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Quando è nata l’arte e come lo sappiamo

08 Maggio 2024

Quando è nata l’arte e come lo sappiamo

di

Lavorare sugli atomi dei materiali delle pitture rupestri e sulle loro trasformazioni del tempo permette di collocare nel tempo l’arte primitiva.

Un ingrediente segreto: il Torio

Le prime creazioni artistiche dell’umanità, risalenti a periodi di molto antecedenti alla nascita della scrittura, si trovano sulle pareti delle caverne e di altre superfici rocciose. Nel 1940, alcuni ragazzi seguirono il loro cane in una cavità e scoprirono la galleria d’arte primitiva della grotta di Lascaux, che conteneva centinaia di iscrizioni rupestri raffiguranti animali del periodo preistorico europeo. Una delle prime, più importanti applicazioni della tecnica di datazione al 14C (Carbonio-14) di Libby, su un’opera di una età sconosciuta fu condotta proprio su un campione di carbone proveniente da quella caverna. Portò a un’età stimata di 15.500 anni prima del presente (o BP, dall’inglese before the present). Le datazioni effettuate successivamente, su altri due campioni, ebbero come esito 16.000 e 17.200 anni BP, rispettivamente. Più recentemente, le datazioni con lo spettrometro di massa (AMS), su un frammento di corna di renna, ritrovato nella caverna, portò a un’età compresa fra 18.600 e 18.900 anni BP. Notare che sono tutte analisi di oggetti secondari: non sono dei campioni prelevati direttamente dai disegni sulle pareti della grotta. In aggiunta, la differenza massima tra le datazioni è molto ampia: circa 3.000 anni.

Come discusso nell’introduzione di questo libro, gli storici atomici non possiedono i preconcetti che tanto influenzano il ragionamento e il giudizio umano. Però hanno un comportamento che può confonderci quando li utilizziamo per ricostruire la storia da un punto di vista quantitativo. Nel 1990, J. Russ e i suoi collaboratori introdussero una tecnica che evita molto abilmente una delle interferenze che avevamo descritto nel caso della malta da costruzione: la contaminazione di un campione da parte del Carbonio di origine non organica. Poiché molta dell’arte rupestre del mondo si trova nelle caverne, l’escissione di campioni di pittura di pochi milligrammi può contenere delle contaminazioni dovute al Carbonio della roccia sottostante. Russ e i suoi colleghi applicarono la loro nuova tecnica a una iscrizione rupestre della regione del Big Bend, nei pressi del fiume Rio Grande, nel sud­ovest del Texas.

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La maggior parte dei pigmenti usati per dipingere, ovvero Ferro e ossidi di Manganese, sono inorganici e quindi non contengono Carbonio utile. Ma questi pigmenti non si attaccano alle pareti di roccia, per cui devono essere mescolati con dei materiali che servono sia per diluire la pittura che per farla aderire alla superficie da dipingere. L’analisi chimica dell’arte rupestre in giro per il mondo ha evidenziato che sono stati usati, per questi scopi, sangue, urina, latte, miele, uova, olii di semi e resine di piante. Tutte queste sostanze, naturalmente, sono organiche e quindi utili per la datazione al Carbonio-14. Il trucco sta nell’estrarre solo il Carbonio organico, senza prelevare il Carbonio inorganico dalla superficie della roccia.

Come datare con il Carbonio-14

I ricercatori utilizzarono una camera a vuoto, prima accuratamente svuotata e poi riempita di ossigeno puro (O2). Posizionando il campione nella camera e portandola a 100°C, tutti i componenti organici contenenti Carbonio vengono ossidati in acqua (H2O) più diossido di Carbonio (CO2). A quella temperatura, i legami chimici relativamente deboli delle molecole organiche soccombono alle collisioni con i molto reattivi atomi di Ossigeno, ma nessuno degli atomi di Carbonio del calcare (CaCO3) viene disturbato. Ricordiamoci infatti che separare il CO2 dal calcare richiede temperature di almeno 900°C. Questo campionamento diretto del materiale utilizzato dagli artisti preistorici evita l’ambiguità nel datare il carbone, le ossa degli animali o altri oggetti secondari. L’acqua e il CO2 sono poi estratti dalla camera tramite uno strumento detto cold finger, molto freddo (l’acqua si congela a 0°C e il CO2 a –78°C). Fu ricavato un totale di 12 mg di Carbonio puro dal CO2 residuale e venne datato con la tecnica AMS. Il risultato fu un’età di 3.865±100 anni BP, coerente con l’ampio intervallo temporale che ci si deve aspettare dalle evidenze archeologiche di quel periodo.

