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Il difficile rapporto tra politica e nuove tecnologie

30 Marzo 1998

Il difficile rapporto tra politica e nuove tecnologie

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I partiti politici fanno fatica a comprendere i cambiamenti portati dalle nuove tecnologie. Così, mentre la società cambia, rimangono ancorati al passato.

I politici possono comprendere la società attuale, la società tecnologica, senza capire le nuove tecnologie? Oggi forse sì, domani certamente no.
I partiti classici sembrano impreparati a comprendere e governare una società che si allontana sempre più dalla loro visione culturale. Ecco perché a molti sembra sia giunto il momento di cominciare a pensare a una Politica Tecnologica: un luogo – o se si vuole un insieme di luoghi – nei quali avviare il dibattito per dare vita a una nuova razza di giovani politici, capaci di conquistare l’adesione e l’entusiasmo di una gioventù in debito di ideali, perduta tra il No Future e il No Present.

Nessun filosofo, nessun sociologo, nessun politico: nessun intellettuale, in poche parole, è in grado di comprendere la nostra società – e la sua evoluzione – se non inserisce una dimensione tecnologica nella sua riflessione. Anche se questa affermazione può sgomentare un buon numero di persone che non si sono mai occupate dei meccanismi e del funzionamento delle nuove tecnologie.

Contrariamente a quanto ritenuto da molti, informatica e telematica (informatica + telecomunicazioni) non rappresentano una rivoluzione classica come la scrittura, la locomotiva o l’atomo. Questa volta abbiamo di fronte una multirivoluzione permanente, omeopatica, capillare. Ogni applicazione nata dal transfer mentale tra il programmatore e il computer, tra l’uomo e la macchina, ha il potenziale di stravolgere le nostre vite, le nostre abitudini, senza lasciarci il tempo di riflettere sulle conseguenze. E questo in tutti i campi: medicina, lavoro, etica, organizzazione sociale, tempo libero, delinquenza, finanza, cultura, educazione, media, scienze, comunicazione, trasporti, sessualità, conquiste spaziali, meteorologia, arte. Il computer può fare tutto, cambiare tutto, rimpiazzare tutto.

Internet, nata sotto gli occhi di una moltitudine di sviluppatori umani, ha già trasformato la chincaglieria informatica degli anni ’80 in un immenso computer planetario. Siamo passati, in pochi anni, dalla calcolatrice tascabile alla realtà virtuale, nella quale ognuno di noi può cambiare corpo e morire mille volte.

I partiti politici hanno come missione di preparare, d’immaginare e di proporre le soluzioni migliori per i cittadini. Il loro obiettivo è anche quello di creare uomini nuovi, competenti, capaci di governare. Governare significa prevedere, ma per poter prevedere è necessario integrare nel dibattito una riflessione sull’esplosione e sull’emergenza tecnologica.

Per produrre un uomo politico è necessaria una generazione: trent’anni perché un piccolo umano integri la conoscenza dei suoi antenati. In informatica, secondo la legge di Moore, ogni anno si succede una generazione di computer due volte più potente della precedente. I tempi della politica sembrano sempre più drammaticamente fuori dal tempo.

È bizzarro che in una società che sta cambiando così rapidamente i politici, proprio coloro che detengono le leve del potere, non siano in grado di comprendere e governare i cambiamenti. Chi dovrebbe guardare più in là dell’uomo della strada, avere una qualche visione prospettica del futuro che ci attende, ha spesso un orizzonte meno vasto di quello dei propri figli, che già a sedici anni parlano una lingua straniera, hanno soggiornato almeno una volta all’estero, navigano in Internet, e conoscono un paio di sistemi operativi diversi. Quando le nuove generazioni raggiungeranno la maggiore età non avranno nessuno con cui dialogare. È arduo prevedere per chi andranno a votare. Se lo faranno.

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