In principio era MySpace. La piattaforma social per eccellenza in cui gruppi musicali, DJ e cantanti sia amatoriali sia professionisti potevano crearsi la loro vetrina. Poi passò sempre più in secondo piano, sia per la nascita di piattaforme specialistiche per musicisti con funzioni più avanzate (ad esempio SoundCloud), sia per la crescita vertiginosa e l’effetto fagocitante di piattaforme generaliste (principalmente Facebook, Instagram e YouTube) con cui i progetti musicali riescono a raggiungere un pubblico più ampio.
Il vecchio problema del copyright online
Ma quando si parla di musica prima o poi viene fuori l’atavico problema dei diritti d’autore. Sì, perché un conto è proporre musica originale, di cui si detengono tutti i diritti; altro conto è fare solo cover o addirittura remix e mash-up di musica di altri. E come si può immaginare, la stragrande maggioranza ricade nella seconda categoria.
Un classico esempio: ho un video del matrimonio di un amico, provo a caricarlo su YouTube e ad un certo punto la piattaforma mi fa comparire un disclaimer in cui mi avvisa che nel video è stata rilevata una traccia audio coperta da copyright. Certo, perché se durante il taglio della torta in sottofondo qualcuno aveva mandato a tutto volume Thinking out loud di Ed Sheeran, in quanto canzone particolarmente simbolica per gli sposi, poi quel brano rimane ben riconoscibile anche nel video.
Caricare quel video su YouTube comporta quindi un utilizzo del brano che va oltre la licenza che gli sposi hanno già dovuto pagare alla SIAE per organizzare la loro festa di nozze; e dunque quell’utilizzo viola i diritti di Ed Sheeran e della sua casa discografica, i quali a loro volta hanno un accordo con Google per gli sfruttamenti delle opere su YouTube. Funziona così, che ci piaccia o no. Tra l’altro i termini d’uso di YouTube lo dicono molto chiaramente.
I contenuti pubblicati non devono includere proprietà intellettuale di terze parti (ad esempio, materiale protetto da copyright) a meno che tu non disponga dell’autorizzazione della terza parte o di un altro tipo di autorizzazione legale. La responsabilità legale dei Contenuti che pubblichi sul Servizio ricade su di te. Potremmo utilizzare sistemi automatizzati per analizzare i Contenuti e rilevare violazioni e comportamenti illeciti.
In poche parole: non si potrebbe caricare roba coperta da copyright senza avere le necessarie autorizzazioni da parte del titolare dei diritti. Il verbo al condizionale è dovuto al fatto che la responsabilità ricade su di te; nel senso che a volte i contenuti vengono caricati, ma YouTube ritiene l’utente responsabile legalmente. È sempre stato così, più meno da quando sono nate queste piattaforme; questo principio di non responsabilità del service provider ha sorretto lo sviluppo di Internet come la conosciamo oggi.
Lo so che potrebbe sconvolgere qualcuno, ma se fino a questo momento abbiamo caricato senza problemi video musicali su piattaforme come YouTube, Facebook e Instagram è solo perché… non se ne sono *ancora* accorti, dato che è difficile stare dietro a milioni e milioni di upload; oppure perché semplicemente c’è un certo livello di tolleranza (dettato anche dal buon senso) che lascia un minimo di margine di azione, specie se i video caricati hanno una visibilità molto bassa. Tuttavia non c’è la garanzia che, quand’anche i video con materiale protetto da copyright siano stati caricati senza problemi, ad un certo punto non vengano rimossi (o semplicemente resi muti, senza audio) perché hanno raggiunto una certa visibilità o qualcuno li ha segnalati.
La stretta di Facebook sulla musica in streaming
In questi giorni il tema è tornato centrale perché da una nota di Facebook intitolata Music guidelines e circolata di recente, sembra che a Palo Alto abbiano pensato di alzare un po’ l’asticella di questa tolleranza, con specifico riferimento agli eventi dal vivo trasmessi in streaming via Facebook.
Non è possibile utilizzare video sui nostri prodotti per creare un’esperienza di ascolto musicale. Vogliamo che tu possa goderti i video pubblicati da familiari e amici. Tuttavia, se utilizzi video sui nostri Prodotti per creare un’esperienza di ascolto musicale per te o per altri, i tuoi video verranno bloccati e la tua pagina, profilo o gruppo potrebbero essere eliminati. Questo include anche i live.
Il contenuto non autorizzato potrebbe essere rimosso. Se pubblichi contenuti che contengono musica di proprietà di qualcun altro, i tuoi contenuti potrebbero essere bloccati o potrebbero essere esaminati dal titolare dei diritti applicabili e rimossi se il tuo utilizzo di quella musica non è adeguatamente autorizzato.
Come al solito, per un giurista come me che i termini d’uso delle piattaforme li legge, nulla che non fosse già chiaro prima. Di certo però il fatto che sia stata diffusa un’apposita nota a riguardo fa appunto pensare che l’aria potrebbe cambiare e che si voglia lanciare un segnale agli utenti.
È legittimo pensare che su questa decisione abbia influito lo sconvolgimento portato in questi mesi dalla pandemia che, avendo bloccato per mesi gli eventi musicali nei locali pubblici, nelle piazze e negli stadi, ha portato migliaia di musicisti e DJ di tutto il pianeta a organizzare sempre più eventi musicali in streaming. Piccolo problema: se per suonare alla festa della birra del paese, una cover band deve compilare il famoso borderò SIAE e quindi ottenere (attraverso l’intermediazione di SIAE e delle altre collecting society ad essa connesse) le dovute autorizzazioni per l’utilizzo di opere musicali non sue, dovrebbe ottenere simili autorizzazioni anche nel momento in cui organizza un evento in streaming.
Non sono cattivi; è che funzionano così
C’è purtroppo sempre questa pia illusione che nel mondo di Internet non valgano le regole che invece valgono nel mondo fisico; ma ad un certo punto i nodi vengono al pettine.
E, almeno in questo caso, non credo proprio che – come hanno fatto alcuni commentatori poco esperti della materia – sia il caso di incolpare il cattivone Mark Zuckerberg di essere un despota liberticida. Non è escluso che le grandi major della discografia e le agenzie detentrici dei diritti sui live, in un periodo di minori introiti anche per loro, abbiano fatto pressione affinché Facebook stringesse le maglie.
Non è tanto che Facebook e YouTube siano cattivi (sono più cattivi sull’altro fronte, quello dello sfruttamento dei dati personali e della profilazione utenti); ma sono il copyright e l’immensa macchina di business ad esso connessa che funzionano così, ed è su questo che eventualmente dobbiamo riflettere e lavorare.
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Immagine di apertura di Melanie van Leeuwen su Unsplash.
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