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Esplorazione spaziale: gli elementi per capire

29 Novembre 2023

Esplorazione spaziale: gli elementi per capire

Se una volta si trattava unicamente di sbarcare sulla Luna, oggi l’esplorazione spaziale abbraccia i traguardi più ambiziosi, fino al viaggio interstellare.

Alcuni degli ostacoli da superare e delle condizioni da predisporre per attuare l’esplorazione spaziale

  1. Che cosa c’è nello spazio che ci sembra vuoto
  2. Quanto costano veramente i programmi spaziali
  3. Perché la fantascienza ha portato vantaggi alla vera esplorazione spaziale
  4. Come funziona una vela solare
  5. Che cosa comporta l’idea di terraformare un pianeta

1. Che cosa c’è nello spazio che ci sembra vuoto

Oltre alla sua attrazione gravitazionale e alla luce emessa, il Sole espelle, sotto la forma del cosiddetto vento solare, tonnellate di idrogeno ed elio che si diffondono nel Sistema Solare a velocità comprese fra 300 e 800 chilometri al secondo. Se la radiazione del vento solare raggiungesse la superficie della Terra, danneggerebbe gravemente la biosfera e la vita in esso contenuta.

Il campo magnetico terrestre funge da scudo, deviando tale materiale attorno e dietro al nostro pianeta. A sua volta, la forza del vento solare modifica il campo magnetico terrestre, comprimendolo sul lato esposto al Sole e allungandolo sul lato in ombra. Queste particelle ad alta velocità possono danneggiare i circuiti elettronici e disabilitare completamente un veicolo spaziale, nel corso di molto tempo o istantaneamente, soprattutto nel caso che si verifichi una tempesta solare.

Quest’ultima è caratterizzata da un aumento di radiazioni emesse dalla nostra stella, durante il quale il Sole rilascia una notevole quantità di materia, in forma di pseudo-nuvole elongate, più grandi della Terra e a più elevata energia e densità del normale, che viaggia verso lo spazio e può scontrarsi con il nostro pianeta o con una sonda spaziale.

Leggi anche: Viaggio interstellare: le parole per dirlo

Gli ingegneri delle missioni spaziali progettano l’elettronica di bordo in modo che sia più resistente possibile alle radiazioni, ma non è fattibile renderla immune. Al crescere del tempo di esposizione, prima o poi l’elettronica della maggior parte dei veicoli spaziali smetterà di funzionare.

Il sistema Solare e lo spazio interstellare sono pieni di campi magnetici. Alcuni processi fisici permettono al nucleo di ferro liquido, posto al centro della Terra, di generare un campo magnetico, che le nostre bussole sfruttano per indicarci il nord. E gli stessi processi fisici permettono al Sole di creare un enorme campo magnetico, che si estende molto lontano nello spazio, addirittura oltre i pianeti del Sistema Solare.

L’azione combinata del vento solare e del campo magnetico solare è ciò che definisce l’eliosfera, il cui confine viene definito eliopausa. In questa regione la pressione di radiazione verso l’esterno, esercitata dal Sole, viene controbilanciata dalla pressione di radiazione che, attraverso lo spazio profondo, proviene da tutte le altre stelle della Via Lattea. L’eliopausa è considerata da molti, ma non da tutti, il confine tra il sistema solare e lo spazio interstellare.

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2. Quanto costano veramente i programmi spaziali

Nel 2021, il governo americano aveva un budget di spesa di 4.829 miliardi di dollari. Di questa quantità, la NASA ha ricevuto 23,3 miliardi, vale a dire lo 0,4 percento del totale. Per confronto, ai tempi del programma Apollo la NASA riceveva circa il 4 percento del budget totale. Dei numeri così grandi perdono quasi di significato, per cui mi servo spesso della seguente visualizzazione quando faccio una conferenza o discuto di budget di spesa.