Il più vecchio

Per molti decenni si pensò che le scene più antiche dipinte sulle pareti delle caverne si trovassero in Europa. Dopo la scoperta di Lascaux vennero trovati numerosi altri siti simili in Spagna, in Francia e in altri paesi europei. Nel 1994 fu scoperta una caverna enorme a Chauvet-Pont-d’Arc, 65 km a nord di Avignon, nel sud della Francia. La datazione al Carbonio indicò che l’opera artistica primitiva ivi presente fu realizzata in due periodi distinti, il primo da 33.000 a 37.000 anni fa, il secondo da 28.000 a 31.000 anni fa.

Curiosamente, la datazione al carbonio delle ossa di orso delle caverne, provenienti da oltre 200 scheletri ritrovati in quella stessa caverna, si sovrapponeva sostanzialmente con il primo intervallo di date. Quelle creature enormi erano più grandi degli odierni orsi grizzly: se si mettevano in piedi su due zampe erano alti più di 3 metri e mezzo e pesavano più di 900 kg. Dei pessimi animali da compagnia per gli artisti delle caverne.

Quelle date hanno avuto delle conferme indipendenti dagli studi sulla termoluminescenza. In molti punti della caverna, la pietra calcarea, tipicamente di colore beige, era stata fatta diventare rossa tramite il fuoco. Non sappiamo se volontariamente o accidentalmente. Scaldando un materiale, facciamo fuggire i suoi eventuali elettroni catturati, resettando l’orologio del danneggiamento causato dalle radiazioni. Su due campioni, prelevati in zone differenti del complesso di caverne, la datazione con la termoluminescenza portò a 36.900 e a 34.300 anni fa, con incertezze di 2.000 e 3.000 anni, ma comunque all’interno del primo periodo datato al Carbonio. La più vecchia di queste date segue di soli pochi millenni l’arrivo del moderno homo sapiens in Europa.

Recentemente si sono sentite delle affermazioni secondo le quali l’arte, in Europa, nacque molto tempo prima di quelle date. Sarebbe stata opera dei Neanderthal, non degli homo sapiens. I segni rossi di una caverna, in Spagna, molto lontani dagli eleganti animali rappresentati nelle iscrizioni rupestri di Chauvet e di Lascaux, sono stati infatti datati 65.000 anni BP. Però, molti autori hanno messo in dubbio che si tratti di vere opere d’arte primitiva e non sono convinti nemmeno della datazione.

La storia raccontata dal Torio

Recenti scoperte sull’isola di Sulawesi, in Indonesia, hanno eclissato i dipinti europei più antichi e verificati con un buon margine. Sebbene nessuno dei pigmenti sia stato datato direttamente, una tecnica isotopica molto convincente ha fornito il limite inferiore dell’età di queste iscrizioni rupestri, esaminando i depositi di minerali naturali accumulatisi sull’opera, dopo che essa venne completata.

Speleotemi (dal greco spelaion [grotta] e thema [deposito]) è il nome collettivo delle stalagmiti, stalattiti e dei depositi di flowstone (formazione rocciosa costituita da veli di calcite) che si sono accumulati lentamente, grazie all’acqua che filtra attraverso gli strati di suolo e roccia. Come la caverna stessa, anche gli speleotemi sono composti principalmente da CaCO3, ma contengono anche tracce di altri elementi. In particolare, l’acqua che gocciola tipicamente porta con sé dell’Uranio, che è solubile, ma non il Torio.

