Sono amico di Francesco Lanza dai tempi del liceo, quando era il direttore del giornalino della scuola; per vivere conduce un’azienda di consulenza informatica, ma è anche fervidamente blogger e punzecchiatore del web 2.0.
Si diverte a disturbare bonariamente VIP e politici con interventi sarcastici che a volte colpiscono davvero nel segno, e infatti vanta un discreto seguito sui suoi canali social. Lo seguo ormai da anni e posso garantire che in questa sua attività non vi è mai stata alcuna vena di odio, violenza, volgarità o cattivo gusto; solo sano sarcasmo. Di recente ha pubblicato su Facebook quanto segue:
Qualche giorno fa ho scritto la mia solita frasetta per ridere: “Essere italiani dovrebbe essere illegale”. Il meccanismo comico/satirico è abbastanza semplice, non c’è bisogno di un QI superiore a quello della scimmia per capire la frase e l’intento. Poco fa mi sono trovato fuori da Facebook e ho dovuto riloggarmi. Non appena avuto di nuovo l’accesso, un messaggio mi ha informato che quello status era stato rimosso per aver violato gli Standard della Comunità.
Non è dato sapere se il signor Facebook abbia proceduto “d’ufficio” o se il tutto sia partito dalla segnalazione di un utente (più verosimile). Resta il fatto che davvero con quello che gira impunito su Facebook, specie su alcuni gruppi e profili (insulti gratuiti, notizie false e diffamatorie, incitazioni alla violenza su persone e animali, messaggi discriminatori di ogni tipo…), questa frase appare davvero innocua. Mi è capitato qualche volta di segnalare dei post effettivamente inopportuni su Facebook e tutte le volte mi è stato risposto con un messaggio automatico del tipo “Grazie per la tua segnalazione; ma abbiamo verificato e il post segnalato non viola gli Standard della Comunità“.
Ancor prima di entrare nel merito specifico del senso (probabilmente frainteso) della frase di Francesco, a un giurista come me viene una domanda: questi benedetti Standard della Comunità chi li ha scritti?
Risposta: il signor Facebook, senza che questa fantomatica Comunità li abbia in qualche modo discussi e approvati. Forse sarebbe il caso di ricalibrare le parole: più che membri di una comunità siamo utenti di un servizio le cui regole vengono definite a priori e ci vengono semplicemente comunicate così come sono. Possiamo solo decidere di accettarle e far parte della cosiddetta Comunità oppure di non accettarle e rimanere fuori dai giochi. Non siamo affatto di fronte ad un meccanismo democratico.
Non solo, chi impone queste regole è un soggetto squisitamente privato che opera in un’ottica ovviamente commerciale, risiede in California applicando però la legge del Delaware (per sua scelta) e ha anche un distaccamento europeo a Dublino; soprassediamo su dove versa le tasse, altrimenti ci vorrebbe lo spazio di altri cinque articoli.
Ulteriore quesito: chi di preciso giudica sul rispetto di questi standard? Risposta: lo stesso soggetto che ha definito gli standard; solo Dio sa se lo fa servendosi di algoritmi o di persone, e se queste persone siano più o meno qualificate in materia di diritto e di policy making.
Risultato: una frase che non è affatto contraria alla legge (sicuramente non alla legge italiana, ma credo nemmeno a quella del Delaware o della California) viene rimossa perché contraria a norme interne di cui non si conosce bene la ratio e l’origine.
Questo meccanismo pericoloso di mettere le norme private sopra la legge è un fenomeno tipico di internet, su cui è necessario riflettere attentamente prima che sfugga di mano del tutto.
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