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Decreto Romani, tanti dubbi interpretativi

25 Gennaio 2010

Decreto Romani, tanti dubbi interpretativi

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Il testo recepisce una direttiva europea che mira a evitare distorsioni nel mercato dei contenuti multimediali. Ma in Italia, complici alcune scelte del legislatore, finiscono nel mirino anche le pubblicazioni amatoriali

Lo scorso 17 dicembre il Consiglio dei ministri ha approvato in via preliminare lo schema di decreto legislativo recante l’attuazione della direttiva 2007/65CE. La legge delega prevede espressamente che il recepimento della direttiva avvenga con la tecnica della novellazione sul decreto legislativo 177/05, il Testo Unico sulla radiotelevisione. Numerose sono state le reazioni politiche, preoccupate in modo particolare per alcune disposizioni che travalicherebbero le finalità della direttiva. Particolare preoccupazione desta una disposizione che sembrerebbe parificare i siti internet contenenti materiale audiovisivo alle emittenti radiotelevisive, assoggettandoli alle medesime discipline.

La disposizione comporta in effetti dubbi interpretativi sia dal punto di vista sistematico (per la sua inclusione nel testo unico) sia da quello letterale, in modo particolare per quelle categorie di contenuti ospitati da piattaforme di condivisione video che sinora sono state, e dovrebbero continuare ad essere, soggetti alla sola disciplina prevista dalla direttiva sul commercio elettronico. Il rischio maggiore è che le nuove norme per il settore audiovisivo portino alle stesse problematiche che si sono già presente per il web testuale e l’applicabilità a Internet della legge sulla stampa.

Lo spirito della direttiva

La direttiva si propone di armonizzare a livello comunitario l’attività del settore radiotelevisivo dal punto di vista tecnologico distinguendo tra servizi lineari (quelli tradizionali) e non lineari (quelli on demand), con lo scopo di adottare per gli utenti (e in modo particolare per i minori) maggiori garanzie e, al tempo stesso,  evitare distorsioni sul mercato da parte di quest’ultima tipologia di servizi a danno di quelli tradizionali. Prima della direttiva 2007/65CE, i servizi a richiesta ricadevano unicamente nella direttiva 2000/31CE in materia di commercio elettronico (recepita in Italia con il decreto legislativo 70/03). L’opera di raccordo tra le due discipline è raggiunta, a livello comunitario, da una serie di definizioni con le quali si vuole evitare che le attività principalmente non economiche e non in diretta concorrenza con il settore radiotelevisivo ricadano nel disposto della direttiva 2007/65CE e continuino invece a essere disciplinate dalla direttiva sul commercio elettronico.

Come si evince, infatti, dal considerando 16: «Il suo ambito di applicazione dovrebbe limitarsi ai servizi definiti dal trattato, inglobando quindi tutte le forme di attività economica, comprese quelle svolte dalle imprese di servizio pubblico, ma non dovrebbe comprendere le attività precipuamente non economiche e che non sono in concorrenza con la radiodiffusione televisiva, quali i siti internet privati e i servizi consistenti nella fornitura o distribuzione di contenuti audiovisivi generati da utenti privati a fini di condivisione o di scambio nell’ambito di comunità di interesse».

In un contesto europeo dove la televisione via internet è maggiormente diffusa e popolare simili definizioni scongiurerebbero i problemi interpretativi che stiamo per illustrare. In Italia sono stati fatti grossi investimenti per la tecnologia satellitare ma non per la tv via internet, con l’effetto di lasciare l’interprete di fronte alla perplessità di adeguare una disciplina destinata a dettare regole a una realtà di mercato che nel nostro paese non è ancora strutturata, ma che deve essere considerata settore emergente. La questione è quindi capire come e in che misura le regole si applicheranno a un mercato in fieri e se e in quale misura potrebbero influire anche sulla produzione di contenuto audiovisivo user generated in Internet già, invece, esistente.