Tutti gli isotopi dell’Uranio sono radioattivi e lo stadio finale della loro catena di decadimento è il Piombo. Ma, durante il processo radioattivo, producono Torio (203Th), che ha un’emivita sufficientemente lunga (75.000 anni): negli speleotemi dovremmo quindi aspettarci di trovare qualcuno di questi prodotti intermedi del decadimento. La catena di decadimento appare così:

Decadimento: α β β α α
238U → 234Th → 234Pa → 234U → 230Th → 226Ra
T1/2: 4,47 × 109 anni 24 giorni 6,67 ore 245.000 anni 75.500 anni

Date le loro brevi emivite, il 234Th e il 234Pa sono del tutto ininfluenti in un campione di speleotema, ma i rapporti del 234U e del 230Th rispetto al 238U ci forniscono delle informazioni dirette di quando si è formata la flowstone.

Le lancette dell’universo

Questo libro dimostra il potere della scienza nello svelare i misteri di tempi e luoghi irraggiungibili.

Come in tutte le misurazioni di questo tipo, è importante fare molta attenzione per evitare di essere tratti in inganno. Per esempio, se c’è del 230Th nello strato di roccia, depositato da un soffio di vento, che ha portato della polvere esterna a solidificarsi sullo speleotema, l’età dedotta sarà troppo vecchia, poiché un eccesso di 230Th vorrebbe dire che il 238U ci ha messo più tempo a decadere. In questi casi l’antidoto migliore è di misurare il rapporto del 230Th sul 232Th; il 232Th ha un’emivita pari a tre volte l’età attuale della Terra, per cui esiste ancora, in natura, Torio primordiale nella crosta terrestre. A causa del costante rifornimento di 230Th dal decadimento dell’Uranio, però, il rapporto del 230Th sul 232Th sulla superficie è pari a circa 0,835. Perciò, uno speleotema con un rapporto elevato del 230Th rispetto al 232Th deve essere tale che la maggior parte del suo Torio derivi dal decadimento dell’Uranio: se per esempio il rapporto è maggiore di 20, allora al massimo lo 0,835/20, ovvero il 4 percento, deriva da una contaminazione. Nei campioni prelevati dagli speleotemi di Sulawesi, il rapporto era addirittura più grande: da 29 a 369, il che vuol dire che la contaminazione è del tutto trascurabile.

Un altro problema è rappresentato dalla possibilità che il 238U e/o il 234U potrebbero essere fuoriusciti dallo speleotema dopo la sua formazione. Anche questo fenomeno porterebbe a una datazione troppo vecchia, a causa di una sottostima della quantità di Uranio nel campione. Dato che è la parte esterna della roccia a essere più suscettibile a una perdita di questo genere, ci aspettiamo che siano le parti esterne ad apparire più vecchie, mentre dovrebbero essere le più giovani, data la progressiva stratificazione dovuta all’acqua mineralizzata che gocciola sopra di esse. I ricercatori controllarono questo prendendo cinque fette di speleotema dall’esterno verso l’interno (gli strati più interni sono quelli più vicini al pigmento) e trovarono in tutti i casi che le età crescevano procedendo verso l’interno, come ci si sarebbe aspettati da un normale accrescimento della flowstone.

Al termine dei lavori, le analisi di Sulawesi arrivarono a una datazione molto affidabile: tali iscrizioni rupestri dovevano essere rimaste su quella parete per almeno 43.900 anni, con un’incertezza di solamente qualche secolo. Sono quindi notevolmente antecedenti rispetto a qualunque dipinto rupestre fino a oggi scoperto nell’Europa occidentale, se consideriamo solo quelli la cui datazione è ritenuta affidabile. In ogni caso, il dibattito su chi abbia l’iscrizione rupestre più antica è molto sterile. Ciò che conta è che gli umani, con i loro cervelli unici e il loro complesso linguaggio verbale, si cimentarono in rappresentazioni simboliche del mondo decine di millenni prima di abbandonare la vita nomade e dare il via, 10.000 anni BP, a ciò che oggi chiamiamo “civiltà”.

Questo articolo richiama contenuti da Le lancette dell’universo.

Immagine di apertura originale di Vitor Paladini su Unsplash.

L'autore

  • David J. Helfand
    David J. Helfand è presidente del Dipartimento di Astronomia della Columbia University con cui collabora da oltre quarant'anni. Sackler Distinguished Visiting Astronomer all'Università di Cambridge e presidente dell'American Astronomical Society, ha pubblicato articoli su Nature, Physics Today, Washington Post e The New York Times.

    Foto: Karl Withakay, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons.

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