Utilizzando una moneta da un centesimo per rappresentare un miliardo di dollari, il budget degli Stati Uniti sarebbe costituito da una pila di monete alta 4.829 centesimi. Se togliessimo dalla pila i centesimi dedicati alla NASA, non noteremmo alcuna differenza in altezza. Il denaro speso per l’esplorazione del cosmo è, per molti programmi spaziali, una sorta di errore di arrotondamento.

Se non consideriamo lo stipendio di coloro che lavorano in ambito spaziale, il denaro speso in conoscenza ed esplorazione non porta un ritorno dell’investimento immediato in termini di denaro a favore di un governo o di una società, ma fornisce fin da subito un elevato ritorno in termini intangibili: nuova conoscenza scientifica riguardo al funzionamento dell’universo e del mondo attorno a noi.

Alla fonte di tutte le soluzioni tecnologiche moderne, dalle quali traiamo enorme beneficio e che diamo per scontate, c’è sempre stata la ricerca scientifica, che ha posto le basi per l’innovazione tecnologica. La tecnologia non è altro che l’applicazione della scienza. Se i nostri predecessori non avessero fatto scienza, seguendo l’impulso dato dalla voglia di conoscere l’universo, oggi non avremmo l’elettricità, i refrigeratori, i viaggi aerei, i telefoni cellulari, i computer, i macchinari elettromedicali e così via.

Il ritorno dell’investimento della scienza fatta un secolo fa sta ancora portando un tangibile e cospicuo ritorno dell’investimento. Il denaro che spendiamo attualmente in campo scientifico potrebbe non ripagarsi per un centinaio di anni. Ma quando lo farà, il vantaggio per l’umanità, in termini di maggior benessere in senso complessivo, sarà presumibilmente molto grande.

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3. Perché la fantascienza ha portato vantaggi alla vera esplorazione spaziale

Mentre la fantascienza da un lato può far nascere delle aspettative non realistiche riguardo al progresso della nostra esplorazione spaziale e all’arco temporale con cui potremmo riuscire a effettuare dei viaggi interstellari, dall’altro è stata incredibilmente utile, oserei dire essenziale, per farci arrivare al punto in cui siamo oggi, con le nostre attuali tecnologie di esplorazione spaziale.

In Dalla Terra alla Luna, nel 1865 Jules Verne descrive il viaggio verso la Luna di un equipaggio composto da tre persone. La navicella viene sparata come un proiettile, dalla Florida. Al ritorno i viaggiatori ammarano con successo nell’oceano, dopo aver usato dei paracaduti per rallentare la discesa. Suona familiare? La missione Apollo 11 portò tre uomini sulla Luna, in un razzo lanciato dalla Florida. Gli astronauti ritornarono sulla Terra in una capsula, ammarando nell’oceano, dopo aver utilizzato dei paracaduti per diminuire la velocità di caduta.

Molte storie di fantascienza, scritte prima del programma Apollo, riuscirono a prevedere accuratamente come sarebbero avvenuti i viaggi nello spazio, ma molte altre, probabilmente la maggior parte, fallirono completamente sotto questo aspetto. Ma va bene così: la fantascienza non deve per forza essere accurata al 100 percento. Deve essere avvincente, deve provocare emozioni e far pensare, ma soprattutto deve farci divertire. Dopo le missioni Apollo, sono stati scritti molti racconti di fantascienza, eccellenti e tecnicamente accurati, riguardo al prossimo grande salto: l’esplorazione umana di Marte. Fra i migliori citerei Mars di Ben Bova, Red Mars di Kim Stanley Robinson e, naturalmente, The Martian di Andy Weir.

Oltre a divertirci, la fantascienza ha contribuito all’esplorazione spaziale almeno in due modi: preparando l’opinione pubblica su ciò che sarebbe avvenuto e ispirando generazioni di scienziati e ingegneri. Non vi è alcun dubbio che la fantascienza dei primi anni del Ventesimo secolo abbia ispirato i visionari. Come nel caso di Wernher von Braun, lo scienziato tedesco che portò nel mondo l’orrore del razzo V-2, durante la Seconda guerra mondiale, ma che contribuì in modo determinante anche al razzo spaziale Saturn V, che portò gli astronauti americani sulla Luna.

