nota che questo non era il momento per utilizzare un filtro polarizzato, che avrebbe fatto un discreto lavoro di rimozione dei riflessi superficiali (le nuvole), da me ovviamente non desiderato.

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5. Come usare bene i riflettori

Grazie in parte a programmi di photo editing come Lightroom e Photoshop, e alla facilità con cui correggono gli errori di esposizione, l’uso dei riflettori nella ritrattistica è leggermente diminuito. È una sfortuna, perché i riflettori, usati in maniera corretta, possono condurre a risultati migliori e farlo più rapidamente che con la postproduzione.

I riflettori risultano utili principalmente quando si scatta in controluce, quando il sole si trova dietro il soggetto. Con questo tipo di luce, la maggior parte dei fotografi desidera creare una composizione che includa una hairlight sui capelli del soggetto; ma senza l’uso di un riflettore può essere difficile anche ottenere una buona esposizione del volto senza perdere il controluce a causa di una forte sovraesposizione; o, al contrario, regolando l’esposimetro sul controluce, si può correre il rischio di sottoesporre il volto.

Quando punti un riflettore in piena luce solare, questo funziona in qualche modo come uno specchio, regalandoti un secondo sole da dirigere sul volto del soggetto. Usare un riflettore è come vivere su un pianeta con due soli: uno che retroillumina il soggetto (il sole reale) e uno che lo illumina frontalmente (il riflettore). I fotografi di studio usano da anni questo approccio a due luci con l’illuminazione stroboscopica: perché tu non dovresti?

Una volta che hai riflesso la luce del sole sul volto o sul corpo del soggetto grazie al riflettore, avvicinati per impostare l’esposizione sulla luce frontale che ora lo colpisce. Con la giusta apertura di diaframma (che avrai determinato in base alle tue necessità di profondità di campo), riempi semplicemente l’inquadratura con la luce riflessa e aggiusta il tempo di posa per ottenere la corretta esposizione (indicata dall’esposimetro). Se sei tanto vicino da non riuscire a mettere a fuoco il soggetto, non preoccuparti: in questo momento ti deve interessare solo determinare l’esposizione. Ipotizzando che tu preferisca l’esposizione manuale in queste situazioni, ricomponi la scena davanti a te e scatta a quest’esposizione.

Ovviamente c’è un’altra cosa di cui preoccuparsi: chi terrà il riflettore? A meno che tu non abbia quattro mani, è il momento giusto per sfruttare qualcuno a farti da morsetto. Il compito di questa persona sarà tenere il riflettore. Se non hai nessuno a disposizione, il soggetto potrà tenere il riflettore per te, specialmente nel caso di un primo piano.

Di tutti i riflettori disponibili, non ne conosco migliori che i 5-in-1 da 55 a 70 centimetri, prodotti da diverse aziende. (La cosa più importante da ricordare è semplicemente il 5-in-1.) Con il loro ingegnoso design a cerniera, hai un riflettore di 60 centimetri di diametro, sia argento che dorato, e se apri lo strato esterno, ottieni un diffusore bianco da 60 centimetri, ideale per gli scatti di mezzogiorno. (Se tenuto sopra la sua testa, il diffusore ridurrà, o eliminerà, gli aloni neri sotto gli occhi del soggetto.) Quando non lo usi, lo puoi ripiegare in una comoda custodia compatta di 25-30 centimetri di diametro, che sta senza problemi nella maggior parte delle borse per fotocamere.

Nancy

Senza usare bene i riflettori, sarebbe stata tutta un’altra foto. Nikon D800, obiettivo Nikkor 24–85 millimetri, F/22 per 1/30 di secondo, ISO 100, WB Daylight/Solare,

Nonostante questo soggetto non fosse in controluce (era ripreso di lato, mentre il sole lo illuminava frontalmente), ho comunque suggerito ai miei studenti di usare un riflettore per gettare un po’ di luce suoi suoi capelli lunghi e fluenti.

Soffiava molto vento durante il nostro workshop a Key West, Florida, e ho suggerito a Nancy di farci da modella, dato che i suoi capelli mossi dall’aria, ripresi con un tempo di posa basso, ci avrebbero aiutato a enfatizzare la giornata ventosa, oltre a esprimere fortemente anche la sua personalità da spirito libero. Mentre io la fotografavo di lato, un altro studente teneva un riflettore dietro di lei, facendo rimbalzare la luce frontale proveniente dalla finestra sui suoi capelli. Senza l’uso del riflettore, questi sarebbero stati al buio, letteralmente.

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Questo articolo richiama contenuti da Comprendere il ritratto.

Immagine di apertura originale di Bryan Peterson.

L'autore

  • Bryan Peterson
    Bryan Peterson è un fotografo professionista e un formatore apprezzato a livello internazionale. La sua abilità nell'uso del colore e nel catturare composizioni di grande impatto visivo gli è valsa numerosi riconoscimenti tra cui il Gold Award dell'Art Director Club e l'onorificenza delle riviste Print e Communication Arts. Ha fondato la Bryan Peterson School of Photography ed è autore di numerosi bestseller che hanno venduto decine di migliaia di copie e formato generazioni di fotografi.

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