Un controverso disegno legislativo quello proposto da Ricardo Franco Levi, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega per l’editoria che ha suscitato polemiche e critiche rimbalzate dalla blogosfera fino alle istituzioni per arrivare, infine, oltre i confini nazionali. Parliamo del disegno di legge sulla riforma dell’editoria che delega al Governo il riassetto di tutto il settore approvato lo scorso 12 ottobre dal Consiglio dei Ministri e già dal 24 ottobre in via di riforma per escludere dalla sfera di applicazione i blog e i siti amatoriali.
La polemica sul disegno di legge è, allo stato, così diffusa in Rete che è impossibile citare tutte le fonti che ne parlano ed è difficile perfino ricostruirne l’origine: il primo a parlarne è stato probabilmente Manlio Cammarata, seguito da Valentino Spataro, poi ancora da Punto Informatico, Daniele Minotti, fino ad arrivare, con vigore, sul blog di Beppe Grillo. È certamente a causa della popolarità di quest’ultimo che la denuncia della blogosfera ha raggiunto dimensioni ragguardevoli e si è generata una mobilitazione a tappeto sfociata in una lettera aperta a Grillo stesso da parte del sottosegretario Levi e a cui hanno fatto da contraltare le dichiarazioni del ministro Di Pietro e del ministro Gentiloni (tra gli altri), i quali hanno entrambi dichiarato di non avere letto il ddl e si sono impegnati a favore di una immediata riforma.
Il pomo della discordia che ha, infatti, generato l’insurrezione della blogosfera e inediti “ripensamenti” istituzionali avvenuti attraverso i blog dei politici interessati e, addirittura il portale del Governo riguarda la nuova definizione del concetto di prodotto editoriale, di attività editoriale e i relativi obblighi che ricadono sui soggetti coinvolti.
Le definizioni
Ai sensi dell’articolo 2 del ddl un prodotto editoriale è, infatti: «prodotto contraddistinto da finalità di informazione, di formazione, di divulgazione, di intrattenimento, che sia destinato alla pubblicazione, quali che siano la forma nella quale esso è realizzato e il mezzo con il quale esso viene diffuso». Dalla definizione vengono esclusi espressamente solamente i prodotti editoriali destinati alla sola informazione aziendale, anche se destinati ad uso pubblico, e prodotti discografici od audiovisivi. Il requisito della finalità è di per sé vago e dovrà essere esplicitato in chiave interpretativa dal regolamento di attuazione dell’Autorità Garante per le Comunicazioni così come previsto dall’articolo 6 comma 4 del ddl, posto che esistono siti dotati di progettualità e quindi dediti prevalentemente a finalità di informazione, intrattenimento eccetera, e siti che invece lo sono solo in sporadici episodi, come ad esempio i blog diaristici o in genere blog che esprimono semplicemente la visione dell’autore senza avere una e/o più di una delle finalità esplicitate dal ddl come attività prevalenti.
L’articolo 5 che definisce, invece, l’attività editoriale rilevante ai fini dell’applicazione del disegno di legge include, senza alcun precedente, anche quella esercitata senza scopo di lucro e in forma non imprenditoriale. Sarebbe a dire che anche le forme di pubblicazione che avvengono attraverso un sito qualunque, anche un blog, aventi finalità esplicitamente educativa o intrattenimento o di informazione eccetera in modo gratuito e senza un’attività di impresa alle spalle ricadono nella nuova definizione di attività editoriale e sono quindi soggette all’applicazione delle disposizioni del disegno di legge e, pertanto, dell’emanando testo unico in materia di editoria.
Ma non è tanto – o non solo – un problema di classificazione a preoccupare, quanto le possibili conseguenze di ritrovarsi inclusi nelle predette categorie. Tra i punti controversi, infatti, si teme un aggravio burocratico per i gestori dei siti che rientreranno nella definizione di “prodotto editoriale” se consideriamo che il disegno di legge prevede l’obbligo per tutti i soggetti che esercitano attività editoriale di iscriversi al Roc, il registro degli operatori di comunicazione.
