Il tema della regolamentazione, della proibizione e/o dell’educazione all’uso dei social media da parte dei dipendenti è di quelli che sta facendo il giro del management all’interno delle aziende evolute (e di persona ne conosco solo una o due, in Italia). In tutti gli altri casi, non è gestito e nemmeno percepito, lasciando il campo a interpretazioni personali da parte degli impiegati su quanto sia il caso di dire in pubblico della propria azienda oppure a censure a tappeto sull’uso dello strumento. Il caso della BBC è emblematico: da tempo attenta al mondo Internet, sta riflettendo molto su questo argomento e lascia trasparire un un certo desiderio che i dipendenti si tengano per sé le notizie con cui vengono a contatto nel corso del proprio lavoro. Sia che si tratti di notizie non ancora diffuse dai notiziari, sia quando nel caso di indiscrezioni su attività, riorganizzazioni, nuovi progetti aziendali anticipati prima che fossero pronti, approvati o semplicemente prima che l’azienda decidesse di comunicarli.
A chi giova
In effetti, se si può capire la denuncia, il fare scandalo per mobilitare l’opinione pubblica contro soprusi e porcate (e noi in Italia ne sappiamo qualcosa), c’è da domandarsi se sia lecito rischiare di danneggiare l’azienda o semplicemente di confondere i piani di marketing e comunicazione anticipando al pubblico, sul proprio tweet, notizie riservate. In cambio di che cosa? Il più delle volte di un guadagno effimero di immagine. Se si fa parte di un sito di leaks e pettegolezzi, di anticipazioni, fa parte del gioco: da un lato chi cerca di fare uscire notizie prima che siano uscite dall’uovo, dall’altra chi le vuole tenere in incubatore finché non siano pronte. Il gioco delle parti. Se invece è un dipendente che cerca di stupire gli amici la faccenda è diversa. E nell’equazione, volendo, potemmo anche far rientrare la definizione di imbecille: «uno che danneggia gli altri senza ottenerne un beneficio per sé».
Ma torniamo alla BBC: a fronte del problema, si stanno considerando forme di divieto di pubblicazione sui media social di notizie relative al lavoro. In un contesto, e qui sta il paradosso, dove invece l’uso dei social media (almeno da parte dei giornalisti) è, per usare un eufemismo, fortemente incoraggiato. Non va infatti dimenticato che Peter Horrocks, direttore delle global news, all’atto del suo insediamento l’anno scorso ha sostanzialmente chiesto ai giornalisti di utilizzare i social media o di essere così cortesi di andarsene a lavorare da un’altra parte. I social media, diceva Horrocks, non sono una moda passeggera e i giornalisti non fanno il proprio lavoro se non li sanno usare. E quindi il loro uso dei non è discrezionale, ma obbligatorio in azienda. Ovviamente questo approccio così entusiastico ha causato reazioni negative da parte di chi ha messo in luce il rischio di incorrere in errori insito nel fidarsi di questi canali come fonte di informazione.
Un codice stringente
Come molti altri media e aziende, la BBC si è dotata di linee guida all’uso dei servizi online, in cui una parte non piccola è stata redatta con l’aiuto dei servizi legali, per mettere al riparo l’azienda da conseguenze e disastri o meglio ancora per evitare che il solito idiota volenteroso metta nei guai tutti. Qui si pone un serio problema di libertà di espressione: regolare quanto uno può o non dire su spazi privati come i propri canali social, anche se si tratta di lavoro, significa lasciare che un contratto aziendale regoli anche quello che posiamo fare in una sfera privata. In realtà vale la vecchia massima che se fossimo tutti in buona fede e intelligenti non ci sarebbe bisogno di leggi: a nessuno di quelli che conosco e stimo intelligenti verrebbe in mente di divulgare segreti aziendali su Facebook o di dire su Twitter che il proprio capo è un cretino, per poi tornare tranquillamente al lavoro come se niente fosse.
Purtroppo l’assunzione di buona fede e di intelligenza è spesso rischiosa e nell’area del crisis management online ormai è chiaro che spesso il primo nemico siamo noi. Per disegno o per superficialità. Per scarsa intelligenza o per scarsa cultura. Sarà questo uno dei motivi che ha portato la BBC stessa a sviluppare dei corsi online (peraltro carini) sui fondamenti dei social media?