Tutto parte da Homolaicus. Come altri simili siti di risorse didattiche in giro per la Rete, Homolaicus mette gratuitamente a disposizione di docenti e formatori materiale utile ad arricchire e completare lezioni ed esercitazioni. Qualche giorno fa, il prof. Galavotti, titolare del sito e insegnante di Cesena, ha ricevuto una richiesta da parte della Siae per il pagamento di diritti d’autore relativi a 74 file digitali che riproducevano quadri di autori tutelati (Picasso, Klee, Marinetti ecc.). La somma, indicata forfetariamente per il periodo da agosto 2002 a gennaio 2007, ammonta a 4.740,00 euro, Iva compresa. La notizia, una volta nota, ha suscitato numerose reazioni. Minimo comune denominatore? Il convincimento che la possibilità di diffondere cultura attraverso la Rete non debba essere limitata economicamente dall’applicazione indiscriminata del diritto d’autore.
A seguito della richiesta della Siae, ci sono state due interrogazioni parlamentari. Una da parte del Sen. Bulgarelli, e l’altra da parte dell’On. Cardano. Entrambe le interrogazioni si preoccupano che questa richiesta diventi un precedente che possa mettere in pericolo il sano sviluppo della didattica in Rete, e invocano l’applicazione della eccezione della legge sul diritto d’autore, prevista per la didattica (ne parleremo oltre). Contemporaneamente parte per iniziativa dell’Anitel (Associazione Nazionale Insegnanti Tutor e-Learning) una petizione volta a raccogliere firme a sostegno della utilizzazione libera di opere in contesti didattici. La Siae, da parte sua, non ha incassato le critiche in silenzio. E con una nota diffusa il 21 febbraio prende precisa posizione sul suo supposto ruolo “punitivo” nei confronti della didattica in Rete. Riprendendo parole che aveva già pronunciato Giorgio Assumma, in risposta a un articolo di Roberto Perotti sul Sole 24 ore, la nota ribadisce che il diritto d’autore è un “diritto del lavoro” e “non un balzello”, ed è quindi giusto pretendere una retribuzione per ogni suo utilizzo. Una posizione che è potrebbe diventare un vero e proprio nodo gordiano per quanto riguarda la possibilità di fare (a vari livelli) didattica in Rete nei prossimi anni.
L’eccezione “didattica” ai diritti dell’autore
Facciamo un passo indietro. La legge sul diritto d’autore prevede per la didattica una eccezione al monopolio degli autori sulle loro opere, consentendo nell’art. 70 l’uso di materiale protetto per finalità didattiche. Eccezione che è frutto di un bilanciamento tra gli interessi degli autori a vedersi remunerati e quelli della collettività alla diffusione della cultura e del sapere. L’operatività dell’utilizzazione libera per finalità didattiche prevista dall’art. 70 è sottoposta a tre limiti: 1) l’opera non può essere utilizzata nel suo intero: si possono riprodurre solo brani o parti della stessa; 2) l’utilizzazione deve essere finalizzata alla sola critica o discussione, o per finalità illustrative se si parla di insegnamento; 3) l’utilizzazione non deve costituire un atto di concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera stessa.
Un ulteriore requisito, di tipo formale, è che ogni utilizzazione libera deve essere accompagnata da una adeguata citazione della fonte (titolo dell’opera, autore ed editore, eventualmente il nome del traduttore) e ciò in rispetto di quanto previsto per il diritto, inalienabile, alla paternità dell’opera. L’eccezione “didattica” parla quindi di “porzione d’opera”. Non tutta, ma una parte. Quanto alla “porzione d’opera” di uno scritto, il regio decreto 18 maggio 1942, n. 1369 stabilisce, all’art. 22, il limite di riproduzione soggetto a equo compenso per le antologie a uso scolastico a 12.000 lettere se si tratta di prosa e 180 versi se di poesia, di 50 metri di pellicola se di opere cinematografiche.
L’utilizzo delle immagini d’arte
Ma per le opere “multimediali”come le immagini di opere d’arte del prof. Galavotti? Il regolamento tace. Si pensi alla difficoltà di definire il limite tra una porzione di immagine e la mutilazione dell’immagine stessa. O al fatto che l’autore e dai suoi eredi possono esercitare il diritto morale contro la mutilazione dell’opera anche dopo la cessione economica del diritto, e senza limiti di tempo: in pratica per l’eternità. La questione è quindi determinare quanto piccola, o quanto grande, può essere una porzione di immagine che non leda il diritto dell’autore a non vedere mutilata l’opera e che però sia ancora significativamente descrittiva dell’opera originale. Si pensi a opere complesse come la Persistenza della memoria di Dalì o a Guernica di Picasso: estrapolarne un singolo dettaglio limita fortemente ogni discussione o finalità illustrativa. Se l’opera è nota, si può provare a evocarla con le parole, ma la critica perderebbe ugualmente una grossa quantità di informazione.
