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Applintel: un matrimonio d’interessi

16 Giugno 2005

Applintel: un matrimonio d’interessi

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Mentre Apple confida in Centrino per vendere più PowerBook, la mano del gigante dei microchip potrebbe voler staccare la mela dal suo tronco

Lascia soprattutto disorientato il popolo-Mac la notizia diffusa dallo stesso Jobs durante la Worldwide Developer Conference, secondo la quale nei computer Apple che usciranno dall’estate 2006 in poi pulserà un cuore Intel al posto dello storico PowerPC.

Apple, quindi, sceglie per sé l’acerrimo nemico, a suo tempo raffigurato come una lumaca, sposando proprio quell’enfasi sulla velocità della clock che marchiava come ingannevole.
A spingere in questa direzione sono state le difficoltà incontrate dapprima con Motorola e in ultimo con IBM stessa, cui Apple si era affidata per la nuova generazione G5 di macchine.

I computer G5 avevano lasciato soddisfatti i clienti Apple, ma non altrettanto il marketing aziendale. In questo momento, infatti, il mercato informatico in generale spinge tutto sul comparto dei notebook, che si attestano su regimi di crescita decisamente lusinghieri, al contrario dei desktop la cui china discendente è in costante aumento.

Come, ma molto più del G4, il processore di Generazione 5 è afflitto dal problema del surriscaldamento che ha costretto Apple a metterlo con i piedi a bagno per poterlo raffreddare. Due anni fa Jobs aveva promesso di lì a un anno dei processori a 3 GHz che non sono mai usciti dalle fabbriche di IBM. Così, non solo i notebook entry level – gli iBook – sono rimasti fermi ai G4 a poco più di 1 GHz ma, peggio ancora, lo stesso è capitato alla gamma alta dei PowerBook, che per compensare il ritardo sono stati abbassati di prezzo senza che questo abbia avuto effetto sulle vendite. Un notebook G5 sarebbe impensabile dal momento che chi oggi ha un PowerBook G4 sa di non poterlo tenere sulle ginocchia per ore senza cuocersele.

Tutto questo mentre da un po’ di anni Intel sta entusiasmando il mondo concorrente con i suoi Centrino a basso consumo ed alta integrazione. Nel frattempo, sul fronte PPC, da casa IBM non ci sono segnali di interesse per l’hardware dopo le vendite a Lenovo, mentre Motorola non dà segno di volere reinvestire nei computer.

Ma come fa Apple a far girare il MacOS su Intel in meno di un anno, quando il passaggio dai vecchi 6800 ai PowerPC era risultato un infinito bagno di sangue per azienda e clienti?
E qui Jobs svela il segreto di Pulcinella, ovvero sia che MacOS X da sempre viaggiava sui PC. Non ci voleva una grande fantasia, visto che il suo progenitore NeXtStep, dopo un poco felice periodo su macchine proprietarie si era rivolto proprio alla piattaforma 486. Addirittura in Apple, laddove negano che verranno autorizzati PC MacOS compatibili, affermano che nessuno impedirà un poco interessante adattamento di altri sistemi (leggi Windows e poi Linux) nei futuri Applintel.

L’entusiasmo di Jobs non si ritrova certo fra il Mac-People, che dà invece evidenti segni di stanchezza. Gli utilizzatori storici ricordano le fatiche e gli sprechi che costò una dozzina d’anni fa il passaggio dall’architettura 68k a quella PPC, che non si consolidò prima di un lustro per poi cedere il passo alla transizione ai figli del G3, gli unici a potere funzionare con il nuovo sistema operativo, l’ultimo grande fattore di instabilità non ancora del tutto ammortizzato.

La prima importante conseguenza della transizione sarà il definitivo abbandono del sistema Classic (Mac OS 9). Nonostante il vecchio OS non possa più essere avviato dai computer Apple da un paio d’anni a questa parte e, a dispetto delle affermazioni del vicepresidente Phil Schiller secondo il quale “quasi nessuno usa più Classic”, almeno nel settore del publishing, come rivela l’autorevole rivista “Publish”, si attesterebbero sugli 1,5 – 2 milioni gli utenti che adoperano versioni di software come Quark XPress o Adobe Photoshop e relativi plug-ins dedicati alla piattaforma Classic.

