Puck Building, Soho, New York. Tra fili penzolanti, megaschermi e torri di computer, il mondo dell’hacking americano si è riunito dall’8 al 10 agosto in una convention densissima di appuntamenti per discutere delle strategie di resistenza alla società della sorveglianza globale, durante l’edizione
1997 di “Beyond The Hope: Hackers on Planet Earth”. La tre giorni, svoltasi sotto gli auspici di una delle più note riviste hacker, 2600 Magazine, è stata infatti l’occasione per mostrare il volto pubblico dell’hacking contemporaneo e riscattare la pessima immagine che di esso è stata finora data da una stampa approssimativa e impreparata a decifrare le nuove tendenze di questo mondo semisommerso.
Attraverso seminari e poster sessions, così come con workshops informali, gli intervenuti, circa 1800 persone, hanno cercato di focalizzare i temi attinenti lo sviluppo della società elettronica e della economia della conoscenza, con particolare attenzione ai temi della privacy, delle politiche della comunicazione, della censura e dei modi per combatterla.
Non è un quadro uniforme quello che ne è emerso, ma sicuramente è tempo di mettere da parte l’idea di una galassia individualista ed autoreferenziale esplosa in un magma di stili e di pratiche autarchiche. Gli hackers, temuti dalle agenzie governative e corteggiati dalle multinazionali delle telecomunicazioni, non sembrano più voler accreditare l’immagine di egoisti pirati, ma neppure di solitari Robin Hood della conoscenza, quanto sensibilizzare e coinvolgere il maggior numero di persone alla disfida del secolo: la lotta per una società dove il potere sia distribuito dal basso verso l’alto e non viceversa….un potere basato sull’accesso all’informazione.
E gli applausi si sono trasformati in risate quando la proiezione sul megaschermo del website della conferenza sorella che si teneva in Amsterdam a ridosso dell’incontro americano, ha cominciato a degradare verso la simulazione di una attacco alieno esemplificato nelle parole: “siamo tutti sotto il controllo di un potere ostile…”
Il potere. È ancora questo il bersaglio degli hackers. Scoprire, descrivere e sottrarsi a questo enorme apparato di controllo costituito dai database on-line che continuamente restituiscono l’immagine di una società imperniata sui flussi della comunicazione elettronica e così facendo modellandola a somiglianza di un grande, gigantesco mercato dove le proiezioni basate su dati demografici e sociali servono a descrivere schemi di consumo da gestire attraverso la produzione just in time di beni di qualità e personalizzati, e dove il controllo della devianza non abbisogna più di mezzi coercitivi di controllo quanto di una trasparenza che rimane il miglior deterrente verso comportamenti antisociali.
È per questo che durante la conferenza era palpabile il contrasto fra il desiderio dichiarato di scoprire i buchi nei sistemi elettronici che gestiscono le quotidiane transazioni bancarie e la posta privata, per renderli più sicuri, ed il desiderio di sfuggire ad un controllo generalizzato che si serve del confronto incrociato di grandi masse di dati per stabilire come e quando siamo cittadini rispettosi e consumatori affidabili. Non a caso, uno dei seminari più seguiti è stato quello in cui “Red BalaKlava”, nome in codice di un sistemista estivo della Municipal Transit Authority di New York nella sua uniforme da combattimento, bavaglio rosso e cappellino aziendale, ha denunciato i rischi delle smart cards, quelle piccole tessere di plastica che per i chips sempre più potenti in esse incorporati non possono essere più a lungo considerati meri ricettacoli di valore monetario, quanto cimici onnipresenti che registrano i nostri comportamenti di consumo.
L’altro grande topic della conferenza è stata la crittografia, e non per caso fra gli eroi più celebrati della conferenza c’era Phil Zimmermann, l’autore del potente PGP, al cui sistema crittografico è stata dedicata una intera e affollatissima session, mentre c’era chi giurava di aver visto il fantasma elettronico di Kevin Mitnick detto il “il Condor”aggirarsi fra le centinaia di porte seriali che connettevano sistemi operativi di indecifrabile provenienza, al solo pronunciarne il nome nella sessione a lui intitolata. In carne ed ossa, Phiber Optik, condannato tempo addietro per l’illecito ingresso e la diffusione di materiali trovati nei databases di una compagnia telefonica era lì nella sessione “Prisoners”a spiegare come l’ultimo gradino della società del controllo sia comunque il monopolio statuale della violenza a fronte dell’impossibilità di intercettare la natura fluida dell’informazione.
Ma probabilmente le cose più interessanti, come c’era da aspettarsi, sono avvenute dietro le quinte. Tra file di desktop allineati e televisori che proiettavano “videohacker”, i più giovani si scambiavano codici scrivendoli sulla pelle, mentre giocherelloni mascherati insegnavano anche ai “Feds”in “incognito”(gli agenti federali in borghese) come penetrare i sistemi del dipartimento di giustizia americano per mandare un avviso di comparizione in tribunale all’insegnate più arrogante della scuola. Insomma, un’atmosfera assai meno rarefatta di quell’incrociarsi di linee e di luci del cyberspazio immaginato alla Neuromancer, con un forte, forse solo momentaneo, senso di comunità, definito da un sentimento di affiliazione pronto a tramutarsi un una nuova più potente macchina da guerra alla società del capitale globale.