Apogeonline: Come è nato il progetto Food Photography? Più in generale, come siete arrivati alla scelta del tema?
Mattia Lorenzetti e Guido Prosperi: Il progetto è nato quando ci siamo resi conto quanto il fotografare il cibo sia diventato una delle nuove frontiere. Molti si cimentano sviluppando un proprio stile che è diventato occasione, terreno di confronto e crescita reciproca. L’idea del libro è nata in tempo di lockdown, quando tutti sono rimasti chiusi in casa e si sono messi a cucinare, fotografare e postare scatti dei loro esperimenti culinari sui social. Alcuni sono dei capolavori, altri onestamente hanno strappato delle risate che gli autori delle ricette mal riuscite hanno voluto regalare condividendo con gli altri i loro insuccessi. Il libro è nato pensando a quanti si sono applicati a fotografare il cibo per rendere al meglio il loro piatto e ci è sembrato il momento giusto per dare uno strumento per fare scatti interessanti.
Lo chef cucina esattamente come avrebbe fatto per servire in tavola, o ci sono trucchi e regole apposta per il cibo da fotografare?
In Food Photography spesso lo chef prepara i suoi piatti con una attenzione in più quando sa che il piatto verrà immortalato. In fondo, quando si fa una foto di una creazione, si cerca sempre di presentarla al meglio. C’è da dire che a livello di gusto il piatto che prepara lo chef non è differente rispetto a quello fotografato. Per raccontare il cibo ovviamente ci sono dei trucchi per renderlo più appetibile quando lo fotografiamo; nel libro affrontiamo questo tema con molti suggerimenti utili che durante gli anni abbiamo più volte utilizzato.
La situazione più singolare in cui vi siete trovati, da food photographer.
Tre le situazioni: in Indonesia, quando senza alcun equipaggiamento siamo riusciti a scattare foto a piatti tipici della tradizione mettendo insieme quello che abbiamo trovato sul posto. Due foulard pressi in prestito da una ragazza che ci accompagnava e foglie di banano elemosinate alla reception ci hanno permesso di portare a casa le foto che volevamo. La seconda: quando abbiamo fotografato il gelato all’interno di una gelateria in piena estate. Abbiamo dovuto allestire tutti i set molto velocemente, fare delle prove di scatto e poi appena pronte le coppette guarnite di tutto punto, scattare velocissimamente per evitare che il gelato si sciogliesse. La terza, in un ristorante che aveva tutte le superfici lucide e specchianti. La difficoltà è stata evitare tanto i riflessi della luce quanto che la nostra immagine fosse riflessa e catturata nelle foto.
I piatti più belli da vedere sono anche i più buoni?
Certo che sono buoni! È capitato più volte, mentre facevamo le foto di un piatto particolarmente bello che ha richiesto qualche attenzione in più e un tempo leggermente prolungato, di dire sbrigati a fare la foto che ho l’acquolina in bocca e vorrei godermelo caldo! C’è anche da dire che c’è una parte della food photography totalmente finta. Schiuma da barba al posto della panna, fiocchi di purè tinti coi coloranti per fare il gelato e tanti altri stratagemmi per far apparire il food più appetitoso. È un fronte che abbiamo descritto sul libro e non amiamo praticare; preferiamo gustare ciò che fotografiamo. Occorre però, per alcuni lavori, ricorrere per forza a certi artifici per raggiungere lo scopo.
Che emozioni si provano fotografando il cibo?
Un piatto, un frutto, una verdura hanno delle storie da raccontare. Dietro a una pietanza c’è un territorio, il lavoro e la passione di uomini e donne che lo hanno creato o fatto crescere, c’è la storia di una ricetta. Riuscire a raccontare attraverso i colori, le forme, gli ingredienti che costituiscono un piatto è una sfida. La sfida e l’emozione da vivere cercando con l’immagine catturata di far venire voglia a chi vede lo scatto. È un piacere, quando qualcuno esprime il desiderio di voler assaggiare guardando la foto.
Ha detto Oscar Wilde datemi il superfluo e farò a meno dello stretto necessario. Che rapporto si stabilisce con il cibo da fotografare? Come lo si mantiene equilibrato e consapevole?
