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Il linguaggio è una cosa da umani

27 Marzo 2024

Il linguaggio è una cosa da umani

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Gli studi e gli esperimenti più recenti sembrano stabilire che il linguaggio sia un regalo che abbiamo ricevuto dall’evoluzione, più che una invenzione.

Che il linguaggio è cosa da umani ce lo mostrano i primati

Gli organismi comunicavano fra loro molto prima che gli antichi esseri umani pronunciassero le loro prime parole. Organismi unicellulari emettono segnali chimici per condividere geni e informazioni sull’ambiente. Gli anemoni di mare, privi di cervello, pompano feromoni in acqua per sincronizzare l’emissione di sperma e uova. Le api danzano per segnalare dove trovare cibo. I pesci utilizzano segnali elettrici per corteggiare. I rettili fanno ondeggiare la testa per comunicare la loro aggressività. I topi squittiscono per esprimere pericolo o eccitazione. La comunicazione fra organismi è antica e onnipresente nella storia dell’evoluzione.

Gli scimpanzé urlano e gesticolano gli uni verso gli altri. Quei suoni e quei gesti, è stato appurato, segnalano richieste specifiche. Un tocco sulla spalla significa Smettila, pestare i piedi significa Gioca con me, uno stridio significa Puliscimi, stendere un palmo significa Dividiamo il cibo. I primatologi hanno studiato a tal punto gesti e vocalizzazioni che esiste addirittura un Dizionario delle grandi scimmie.

Linguaggio umano e linguaggio animale

Poi, ovviamente, ci siamo noi, Homo sapiens. Anche noi comunichiamo, ma non è il fatto di comunicare che è unicamente umano; è come comunichiamo. Gli esseri umani utilizzano il linguaggio.

Il linguaggio umano si distingue da altre forme di comunicazione animale in due modi. In primo luogo, nessun’altra forma nota di comunicazione naturale fra gli animali assegna etichette dichiarative (ovvero simboli). Un insegnante umano indicherà un oggetto o un comportamento e vi assegnerà un’etichetta arbitraria: elefante, albero, correre. Invece, le comunicazioni di altri animali sono codificate geneticamente e non assegnate. I gesti dei cercopitechi verdi e degli scimpanzé sono quasi identici in gruppi diversi, che non hanno alcun contatto tra loro. Scimmie e scimmie antropomorfe separate da ogni contatto sociale usano ancora gli stessi gesti. In effetti, quei gesti sono condivisi addirittura fra specie diverse di primati; i bonobo e gli scimpanzé hanno quasi esattamente lo stesso repertorio di gesti e di vocalizzazioni. Nei primati non umani, i significati di quei gesti e di quelle vocalizzazioni non sono assegnati mediante etichettatura dichiarativa, ma emergono direttamente dal cablaggio genetico.

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Il secondo modo in cui il linguaggio umano si distingue da altre forme di comunicazione animale è che contiene una grammatica. Il linguaggio umano ha regole mediante le quali uniamo e modifichiamo i simboli per veicolare significati specifici. Possiamo perciò comporre quelle etichette dichiarative in frasi, e possiamo collegare quelle frasi in concetti e racconti. Questo ci consente di convertire le poche migliaia di parole presenti in una tipica lingua umana in un numero apparentemente infinito di significati univoci.

L’aspetto più semplice della grammatica è che l’ordine in cui pronunciamo i simboli veicola significato: Ben ha abbracciato James significa qualcosa di diverso da James ha abbracciato Ben. Nelle frasi, inoltre, annidiamo sottofrasi che sono sensibili all’ordinamento: Ben, che era triste, ha abbracciato James significa qualcosa di completamente diverso da Ben ha abbracciato James, che era triste. Le regole della grammatica vanno oltre il semplice ordine degli elementi. Abbiamo tempi verbali diversi per indicare momenti temporali diversi: “Ben mi attacca” rispetto a “Max mi ha attaccato”. Abbiamo articoli diversi: “Il cane abbaiava” significa qualcosa di diverso da “Un cane abbaiava”.

Prove di linguaggio con non umani

Ovviamente, il fatto che i primi umani parlassero le proprie lingue con etichette dichiarative e grammatica, mentre nessun altro animale lo fa in modo naturale, non dimostra che solo gli umani siano in grado di usare il linguaggio, ma solo che gli umani di fatto usano il linguaggio. Il cervello dei primi umani ha davvero evoluto qualche peculiare capacità di parlare? O il linguaggio è solo un trucco culturale scoperto oltre cinquantamila anni fa e semplicemente tramandato di generazione in generazione a tutti gli umani moderni? Il linguaggio è un’invenzione dell’evoluzione o un’invenzione culturale?

Ecco un modo per verificarlo: che cosa succede se cerchiamo di insegnare il linguaggio ai nostri cugini animali più vicini a noi, le scimmie antropomorfe? Se queste scimmie riuscissero ad apprendere il linguaggio, vorrebbe dire che il linguaggio è stato un’invenzione culturale; in caso contrario, indicherebbe che il cervello di quei primati non ha goduto di un’innovazione evolutiva fondamentale, emersa invece negli esseri umani.

Il test è stato condotto molte volte e i risultati sono tanto sorprendenti quanto rivelatori.

Tentativi di insegnare il linguaggio alle scimmie antropomorfe

Per cominciare: non si può insegnare alle scimmie antropomorfe letteralmente a parlare. È stato tentato negli anni Trenta del secolo scorso, ed è stato un fallimento: le scimmie non sono fisicamente in grado di produrre un linguaggio verbale. Le corde vocali umane sono adattate in modo speciale al parlato; la laringe è più bassa e il collo degli esseri umani è più lungo, e questo ci consente di produrre una varietà molto maggiore di vocali e di consonanti di quella che sia possibile ad altri primati. Le corde vocali di uno scimpanzé possono produrre solo un repertorio limitato di sbuffi e strilli.