Lo schema di decreto italiano

Il considerando 16 chiarifica, quindi, il tipo di mercato che la direttiva si prefigge di regolamentare e vale di per sé a escludere ogni tipo di attività effettuata da utenti che utilizzano piattaforme di videosharing come YouTube, Vimeo o Google Video. E infatti nella definizione di media audiovisivo che si legge nell’articolo 1 della direttiva di servizio si legge di «un servizio, quale definito agli articoli 49 e 50 del trattato, che è sotto la responsabilità editoriale di un fornitore di servizi di media e il cui obiettivo principale è la fornitura di programmi al fine di informare, intrattenere o istruire il grande pubblico, attraverso reti di comunicazioni elettroniche ai sensi dell’articolo 2, lettera a), della direttiva 2002/21/CE. Per siffatto servizio di media audiovisivi si intende o una trasmissione televisiva come definita alla lettera e) del presente articolo o un servizio di media audiovisivi a richiesta come definito alla lettera g) del presente articolo, e/o — una comunicazione commerciale audiovisiva».

Nello schema di decreto presentato in Italia, la definizione è però più ampia e specifica: sebbene non vi rientrino i servizi «prestati principalmente all’interno di attività non economiche e che non sono in concorrenza con la radiodiffusione televisiva», aggiunge che vi debbano rientrare «i servizi, anche veicolati mediante siti internet, che comportano la fornitura o la messa a disposizione di immagini animate, sonore o non, nei quali il contenuto audiovisivo non abbia carattere meramente incidentale».

Proprio l’aggiunta relativa all’inclusione dei servizi audiovisivi veicolati mediante siti internet può generare dubbi sulla portata interpretativa da dare al comma. È lecito chiedersi se, infatti, debba ritenersi inclusa nella specificazione un tipo di attività imprenditoriale ed economica e a contenuto direttamente televisivo oppure se, alla luce di una interpretazione più restrittiva, debbano intendersi compresi nella definizione anche siti internet che fanno uso di contenuti audiovisivi in modo sistematico (videoblog, ma anche piattaforme di e-learning che veicolano le lezioni con riprese video o piattaforme che veicolano filmati per adulti, fino ad arrivare a siti che offrono spazio per caricare video).

Il caso della piattaforma esterna

Soprattutto il caso di contenuti video caricati in piattaforme commerciali esterne e poi redirezionati verso siti o blog costituiscono un aspetto molto problematico per la definizione riportata nello schema di decreto italiano, perché la lettera dell’articolo sembra limitare la descrizione della fattispecie all’unico requisito che il contenuto disponibile in unico sito e non differenzia, come avrebbe dovuto e potuto alla luce della direttiva,  l’ipotesi in cui il contenuto sia visualizzato mediante semplice redirezionamento a fonte esterna. Nel caso, infatti, dell’utilizzo di piattaforma esterna né l’utente né il gestore della piattaforma sarebbero soggetti alle regole previste dallo schema di decreto, essendo il primo vincolato da altre norme quali quelle in materia di diritto d’autore e il secondo garantito da quelle previste dalla direttiva sul commercio elettronico che escludono responsabilità diretta per il contenuto generato dagli utenti.

Nell’articolo 4, ancora, lo schema di decreto continua con le definizioni e identifica il fornitore di servizi di media come «la persona fisica o giuridica che assume la responsabilità editoriale della scelta del contenuto del servizio di media audiovisivo e ne determina le modalità di organizzazione». L’articolo definisce un «programma» (parola che la legge qualifica espressamente come sinonimo di “trasmissione televisiva”) come «una serie di immagini animate sonore o non che costituiscono un singolo elemento nell’ambito di un palinsesto o di un catalogo stabilito da un fornitore di servizi di media la cui forma e il cui contenuto sono comparabili alla forma od al contenuto della radiodiffusione televisiva. Non si considerano programmi le trasmissioni meramente ripetitive o consistenti in immagini fisse».

Anche tali definizioni non sembrano dare conforto a una intepretazione chiara dell’applicazione del disposto delle norme poiché la scelta del contenuto e la modalità di organizzazione da sole non bastano a escludere dalla definizione un videoblog o una piattaforma e-learning dalla categoria. Allo stesso modo la definizione di programma crea diverse incertezze poiché, nell’escludere dalla definizione dello stesso i programmi non comparabili alla forma o contenuto di una radiodiffusione televisiva, non dà una definizione di che cosa la legge intenda per radiodiffusione televisiva, soprattutto in un momento storico come quello attuale in cui la televisione tradizionale è alla ricerca di nuove forme di contenuti e di ibridazioni che sempre di più attingono alla cultura di internet sia dal punto di vista di format nati sulla rete sia dalla divulgazione televisiva di contenuti creati dagli utenti e successivamente divulgati in televisione o, comunque, sui media tradizionali.