Nell’interrogazione dell’On. Cardano si legge un ragionamento interessante: «citare vuol dire anche riprodurre immagini in modo incompleto o degradato (come ad esempio nel caso delle risoluzioni adottate negli ipertesti didattici sugli attuali p.c. con il formato Jpeg), quindi la Siae dovrebbe distinguere tra copie identiche dell’opera, non ammesse, e citazioni delle stessa, ammissibili per legge». In altri termini, la tesi è che la digitalizzazione in bassa risoluzione di un quadro possa essere considerata “citazione parziale” dell’opera stessa. Ma è una tesi difficile da accogliere. Il jpeg “degradato”, infatti, è adatto a essere inserito, ad esempio, in un catalogo multimediale: si tratta sempre e comunque di una riproduzione dell’opera capace di avere un mercato. E con quest’argomentazione può essere risolto anche il dubbio di chi ha visto, nell’attività del prof. Galavotti, l’utilizzazione di riproduzioni di riproduzioni e non di riproduzioni dell’originale.
C’entra anche l’e-learning
La questione, dal sito del prof. Galavotti, arriva con un piccolo grande balzo anche al fenomeno dell’e-learning, che è oramai una realtà in molti settori della formazione, sia scolastica che professionale. Sui corsi a distanza per via telematica (le università cd “telematiche” sono ormai equiparate a quelle tradizionali), il problema dell’utilizzazione di materiali coperti da diritti d’autore all’interno degli insegnamenti diventa cruciale. Perché se sono equiparati i titoli rilasciati, non è equiparata, invece, l’applicazione della legge del diritto d’autore, a svantaggio della didattica via Web.
Cosa accade infatti quando le aule si trasferiscono sulla Rete, con l’insegnamento a distanza? Accade che il pubblico degli studenti non è più confinato in un’aula fisica, il docente è costretto a riprodurre e diffondere l’opera ed è impossibile controllare cosa farà lo studente del materiale didattico, disponibile in formato digitale. Se, quindi, per eccesso di tutela, si obbligheranno le scuole e le università ad acquistare tutti i diritti di riproduzione dei materiali necessari per effettuare i corsi a distanza, si finirà per equipararli a vere e proprie imprese editoriali. Con tutte le responsabilità derivanti dalla legge e i costi del caso, e senza le garanzie di cui gode la didattica tradizionale. La vicenda legata all’insegnante cesenate, vista da questa prospettiva, non è che il prodromo di una problema che si annuncia molto più esteso.
Il diritto d’autore non è un balzello
Ma non è finita qui. La nota “difensiva” diffusa dalla Siae recita: «Il diritto d’autore è, in sostanza, un diritto del lavoro, non un balzello. È il salario di chi compone una canzone, scrive un romanzo, crea un film… Nessuno si sognerebbe di ridurre gli stipendi dei professori per aiutare, ad esempio la didattica. Perché la rete non dovrebbe rispettare i diritti d’autore, mentre gli editori, anche quelli scolastici, che pubblicano libri con immagini tutelate, corrispondono regolarmente questi stessi diritti agli autori e a chi li rappresenta (in Italia la Siae)?». Ma il diritto d’autore è davvero un diritto del lavoro? Oppure semmai un diritto da rendita dell’“opera d’ingegno”? Gli autori, infatti, non sono remunerati per quanto o per come hanno lavorato su di un’opera ma per lo sfruttamento economico dell’opera stessa. La differenza tra un autore e un lavoratore sta in questo dettaglio: il lavoratore presta un servizio, l’autore crea un prodotto e lo sfrutta economicamente. La redditività dell’opera è determinata dalle leggi di mercato, così come la retribuzione del lavoratore. Però mentre la prestazione lavorativa estingue la sua redditività nell’immediato, la creazione di un’opera mantiene, almeno potenzialmente – e cioè fino a che c’è mercato per l’opera stessa – la sua redditività per 70 anni dopo la morte dell’autore. Al trascorrere del limite massimo di tutela, infatti, l’opera entra nel pubblico dominio ed è sfruttabile, anche economicamente, da chiunque.
Sito didattico, culturale o commerciale?