Ricordiamo che tale registro, istituito presso l’Autorità garante per le Comunicazioni, ha la finalità di garantire la trasparenza e la pubblicità degli assetti proprietari al fine di rendere applicabili al settore le norme anti-trust nonché il rispetto del pluralismo informativo. Questa funzione del Roc non sembra essere intaccata dal ddl, e la visione del legislatore potrebbe sembrare quindi quella di voler includere tra le fonti di informazione anche quelle presenti in Rete e non organizzate in modo imprenditoriale: si tratta forse di una forma di lungimiranza intenzionale, che recepisce che il circuito informativo mediatico non è più formato solamente dalle fonti istituzionali? Se lo fosse potrebbe essere anche una buona notizia, ma dal testo non è dato desumere che le stesse garanzie di cui godono i mass media tradizionali, quelli che hanno una organizzazione imprenditoriale alle spalle e un solido corpus legislativo ed organizzativo (pensiamo all’Ordine dei Giornalisti e alle numerose disposizioni di legge che regolamentano e garantiscono la libertà di informazione di radio, televisione e stampa) verranno estese anche ai semplici siti personali (e relativi gestori).
I blog e i reati commessi a mezzo stampa
Al contrario, la questione appare molto problematica dal momento in cui anche l’attività editoriale svolta in assenza di imprenditorialità e senza finalità lucrative, sempre secondo l’articolo 7 del ddl, «rileva anche ai fini dell’applicazione delle norme sulla responsabilità dei reati commessi a mezzo stampa». Attualmente i blog non sono ritenuti prodotti editoriali quindi non ricadono, di regola, nell’applicazione dei reati commessi a mezzo stampa.
Analizziamo, invece, cosa prevede il disegno di legge. L’estensione dell’articolo 7 risulta assai problematica poiché i reati commessi a mezzo stampa prevedono attualmente ipotesi di responsabilità rispetto alla responsabilità dell’autore dei contenuti e cioè, per l’articolo 57 del codice penale e per il caso di pubblicazioni periodiche viene sancita, per il direttore e il vice direttore responsabile, una forma di responsabilità colposa derivante dal mancato controllo sui contenuti. Per le pubblicazioni non periodiche (articolo 57-bis) o clandestine (articolo 58) l’editore o lo stampatore sono responsabili, invece, solo qualora l’autore della pubblicazione sia ignoto o non imputabile.
Se proviamo a trarre qualche conclusione possiamo quindi dire che allo stato dei fatti il blogger può essere sempre e comunque ritenuto responsabile di quanto scrive, ma senza l’aggravante di avere utilizzato il mezzo della stampa. Ove invece il ddl passasse così come è stato reso pubblico, e il blogger dovesse ricadere nell’obbligo di iscrizione al Roc, avrebbe l’aggravante dell’utilizzazione del mezzo della stampa per i propri contenuti. Che cosa accadrebbe per i commenti? Si applicherebbe la responsabilità per omissione di controllo?
Come è noto, in Italia abbiamo avuto un solo, criticato, precedente in cui la disciplina dei reati a mezzo stampa, compresa la responsabilità colposa per omissione di controllo sui contenuti pubblicati, è stata applicata nei confronti di un blogger. Si tratta della sentenza del Tribunale di Aosta che ha ritenuto un blogger colpevole, tra le altre cose, di non avere cancellato commenti a contenuto diffamatorio. La responsabilità penale è stata affermata, in quel caso, attraverso una analogia in malam partem (letteralmente una analogia sfavorevole al reo, vietata dal codice penale) e cioè ritenendo forzatamente equiparabile la figura del direttore responsabile blogger in quanto, al pari del direttore che può decidere cosa pubblicare e cosa no, il blogger ha la possibilità di cancellare i commenti.