Ripercussioni sul diritto d’autore

L’articolo 6 dello schema di decreto legislativo aggiunge l’articolo 32 bis al testo unico per la radiotelevisione e fa espresso riferimento all’articolo 78-ter della legge sul diritto d’autore. Tale articolo si occupa di disciplinare i diritti del produttore di opere cinematografiche o di sequenze di immagini in movimento elencandone i diritti esclusivi di sfruttamento economico come il noleggio, la messa a disposizione al pubblico e così via. L’articolo 6, in particolare, nel fare salve le disposizioni previste dalla legge sul diritto d`autore in materia di brevi estretti di cronaca, attribuisce all’Autorità garante per le telecomunicazioni il potere di emanare regolamenti per rendere effettiva l’osservanza della disposizione.

Tali diritti sono già tutelati in ambito civilistico e penalistico, oltre che amministrativo, dalla legge sul diritto d’autore che prevede pesanti sanzioni per ogni violazione delle privative (ampliati, in modo particolare dalla direttiva 2004/48CE, recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo 140/06 richiamato, peraltro, dallo stesso art. 6) e suscita particolare curiosità il coinvolgimento di un ulteriore organo per provvedere alla loro tutela. Nello spirito della direttiva (come si evince dal considerando 51) il richiamo per il rispetto dei diritti d’autore è effettuato al solo articolo 78-ter, che si riferisce alle sole opere cinematografiche, e non anche all’art. 78-quater della stessa legge, che si riferisce ai diritti audiovisivi sportivi e all’art. 79 che si riferisce ai diritti delle emittenti radiofoniche e televisive per la fissazione, la ritrasmissione e la messa a disposizione del pubblico delle loro emissioni. Sembra, in sintesi, che l’emananda attività regolamentare dell’Agcom potrà rivolgersi alle sole opere cinematografiche e audiovisive che ricadono nella sfera dell’articolo 78-ter e non alle altre.

Estratti di cronaca

Ulteriore questione che sembra sollevare future problematiche interpretative e di raccordo con la disciplina vigente è il riferimento ai brevi estratti di cronaca operata dall’articolo 6. L’articolo 8, infatti, che si occupa di disciplinare l’argomento, fa riferimento espresso a una particolare tipologia di cronaca e cioé quelli riguardanti eventi di grande interesse pubblico trasmessi  in esclusiva da una emittente. Anche in questo caso è deputato all’Autorità per le telecomunicazioni il dovere emanare un regolamento apposito, seguendo però espresse linee guida indicate nell’articolo, tra cui un importante limite: gli estratti possono essere utilizzati unicamente per notiziari di carattere generale e non per quelli di intrattenimento. Solo telegiornali, dunque, e non altre tipologie di programmi che non rientrano nella categoria.

Rimangono comunque impregiudicati, poiché previsti da norma di legge e non da regolamento, i diritti previsti dall’articolo 70 della legge sul diritto d’autore che permette la riproduzione e la comunicazione al pubblico (e, quindi, anche attraverso il web) di brani o parti di opere per finalità di critica, discussione, insegnamento e ricerca in assenza di concorrenza economica nei confronti dei titolari di diritti.

Sospensione della ricezione in Italia

I poteri dell’Autorità garante in materia, comunque, non si esauriscono nella regolamentazione poiché il comma 8 dell’articolo 3 dello schema di decreto stabilisce che la stessa può disporre la sospensione della ricezione in Italia di contenuti che violino il disposto dell’articolo 32-bis introdotto dal decreto nel Testo Unico per la radiotelevisione, anche se provengono da uno stato extracomunitario. L’Autorità potrà emettere un ordine al fornitore di inibire la diffusione di tali contenuti in Italia e comminargli una sanzione amministrativa pecuniaria che può arrivare a 150.000 euro. Proprio in virtù di tale potere, non soggetto alle normali procedure giudiziali e ad efficacia transfrontaliera, si viene a creare in capo all’Autorità garante uno strumento capace di inibire nel territorio la circolazione di opere cinematografiche via web e, trattandosi di diffusione via Internet, non possiamo escludere che si utilizzi la tecnica del filtraggio tramite Dns.