Una fotografia di cibo può far dimenticare a chi la vede che nutrirsi bene è di vitale importanza. Il nostro rapporto col cibo è quotidiano, quello che fotografiamo va a finire sulla nostra tavola e lo consumeremo subito dopo averlo ritratto. Nulla va gettato quando facciamo le foto. È ovvio che non tutte le pietanze fotografate sono uguali. Il foodporn è un tema forte e a volte lasciarsi sedurre dal dal cibo come mezzo anche per consolarsi è un fatto e le immagini possono esserne il veicolo. La fotografia del cibo che proponiamo e suggeriamo non cerca di essere un invito a alimentarsi male, anzi è l’esatto opposto; gli chef sono preparati e consapevoli dell’apporto calorico e dei valori nutrizionali delle loro ricette e dei loro menù. A noi saperle raccontare al meglio e con consapevolezza.
Ricordiamoci che mangiare è anche un’esperienza sociale e sensoriale ricca di emozioni. Attorno ad una tavola si condividono i momenti più importanti della vita, dal battesimo al matrimonio e in alcune culture pure la morte, si concludono contratti, si condividono momenti gioiosi con amici e parenti. Mangiare non è soltanto saziare la fame. Il cibo è molto di più: è espressione della cultura di un popolo, è il modo per conoscere i suoi valori e le sue tradizioni.
Di foto in foto, di chef in chef, vi siete fatti una vostra idea di cucina?
Ogni chef ha un suo modo di esprimersi in cucina e attraverso i suoi piatti si colgono la sua indole e il temperamento, il suo carattere, la sua formazione. Le foto sono il linguaggio per raccontarli scrivendo con la luce la loro arte.
Qual è la difficoltà primaria nel fotografare il cibo? Come si ovvia, o comincia a ovviare?
La difficoltà primaria è riuscire a rendergli giustizia il più possibile. Le difficoltà possono essere diverse. Per ritratte un frutto si ha la necessità di dare la sensazione di freschezza, qualche gocciolina d’acqua aiuta a suggerirla; è necessario che il frutto sia raccolto da poco e che sia libero da imperfezioni. Un piatto di pasta lasciato a lungo sotto la luce rischia di apparire asciutto, un pennello con un filo d’olio qui e là lo rende lucente e più gustoso e lo fa apparire appena preparato. La difficoltà è riuscire a far emergere la storia che c’è dietro a un piatto: per ovviare bisogna conoscere la ricetta, sapere la provenienza. Una gricia ha una storia alle sue spalle, il guanciale che i pastori portavano con loro durante la transumanza fa pensare a Roma, alle cupole delle chiese, agli stornelli, ai colori della capitale, ai suoi edifici barocchi e quelli dell’EUR. Sono tutti elementi da inserire in qualche modo nella foto che si realizza.
Lo chiediamo a tutti… si riesce a fotografare decentemente, per dei professionisti, con lo smartphone? Dove si notano le differenze rispetto a equipaggiamento dedicato?
Pensiamo che con lo smartphone si possano realizzare dei buoni scatti. Attraverso le giuste applicazioni per il telefonino si possono regolare i vari parametri e realizzare dei buoni scatti. Dipende anche da quale uso si fa dello scatto. Se va pubblicato sui social, è un conto; su carta, è un altro. Nel libro ci sono scatti realizzati con lo smartphone e non si notano differenze rispetto alla fotocamera. È vero, però, che per realizzare degli scatti professionali sono necessari una buona fotocamera e obiettivi che assicurano la riuscita dei progetti fotografici di qualità, grazie ad accorgimenti tecnici che lo smartphone non è in grado di assolvere. Conoscere i limiti degli strumenti e i loro pregi aiuta a individuare il modo di realizzare la foto. Solitamente non produciamo molti scatti. Per ogni set facciamo al massimo 10/15 scatti, da diverse angolazioni.
Come si comporta il food photographer a livello di autopromozione?
Come spieghiamo nell’ultimo capitolo del libro, l’autopromozione deve essere fatta in maniera professionale. Ai nostri giorni abbiamo tantissimi strumenti per poterlo fare, ma la prima cosa è avere un sito Internet o un blog dedicato, un profilo Instagram da utilizzare come vetrina virtuale dei propri lavori e un profilo LinkedIn dove trovare o rimanere in contatto con agenzie, aziende e potenziali clienti.
L’immagine di apertura originale è tratta da Food Photography.
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