L’attuale generazione di scienziati e di ingegneri, con anni di esperienza nel campo dell’esplorazione spaziale, ammette senza problemi di essere stata ispirata dalla fantascienza, oltre che naturalmente dal successo delle prime imprese spaziali. Io sono fra questi. Avevo sette anni quando Neil Armstrong camminò sulla Luna, undici quando incominciai a leggere le opere di Robert Heinlein, Arthur C. Clarke e Isaac Asimov e circa tredici quando decisi che avrei studiato fisica, in modo da poter lavorare alla NASA. E non sono certo il solo.

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4. Come funziona una vela solare

La cosiddetta vela elettrica o elettrostatica, anche detta E-sail, cattura la quantità di moto delle particelle del vento solare con l’ausilio di lunghi cavi carichi positivamente. Man mano che i protoni e le particelle alfa presenti nel vento solare, entrambi con carica elettrica positiva, si avvicinano ai suddetti cavi, questi ultimi e le particelle in arrivo si respingono a vicenda, grazie all’interazione dei rispettivi campi elettrici.

Questo causa il trasferimento di gran parte della quantità di moto posseduta dal vento solare. Gli elettroni, con carica negativa, vengono invece attratti e assorbiti dai cavi carichi positivamente, producendo una piccola corrente elettrica e al tempo stesso agendo da forza frenante.

La vela elettrica

La vela elettrica. Come la vela solare, una E-sail riflette le particelle provenienti dal Sole, in questo caso ioni del vento solare carichi positivamente. Tali ioni positivi interagiscono con il campo elettrico che circonda ciascun cavo, carico positivamente, e vengono riflessi, cedendo quantità di moto alla E-sail. Uno dei vantaggi della fisica delle E-sail è rappresentato dal fatto che la spinta da parte del vento solare non diminuisce rapidamente quanto quella della luce su una vela solare. Questo permette di avere una propulsione utile anche nel Sistema Solare esterno. Alexandre Szames, Finnish Meteorological Institute’s Space and Earth Observation Centre, 2008.

Nasce pertanto una domanda del tutto logica: se nel vento solare ci sono all’incirca tante particelle positive quante quelle negative, le forze elettriche non si cancellano a vicenda, producendo una spinta netta nulla? Sarebbe così se i protoni e gli elettroni avessero la stessa massa. Ma i protoni pesano 1.836 volte più degli elettroni e quindi possiedono una quantità di moto molto più elevata.

Gli elettroni catturati costituiscono comunque un problema, perché, se non venissero eliminati, i cavi perderebbero la loro carica positiva, fino a diventare elettricamente neutri. Il sistema propulsivo si disattiverebbe e verrebbe meno la relativa spinta. I progettisti pensano allora di utilizzare un cannone elettronico per espellere gli elettroni catturati e disseminarli nello spazio, lontano dal veicolo.

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5. Che cosa comporta l’idea di terraformare un pianeta

Far diventare un altro pianeta come la Terra, ovvero terraformarlo, sarà un processo lungo centinaia di anni, con esiti incerti. Su questo tema sono stati scritti degli articoli scientifici, che mostrano in che modo bisognerebbe modificare la composizione e la temperatura dell’atmosfera di un pianeta e cambiare la sua ecologia, modificando quella esistente o creandone una dal nulla.

Sebbene non sia un’idea nuova, il termine terraformare viene usato moltissimo nella fantascienza. Citiamo fra gli altri gli autori Robert Heinlein, Arthur C. Clarke e Kim Stanley Robinson, che hanno scritto dei libri in cui questo concetto viene espresso con vari gradi di plausibilità. Ne troviamo degli esempi anche in Star Trek e in Dr. Who.