Nel caso in cui tale disposizione venisse applicata a un sito che utilizza un servizio come YouTube si porrebbe un conflitto con la disciplina prevista in materia di commercio elettronico, per la quale la rimozione dei contenuti può avvenire in presenza di specifici requisiti e, normalmente, dietro ordine della magistratura. In mancanza di un richiamo espresso delle regole previste dal decreto legislativo che ha recepito la direttiva sul commercio elettronico starà all’Autorità garante e successivamente alla magistratura decidere in caso di inibizione quali delle due diverse regolamentazioni dovranno essere applicate.

Problemi per la diffamazione

Ulteriori considerazioni devono essere fatte in tema di reati contro l’onore, tipicamente, per quanto riguarda il web, per la diffamazione. L’incertezza interpretativa della disciplina in materia di stampa e l’inclusione dei siti web nel concetto di prodotto editoriale hanno dato luogo a casi giurisprudenziali – per ora isolati – che hanno visto erroneamente applicare a siti web la disciplina in materia di stampa, con conseguente imputazione di responsabilità per il contenuto di commenti alla stregua di un direttore o vice direttore responsabile di un giornale. L’obbligo di controllo è limitato solo a tali soggetti giuridici e non esiste, invece, per i siti che non sono testate registrate. Per i normali siti web, nel caso di diffamazione, l’aggravante addebitabile è quella dell’uso del mezzo di pubblicità, cioè il sito stesso attraverso il quale il messaggio diffamatorio è veicolato. Nel caso dei commenti si potrebbe ravvisare tutt’al più un concorso per diffamazione, ma non certo responsabilità per omissione di controlo. Se è vero comunque che, pur con tutte le difficoltà illustrate, la disciplina in materia di stampa deve essere esclusa per i siti web, il nuovo comma del decreto rischia di porre ulteriori problemi interpretativi.

La diffamazione, infatti, è disciplinata in modo diverso per quello che riguarda il mezzo televisivo dalla legge 233/1990 che, all’articolo 30 dispone che il concessionario privato o la concessionaria pubblica ovvero la persona da loro delegata al controllo della trasmissione rispondano, ulteriormente all`autore della diffamazione, per omissione di controllo. Abbiamo visto che lo schema di decreto identifica, all’articolo 4 il fornitore di servizi di media come «la persona fisica o giuridica che assume la responsabilità editoriale della scelta del contenuto del servizio di media audiovisivo e ne determina le modalità di organizzazione». La lettera h) dello stesso articolo definisce la responsabilità editoriale come: «l’esercizio di un controllo effettivo sia sulla selezione dei programmi, ivi inclusi i programmi-dati, sia sulla loro organizzazione in un palinsesto  cronologico, nel caso delle radiodiffusioni  televisive o radiofoniche, o in un catalogo nel caso dei servizi di media audiovisivi a richiesta».

L’articolo aggiunge ancora che per controllo effettivo deve intendersi: «la possibilità di assumere decisioni circa l’inserimento o la rimozione dei contenuti, la collocazione, la modalità di presentazione, l’attribuzione di codici o la definizione di altre modalità di reperimento da parte dell’utente nell’ambito di un palinsesto o un catalogo». La definizione è così ampia da comprendere le più normali attività di controllo di un contenuto da parte del gestore di un sito, ma anche di una piattaforma: basta anche la sola possibilità di rimozione.

Nel caso in cui il testo dovesse diventare legge così come nel disegno in discussione, quindi, l’interprete potrebbe trovarsi di fronte a una norma che, se interpretata fuori dal contesto comunitario in cui nasce, potrebbe dare luogo all’applicazione delle norme in materia di diffamazione televisiva ai siti web e piattaforme che ospitano contenuti audiovisivi, con conseguente responsabilità per omissione di controllo, in questo caso giuridicamente esistente per via del decreto, di chi ha il potere di rimuovere tali contenuti e di dovere raccordare tale disciplina con il decreto legislativo 70/2003 che invece sancisce come regola l’irresponsabilità del provider nel caso in cui vengano utilizzate piattaforme esterne.

L'autore

  • Elvira Berlingieri
    Elvira Berlingieri, avvocato, vive tra Firenze e Amsterdam. Si occupa di diritto delle nuove tecnologie, diritto d'autore e proprietà intellettuale, protezione dei dati personali, e-learning, libertà di espressione ed editoria digitale. Effettua consulenza strategica R&D in ambito di e-commerce e marketing online. Docente, relatore e autore di pubblicazioni in materia, potete incontrarla online su www.elviraberlingieri.com o su Twitter @elvirab.

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