Comunque, quello che fa del linguaggio un linguaggio non è il supporto fisico ma la sostanza: molte forme del linguaggio umano sono non verbali. Nessuno sosterrebbe che la scrittura, il linguaggio dei segni e il Braille non contengano la sostanza del linguaggio perché non comportano la vocalizzazione.

Gli studi fondamentali che hanno cercato di insegnare il linguaggio a scimpanzé, gorilla e bonobo hanno utilizzato o il linguaggio dei segni (l’American Sign Language, per la precisione) o linguaggi visuali ad hoc (le scimmie indicavano sequenze di simboli su una lavagna). A partire dalla più tenera età, le scimmie venivano addestrate all’uso di quei linguaggi, con gli sperimentatori umani che indicavano con i segni o puntavano a simboli per significare oggetti (mele, banane) o azioni (fare il solletico, giocare, inseguire) fino a che gli animali non ripetevano quei simboli.

Linguaggio dei segni e altri tentativi

Nella maggior parte di quegli studi, dopo anni di insegnamento, quei primati non umani potevano effettivamente produrre i segni appropriati: potevano guardare un cane e produrre il segno cane, guardare una scarpa e produrre il segno scarpa.

Potevano addirittura costruire coppie nome-verbo: espressioni comuni erano frasi come giocare me e fare il solletico me. In qualche caso sembra fossero in grado di combinare parole note per creare significati nuovi. In un aneddoto famoso, lo scimpanzé Washoe ha visto un cigno per la prima volta e quando l’addestratore gli ha chiesto, con i segni, Che cos’è quello?, Washoe ha risposto con i segni Uccello acqua. In un altro caso, il gorilla Koko ha visto un anello e, non conoscendo la parola corrispondente ha composto i segni per Braccialetto dito. Dopo avere mangiato per la prima volta del kale (cavolo riccio), il bonobo Kanzi ha premuto i simboli per lenta lattuga.

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Sue Savage-Rambaugh, la psicologa e primatologa che ha progettato l’esperimento di apprendimento del linguaggio per Kanzi, ha effettuato un test per confrontare la comprensione del linguaggio di Kanzi e quella di un bambino di due anni. Ha esposto Kanzi e un bambino a oltre seicento nuove frasi (usando il suo linguaggio simbolico) con comandi specifici. Utilizzava simboli che Kanzi già conosceva, ma in frasi che non aveva mai visto, comandi come Puoi dare il burro a Rose?; Vai a mettere del sapone su Liz; Vai a prendere la banana che è nel frigorifero; Puoi fare una carezza al cane?; Metti la maschera da mostro e spaventa Linda. Kanzi ha completato con successo questi compiti in oltre il 70 percento dei casi, superando il bambino di due anni.

È vero linguaggio?

Fino a che punto questi studi con primati non umani dimostrino l’uso di un linguaggio con etichette dichiarative e grammaticali è ancora argomento controverso fra linguisti, primatologi e psicologi comparati. Molti sostengono che gli esempi siano imperativi e non dichiarativi e che le frasi costruite sono tanto semplici che non si può parlare di grammatica. In effetti, nella maggior parte di questi studi, le scimmie ricevevano ricompense quando utilizzavano le etichette giuste, il che rende difficile stabilire se davvero stavano comunicando o semplicemente apprendendo che, se effettuavano il segno X quando vedevano una banana, avrebbero ricevuto una ricompensa, un compito che qualsiasi macchina ad apprendimento per rinforzo senza modelli potrebbe portare a termine. Un’analisi molto ampia delle espressioni prodotte da queste scimmie dimostra una scarsa varietà di sintagmi, il che significa che tendevano a utilizzare le espressioni esatte apprese (per esempio, Fare il solletico me), anziché combinare le parole in espressioni nuove (per esempio, Voglio che mi fai il solletico). In risposta a queste obiezioni, molti fanno riferimento agli studi di Savage-Rumbaugh con il bonobo Kanzi e alla sua comprensione grammaticale, incredibilmente accurata, di comandi e di espressioni giocose. La discussione non è ancora risolta.

La maggior parte degli scienziati sembra incline a pensare che alcuni primati non umani siano effettivamente in grado di apprendere almeno una forma rudimentale di linguaggio ma che siano molto meno bravi degli umani e che non la apprendano se non attraverso un paziente addestramento deliberato. Inoltre, non superano mai il livello di capacità di un bambino.

Il linguaggio, dunque, sembra un’esclusiva umana per due aspetti. In primo luogo, abbiamo una tendenza naturale a costruirlo e utilizzarlo, mentre gli animali no. In secondo luogo, abbiamo una capacità di linguaggio che supera di gran lunga quella di qualsiasi altro animale, anche se è possibile una rudimentale parvenza di uso di simboli e di struttura grammaticale in altri primati.

Questo articolo richiama contenuti da Breve storia dell’intelligenza.

Immagine di apertura originale di Amanda Dalbjörn su Unsplash.

L'autore

  • Max Bennett
    Max Bennett è imprenditore e ricercatore. Cofondatore di alcune aziende di AI tra cui Bluecore, una startup che sviluppa soluzioni di marketing basate sull'intelligenza artificiale, detiene diversi brevetti per tecnologie di AI e ha pubblicato numerosi articoli scientifici sui temi della neuroscienza evolutiva e dell'intelligenza. Laureato alla Washington University di St. Louis con lode in economia e matematica, è stato inserito nella lista Forbes Under 30.

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