Ed eccoci al punto dolente che, seppure non tocca i non pochi utenti domestici che fanno uso di scarsi programmi, magari shareware o “in prestito”, fa rizzare i capelli alle aziende e agli utenti che comprano i programmi che usano. Finché si tratta di cambiare un sistema operativo nessuno trema, ma quando si comincia a parlare di dovere convertire le suite di Adobe, di Macromedia o anche solo lo stesso Office e il software Apple i nervi cominciano a saltare. Perché è inutile fare finta di niente: il software in emulazione PPC in ambiente Intel darà problemi, sarà lento e non motiverà di certo a cambiare macchine.

D’altronde chi oggi possiede un G5, magari un PowerMac multiprocessore, è conscio di avere una fantastica macchina a 64 bit che potrà durare per molto più di un lustro in maniera del tutto soddisfacente. Al contrario, ci vorranno almeno tre anni prima che gli Applintel funzionino veramente. Come se non bastasse, qui si parla di architettura x86, ovvero 32 bit, e non si può certo dire che i 64 bit di Intel, ovvero il Pentium D Dual Core (un “Pentium 4 de luxe”), e l’Itanium, lascino ben sperare (e meno che mai sul versante del rapporto fra velocità e surriscaldamento), almeno allo stato attuale. Forse la road map così interessante mostrata a Jobs conteneva invece segreti e colpi di scena in questo senso, anche se personalmente prevale un certo scetticismo, soprattutto in considerazione di quanto finora mostrato nella competizione con AMD.

Perplessità lascia infine la disponibilità degli sviluppatori a convertire i propri applicativi per le nuove architetture. Sebbene a Cupertino abbiano preparato un Developer Transition Kit che comprende un “traduttore binario dinamico” chiamato “Rosetta” (un emulatore software basato su QuickTransit della Transitive), in grado di rendere molte applicazioni per PowerPC eseguibili in ambiente Intel, il supporto offerto vale solo per i programmatori che usano il software Apple XCode, mentre la maggioranza che usa Metrowerks CodeWarrior andrà incontro alla riscrittura o alle tante difficoltà del trasferimento. Certo, le software house intravedono la possibilità di un ulteriore rinnovamento del catalogo e di corrispettive possibilità di vendita, ma qui si prospettano addirittura linee di sviluppo parallele per i pochi nuovi utenti e i tanti conservatori.

Chi potrebbe trarre vantaggio dal cambiamento saranno quelli che, di qui a uno o due anni, hanno messo in conto di comprare un PowerBook, che finalmente potranno alloggiare il loro sistema operativo preferito in un notebook definitivamente all’altezza dei concorrenti. Ma sono davvero così importanti queste migliorie, soprattutto a fronte dell’impossibilità di ereditare il software precedente?

È così che, mentre Apple sta rendendo Open Source il suo navigatore Safari per il battesimo (dopo QuickTime e iTunes) sui sistemi operativi concorrenti (leggi Windows), c’è chi, ricordando i tanti corteggiamenti rivolti a Jobs dalle major dell’hardware per la realizzazione di PC basati su MacOS X, sottolinea che la prima a desiderare la separazione, almeno part-time, da Windows sarebbe proprio Intel.

Secondo Robert X. Cringely, columnist di InfoWorld e del canale televisivo PBS, dietro il matrimonio fra Apple e Intel si celerebbe un progetto del gigante dei microchip per rilevare la casa di Cupertino allo scopo di spingere verso nuove macchine dal robusto cuore UNIX e dall’efficace interfaccia Macintosh. L’ipotesi non è balzana come sembra, dopo che tentativi in questo senso si erano mormorati da parte di Sony e addirittura di Disney, ma soprattutto alla luce dei tanti finanziamenti di Intel verso sistemi alternativi a Windows, come proprio il caso del diretto concorrente di Jobs, Jean Louis Gassée con il suo BeOS. Oggi i tempi potrebbero essere maturi e proprio un certo stallo negli investimenti hardware di Intel, a fronte di uno dei maggiori volumi finanziari del campo dell’informatica, potrebbe spingere un gigante parsimoniosamente specialistico come quello all’arrembaggio per un’OPA in fondo meno incerta di altre simili, come HP-Compaq, Adobe-Macromedia, Time Warner-AOL, IBM-Lenovo e così via.

D’altronde per Intel il piatto offerto dai computer di una piccola Apple è molto meno interessante di quanto potrebbe essere lo scenario di un mercato con tutta l’informatica di marca, e forse solo quella, basata su Applintel.

Di certo dalla mela del culto-Apple è spuntato un verme decisamente antiestetico e il suo gusto, almeno per i fedelissimi privi di alternative, non sarà più lo stesso.

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