Ma è veramente possibile terraformare un altro pianeta? Elon Musk pensa di sì. Il fondatore di SpaceX ha esposto pubblicamente la sua idea di far esplodere migliaia di ordigni nucleari nell’alta atmosfera di Marte, sopra i poli, in modo da far evaporare e rilasciare nell’atmosfera le grandi quantità di ghiaccio di diossido di carbonio (anidride carbonica) e ghiaccio d’acqua ivi presenti. Presumibilmente, le esplosioni a quote molte alte limiterebbero la quantità di radiazioni rilasciate in quello che Musk spera possa diventare un giorno un ambiente di tipo terrestre.

Altre idee, che non implicano l’utilizzo di un gran numero di bombe nucleari, guardano a un approccio che si sta rivelando, purtroppo, molto promettente nel terraformare un pianeta. Lo stiamo già facendo qui sulla Terra, tramite un rilascio incontrollato di diossido di carbonio nell’atmosfera, il quale sta causando un evidente cambiamento climatico. Proprio così, stiamo portando avanti una terraformazione, o meglio una sorta di terradeformazione, del nostro stesso pianeta.

In viaggio tra le stelle

Les Johnson accompagna i lettori in un tour della fisica e delle tecnologie che potrebbero presto portare l’uomo a spasso tra le stelle.

Un’idea, ben descritta nella rivista Nature Astronomy, utilizzerebbe degli aerogel, molto simili a quelli usati per mantenere in temperatura i veicoli spaziali, per trattenere il calore in alcune regioni della superficie marziana, con lo scopo di rilasciare i composti volatili intrappolati. Per esempio, gli aerogel a base silicea sono trasparenti alla luce visibile, per cui permettono alla luce del Sole di attraversarli. Ma possono essere resi opachi agli infrarossi, così che risultino in grado di intrappolare il calore generato quando la luce visibile viene assorbita dal suolo ghiacciato presente sotto l’aerogel.

In questo modo il suolo marziano si riscalderebbe e i componenti volatili presenti in esso si scongelerebbero ed evaporerebbero. Ma tutto ciò è plausibile? In linea di principio, sì, ma dipende dalla quantità di diossido di carbonio presente e che può essere liberato. Al momento disponiamo di dati contrastanti su questo aspetto. In ogni caso, dobbiamo considerare che terraformare un altro pianeta richiede uno sforzo simile a realizzare una missione che ci faccia arrivare su un’altra stella. I pianeti sono estremamente grandi, hanno dei processi atmosferici molto complessi e ognuno di essi è unico quando si parla di determinare quali siano i passi necessari per portarlo, dal suo stato iniziale, a diventare una sorta di Terra 2.

Se terraformare un intero pianeta è un’impresa esagerata, forse i futuri esploratori interstellari potranno creare un mondo abitabile partendo da una luna. Teniamo presente che gli umani non hanno bisogno dell’intera superficie terrestre per ospitare la propria popolazione che a oggi conta più di 8 miliardi di persone. La superficie della Terra è infatti per il 70 percento ricoperta di acqua, lasciando circa 150 milioni di chilometri quadrati alla terraferma, un terzo della quale è considerata desertica.

Per confronto, la superficie della Luna, sulla quale non vi è una quantità significativa di acqua, è pari a circa 37 milioni di chilometri quadrati: moltissimo spazio per un equipaggio di diecimila persone. Ma sicuramente ci sono dei problemi, non ultimo il fatto che l’attrazione gravitazionale sulla superficie della maggior parte delle lune è sostanzialmente inferiore a quella della Terra o di Marte, permettendo così a qualunque atmosfera venga creata di disperdersi lentamente nello spazio.

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Questo articolo richiama contenuti da In viaggio tra le stelle.

Immagine di apertura di Greg Rakozy su Unsplash.

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