Mancano ancora alcuni tasselli in questa intricata storia. Che riguardano una questione evidenziata nella nota della Siae a difesa della richiesta fatta al titolare del sito Homolaicus. Ovvero: esiste la differenza tra un sito didattico e un sito culturale? E quando è ravvisabile l’eccezione “didattica” in un sito Internet? Si legge nella nota: «Inoltre bisogna specificare la differenza fra un sito didattico e un sito culturale. Non basta che sia un professore a gestire un sito. Didattico è un servizio limitato alla cerchia degli studenti, delle famiglie e dei professori con un’attività ben precisa e scandita. Per esempio i siti universitari e scolastici che fanno didattica offrono filtri come lo username per utilizzare materiale specifico». Una prima annotazione è che la legge sul diritto d’autore non limita l’eccezione dell’art. 70 a una particolare qualifica né a una istituzione scolastica, né fornisce argomenti che portano a distinguere tra il fare didattica e il fare cultura. Quanto a “un’attività ben precisa e scandita” il decreto che riconosce l’attività didattica telematica parla di contenuti didattici personalizzabili rispetto alle caratteristiche degli utenti finali e ai percorsi di erogazione. Non esiste nell’e-learning una scansione rigida come nelle lezioni tradizionali: gli studenti possono rivedere una lezione quante volte vogliono, o recuperarla quando possono. La limitazione alla cerchia degli studenti invece esiste, anche per la necessità di tracciare la frequenza, ma non è la legge a prevederla né è un requisito previsto dall’art. 70 per discriminare la liceità di parti di opere utilizzate per fare didattica. Ne deriva che la differenza tra chi può e chi non può fare uso dell’eccezione dell’art. 70 deve essere trovata in un altro argomento, e cioè la finalità anche indirettamente commerciale.
Se la finalità è commerciale, niente art. 70, niente eccezione al diritto d’autore. Facile? Non proprio, nel silenzio della legge e in un momento storico dove tutti i modelli tradizionali di fruizione sono in fase di rinnovamento e ibridazione è sempre più difficile definire quando esiste uno scopo commerciale o un atto di concorrenza ai diritti di sfruttamento economico dell’autore. Vi sono pronunce della Cassazione, che hanno fatto – si può ben dire – scuola. Per esempio quella riguardante le scuole di danza che hanno bisogno di musiche per le coreografie degli allievi, e che non possono di accedere all’utilizzazione libera per fini didattici, poiché, con le parole della Cassazione, l’esecuzione delle musiche «in quanto organizzata dentro un processo produttivo diretto al profitto, costituisce utilizzazione economica riservata all’autore» (Cass., sez. I, 1.9.1997, n. 8304). Ma a prescindere dalle zone d’ombra su ciò che è didattica commerciale e ciò che non lo è (non basta certo, per esempio, il pagamento di uno stipendio a un docente, o di una tassa universitaria a qualificare lo scopo commerciale della didattica), poiché la Costituzione riconosce che l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento, i tanti prof. Galavotti che stanno in Rete si dovranno rassegnare a utilizzare solo le opere che sono facilmente frazionabili (e senza mutilare opere d’arte!) o a rimandare a musei o a riferimenti bibliografici. E se lo fanno gratuitamente non dovrebbe essere possibile riscontrare alcuna attività commerciale.
La pubblicità in un sito didattico
Il punto è, semmai, se nel sito appare pubblicità, come nel caso del sito Homolaicus. Basta in questo caso dimostrare che la pubblicità non crea un effettivo guadagno e serve, invece, a coprire i costi di mantenimento del sito per configurare uno scopo non commerciale? (Questa è peraltro la difesa evocata dal professore cesenate in una intervista su Italia Oggi, nella quale dichiarava che i banner gli avevano reso poche decine di euro in tutti quegli anni, nemmeno bastevoli a coprire le spese del server).
La questione è rilevante anche per l’utilizzazione di materiali coperti dalle licenze Creative Commons vincolata dalla clausola “non commercial”. Se metto una foto rilasciata con questa clausola in un blog che ha gli AdSense di Google, violo la licenza? Il legal code delle Creative Commons esclude la liceità dell’utilizzazione solo quando il fine dell’utilizzazione stessa è primariamente commerciale e non quando il fine è indirettamente commerciale.Ma anche qui, fino a che in un esempio pratico non vengano escluse determinate situazioni che si trovano nella zona d’ombra, rimaniamo nelle ipotesi e nella casistica. È, insomma, necessario un intervento legislativo che sottragga la questione della didattica (soprattutto online) all’arbitrio interpretativo dei titolari di diritti o dei tribunali.