Come abbiamo detto, però, la disciplina attuale non avalla la decisione del tribunale di Aosta, e nemmeno il ddl così come è adesso può portare a tale conseguenza. La mera iscrizione al Roc, infatti, non basta da sola a fare ottenere al blogger la qualifica di direttore responsabile o tanto meno di vice, figure che hanno, istituzionalmente, obblighi di garanzia e di controllo sui contenuti delle pubblicazioni di cui si occupano. E in effetti la controversa sentenza del tribunale di Aosta è stata oggetto di una interrogazione parlamentare al Ministro Gentiloni promossa lo scorso 19 settembredall’on. Crapoliccchio proprio in merito all’illegittimità giuridica dell’estensione dei reati a mezzo stampa al titolare di un blog. Gentiloni stesso, in merito alla questione della responsabilità per i reati a mezzo stampa per i blogger, ha risposto: «Va precisato che i responsabili dei siti devono comunque collaborare con le autorità di polizia e con gli inquirenti per colpire i reati più gravi (penso, ad esempio, ai reati di pedofilia), come previsto dal decreto approvato dal Governo all’inizio di gennaio. Tuttavia, la possibilità di assoggettarli alle stesse regole tipiche della legge sulla stampa, per omesso controllo, non ci sembra appropriata».
È lecito chiedersi se l’articolo 7 del ddl preluda in qualche modo a una riforma dei reati a mezzo stampa e se si andrà verso l’istituzione di un obbligo di controllo preventivo e di moderazione sui contenuti immessi da commentatori (ma pensiamo anche ad applicazioni diverse dai blog ad altrettanto diffuse, quali ad esempio i forum aperti e i wiki, che potrebbero ricadere nelle definizioni di prodotto editoriale ed attività editoriale del ddl). Sino a che tale riforma non verrà attuata, però, la domanda rimane aperta.
I primi tentativi di riforma
Dovrebbe essere però proprio l’articolo 7 (e non gli articoli che definiscono il prodotto editoriale e l’attività editoriale), stando alle ultime dichiarazioni del sottosegretario Levi, ad essere modificato dall’unico emendamento al ddl reso sinora pubblico, attraverso l’aggiunta di un comma. Secondo quanto ha dichiarato Levi a Repubblica, sinora negli emendamenti non è stata espressamente usata la parola blog per circoscrivere il campo di applicazione del ddl, ma «Il comma aggiuntivo dice che sono esclusi dall’obbligo di iscrivere al Roc i soggetti che accedono o operano su Internet per prodotti o siti ad uso personale e non ad uso collettivo. Vuol dire che sono esclusi i blog che non rientrano in questo comma teso a ridefinire le responsabilità di chi opera su internet». E questa sarebbe una bella notizia.
Secondo quanto riporta l’Ansa, il tenore del comma aggiuntivo dell’articolo 7 sarebbe il seguente: «Sono esclusi dall’obbligo di iscrizione al Roc i soggetti che accedono ad internet o operano su internet in forme o con prodotti, come i siti personali o ad uso collettivo che non costituiscono un’organizzazione imprenditoriale del lavoro». Non essendo note, attualmente, fonti diverse dalla dichiarazione del sottosegretario la cautela è d’obbligo, ma appare chiaro che le acque tendono a confondersi ulteriormente. Che cosa sia da intendersi per uso personale e uso collettivo, infatti, per un sito accessibile liberamente su Internet, non è dato sapere.
Ma ancora di più ci si chiede se non ci sia contraddizione di fondo nell’includere nella definizione di attività editoriale anche quella non imprenditoriale non a scopo di lucro e nell’escludere poi dalla sola iscrizione al Roc i soggetti che non effettuano un’organizzazione imprenditoriale del lavoro. Come distinguere nettamente tra le due ipotesi? Tale emendamento mette a rischio, senza risolvere il problema, i blog tematici con più autori che si occupano di determinati argomenti, i wiki dedicati a una o più discipline (pensiamo a Wikipedia, che ha perfino un marchio, una filosofia di fondo e delle policy di redazione e cernita dei contenuti: è organizzazione imprenditoriale del lavoro questa?) e i forum settoriali, perlomeno quelli con moderatori, che una attività di lavoro organizzato, almeno in senso lato, la svolgono. Non ci rimane che aspettare che il testo con gli emendamenti sia reso pubblico.